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 2008  maggio 14 Mercoledì calendario

La concorrenza fiscale fa crescere gli stipendi. LiberoMercato 14 maggio 2008 Più che i consumi può la pressione fiscale: il vero perno che fa girare il mondo

La concorrenza fiscale fa crescere gli stipendi. LiberoMercato 14 maggio 2008 Più che i consumi può la pressione fiscale: il vero perno che fa girare il mondo. A parte il termine globalizzazione che è diventato un po’ la parola tappa buchi quando non si hanno dati concreti per spiegare certe pieghe dell’economia, quello che ormai è certo è che a far girare i capitali ci pensa la tax competition. Che, in italiano, non è altro che la concorrenza che le nazioni si fanno tra loro in termini di rapporto tra imposte e percezione della qualità dei servizi. «Globalizzazione è ormai un vecchio concetto», spiegano l’avvocato Jack Anderson e l’economista Marc Milles, rispettivamente collaboratore di Forbes e del Wsj, in un report diffuso da Laffer Associates, «dalla fine del diciannovesimo secolo le persone si muovono liberamente e i capitali si spostano telematicamente in pochi istanti nelle aree finanziariamente più attrattive». Uno dei risultati più evidenti del modello di Laffer è che le nazioni con le tasse più basse o con percentuale in costante discesa crescono più velocemente. Un altro aspetto si riferisce al fatto che «il portafoglio delle small cap (che sono tipicamente concentrate in un solo Stato) basate in una nazione con un buon trend fiscale tende a sovrastimare i propri titoli rispetto a quello di aziende che operano in zone ad alta pressione fiscale. In altre parole c’è un legame diretto tra le tasse e l’attrattività economica e finanziaria. O meglio dei titoli. E non c’è ragione di pensare che ciò che vale nel piccolo non si possa applicare sul mercato globale», continuano i due esperti americani. L’indice Misery Tax che misura la competitività delle nazioni e che ogni anno pubblica la rivista Forbes, in fondo non è altro che la pressione fiscale complessiva di ogni Paese calcolata come mera sommatoria delle diverse specie d’imposta. Le singole differenze sono enormi e gli stessi politici adottano l’indice di Forbes per correggere la propria economia. Per realizzare le riforme in sostanza si taglia le tasse come hanno fatto i Paesi del Golfo persico per farsi concorrenza reciproca. Al contrario la Germania ha lasciato la strada delle riforme fiscali, «per abbandonarsi all’uso dei servizi segreti e "prelevare" i database del Liechtestein e punire un numero X di investitori tedeschi», si legge sempre nel report di Laffer Associates. «Senza preoccuparsi che ora gli stessi investitori stanno cercando alternative in altre otto nazioni europee considerate più attrattive». Il caso di numerose nazioni della Mitteleuropa dimostra come l’uso delle flat tax abbia inciso direttamente sull’economia rimpolpata dagli investimenti esteri. Fuori dall’Europa, il Qatar è l’esempio clou. In un solo anno ha ridotto le imposte di 23 punti percentuali con l’intento di fare concorrenza agli Emirati Arabi Uniti e attrarre capitali per nuove infrastrutture alternative all’economia del petrolio. La pressione fiscale influisce anche, ovviamente sugli stipendi e sulla serenità dei dipendenti. Se una società a pari condizioni paga di contributi in Germania, Olanda e Inghilterra 16mila euro in meno rispetto alla Francia, il bilancio ne risente drasticamente. E per bilanciare i manager francesi devono assumersi più rischi per portare a casa gli stessi stipendi dei colleghi tedeschi. E in molti casi non pareggiano nemmeno le cifre. I dipendenti cinesi hanno percentuali di tasse molto alte e livelli salariali tra i più bassi e al tempo stesso la percentuale di rischio più elevata. Col paradosso che più si abbassano i salari più si aumentano i rischi. A dimostrare il fatto che il governo di Pechino non ha mai prestato ascolto al Misery Index. Claudio Antonelli