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 2008  maggio 20 Martedì calendario

Caro Bossi, il federalismo fiscale alla lombarda non è replicabile. Italia Oggi 20 maggio 2008 Va dato atto al ministro Umberto Bossi che il progetto per l’attuazione del federalismo fiscale, sul modello delle norme approvate dalla regione Lombardia, si prospetta innovativo e coraggioso

Caro Bossi, il federalismo fiscale alla lombarda non è replicabile. Italia Oggi 20 maggio 2008 Va dato atto al ministro Umberto Bossi che il progetto per l’attuazione del federalismo fiscale, sul modello delle norme approvate dalla regione Lombardia, si prospetta innovativo e coraggioso. Ma non è esente da rischi. La prospettiva è una condivisione di Irpef, Iva e altre imposte tra i diversi livelli di governo: centrale, regionale e locale. Un’operazione di grande rilevanza, che dà risposta ai fabbisogni finanziari generati dal progetto di trasferimento delle competenze di spesa previste dall’attuale articolo 117 della Costituzione. Infatti il progetto approvato lo scorso anno dalla Regione Lombardia prevede che il 15% dell’Irpef e l’80% dell’Iva, oltre al gettito delle imposte sui carburanti, venga attribuito alla regione, con un limite alla perequazione territoriale pari al 50% della capacità fiscale. Sono sostenibili queste misure dal nostro sistema finanziario? Un’applicazione delle percentuali descritte potrebbe riguardare 90 miliardi di euro, con un imponente spostamento di risorse dal centro alla periferia. Con un primo difetto: vista l’elevata differenza del reddito tra le aree del paese, la perequazione al 50% non eviterebbe un surplus di risorse in gran parte delle regioni del Nord e un deficit nelle regioni del Sud. A questa obiezione si può ragionevolmente rispondere che in presenza di un elevato squilibrio, non tutte le nuove funzioni potranno essere svolte da queste regioni, delineando un «federalismo a doppia velocità» tra regioni più sviluppate (cui vengono trasferite più funzioni) e altre a ritardo di sviluppo, che continuano a essere parzialmente sussidiate dalle regioni più ricche (con la perequazione territoriale) e dallo Stato (attraverso la gestione centrale di alcune funzioni). Resta il problema dei surplus piuttosto elevati rispetto alla spesa storica, valutabili in alcuni miliardi di euro, di cui godrebbero le regioni del Nord, che si potrebbero facilmente tradurre in un’accelerazione della spesa pubblica. Per compensarla, sarebbe necessario prevedere una credibile «copertura amministrativa», attraverso tagli di spesa delle agenzie statali e il decentramento degli apparati amministrativi: ipotesi però difficilmente praticabile vista la rigidità che caratterizza l’impiego pubblico. Da qui il rischio di inasprimento fiscale, insito anche in alcune proposte dell’Anci. Molti comuni in Italia sono sull’orlo della bancarotta; altri hanno contratto debiti su strumenti derivati per 35 miliardi di euro. L’imposizione fiscale cresce soprattutto all’ombra dei campanili. Certo, il progetto ministeriale prevede l’invarianza della pressione fiscale. Tuttavia se lo Stato riduce l’imposizione fiscale, ma riconosce al tempo stesso ampi spazi di manovra agli enti territoriali su imposte proprie e aliquote, il risultato potrebbe essere in molte situazioni locali un aggravio dell’imposizione. Un effetto simile all’Irap, oggi inasprita a carico delle imprese in quelle regioni nelle quali l’irresponsabilità delle amministrazioni e dei cittadini determina crescenti deficit nei sistemi sanitari. In sostanza la nuova legislazione, per evitare di tradursi in nuovi deficit o inasprimenti fiscali, dovrebbe avere due requisiti: essere graduale nell’attribuzione delle risorse e soprattutto rafforzare il controllo (centrale e regionale) sulla spesa degli enti locali, riducendone le possibilità di imposizione autonoma. Antonio Giancane