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 2008  maggio 16 Venerdì calendario

E Atene non riuscì a dividere giustizia e politica. L’Unità 16 maggio 2008 Nelle nostre moderne democrazie vige tuttora il principio della separazione dei poteri di cui Montesquieu è stato il teorico: tra il potere giuridico e il potere politico vi è una distanza che va rispettata

E Atene non riuscì a dividere giustizia e politica. L’Unità 16 maggio 2008 Nelle nostre moderne democrazie vige tuttora il principio della separazione dei poteri di cui Montesquieu è stato il teorico: tra il potere giuridico e il potere politico vi è una distanza che va rispettata. Ora, nella prima democrazia della storia, quella ateniese, le cose andavano diversamente e ciò permette di misurare la distanza che ci separa da quell’esperienza, peraltro eccezionale. Poiché essa inventò questo sistema, in cui il potere, il kratos, era nelle mani del demos, della comunità dei cittadini, Atene occupa un posto a parte nella storia del mondo greco antico. Per due secoli (V - IV a.C.) fu il centro di una straordinaria vita intellettuale e artistica in diversi campi: storia con Tucidide e Xenofonte, teatro con Eschilo, Sofocle, Euripide, Aristofane e Menandro, filosofia con Platone e Aristotele il quale, benché non fosse ateniese vi insegnò, retorica con Isocrate e Demostene, arte con Fidia e Prassitele ecc. Tale supremazia, nonché l’abbondanza di decreti incisi nella pietra pervenuti fino a noi consentono di penetrare fino al cuore della vita della città, di comprendere il funzionamento della vita politica, di entrare nei dibattiti che segnarono la sua storia nel corso dei due secoli. Tuttavia esistono domande che restano ancora aperte, tra cui quelle riguardanti precisamente i rapporti tra giustizia e politica. Parlando di giustizia sorge un doppio interrogativo: quali erano i suoi fondamenti e come era esercitata? Alla prima domanda non è facile rispondere: la tradizione, elaborata principalmente nel IV secolo, fa riferimento a una successione di legislatori (Dracone, Solone, Clistene, Efialte) che avrebbero elaborato leggi e creato istituzioni, generalmente in risposta a una situazione di conflitto in merito alla quale siamo più o meno bene informati: così le leggi di Dracone sull’omicidio avrebbero mirato a porre fine alle vendette private della fine del VII secolo; le leggi di Solone (inizio del VI secolo) sarebbero state imposte dal legislatore per mettere fine a una grave crisi che divideva la città; quanto a Clistene, all’indomani della caduta della tirannide, egli operò una nuova suddivisione dei cittadini sostituendo le vecchie tribù con tribù territoriali e creando il Consiglio democratico dei Cinquecento; Efialte infine avrebbe ridotto i poteri del vecchio tribunale dell’Areopago rimettendoli al tribunale popolare dell’Heliaía. Questi diversi provvedimenti crearono un apparato giudiziario complesso. Se le cause di omicidio erano sempre di competenza del tribunale dell’Areopago, i tribunali dell’Heliaía rappresentavano il principale organismo d’appello, sia per i processi privati (dikai) che per quelli pubblici (graphai). Non esisteva il pubblico ministero e soltanto gli individui potevano intentare una causa. Se la procedura di arbitrato falliva, un magistrato istruiva il caso che veniva portato in tribunale. Accusatore e accusato prendevano la parola a turno per un tempo uguale, misurato dalla clessidra. Al termine di tale confronto, i giudici estratti a sorte tra i seimila eliasti, a loro volta sorteggiati ogni anno, si pronunciavano con una votazione a scrutinio secreto. Accusatore e accusato potevano ricorrere a testimoni. Agli schiavi non erano consentito parlare se non sotto tortura. Dalla metà del V secolo, e probabilmente su iniziativa di Pericle, i giudici dei tribunali popolari furono retribuiti con un salario che ammontava, all’epoca in cui Aristofane compone le Vespe, a tre oboli. Stando al poeta comico, per i cittadini anziani e poveri questo era un modo di assicurarsi una fonte di sostentamento. Da qui a considerare la giustizia popolare ateniese uno strumento nelle mani dei cittadini più poveri il passo è breve, e furono gli oppositori della democrazia ateniese a compierlo. Il che ci porta alla seconda parte di questa rapida analisi: quella politica. Le più antiche arringhe giudiziarie pervenuteci risalgono alla fine del V secolo. Questo periodo è un’epoca cruciale per la storia ateniese, segnato da due tentativi di rovesciare la democrazia del 411 e del 404, e dalla fine dell’egemonia ateniese sul mondo egeo dopo la sconfitta navale di Aigos Potamos che consacra la vittoria di Sparta. All’indomani della prima rivoluzione oligarchica si decise di operare una generale revisione delle leggi allo scopo di eliminare le leggi contraddittorie e fu designata un’apposita commissione che fu riconfermata dopo la seconda restaurazione democratica. A partire da questo momento, Atene avrebbe avuto un codice di leggi cui fanno spesso riferimento gli oratori del IV secolo. Per alcuni moderni, l’elaborazione di questo diritto ateniese avrebbe consentito l’affermarsi di una giustizia indipendente dai tumulti della politica, il che non era avvenuto nel periodo precedente, come era stato dimostrato da un processo intentato ad alcuni generali accusati di aver abbandonato gli equipaggi delle navi naufragate al termine di una battaglia in cui comunque gli ateniesi avevano riportato una vittoria. Il titolo del libro di un grande storico americano, Martin Ostwald, From Popular Sovereignty to the Sovereignty of Law, esprime bene questa evoluzione verso una giustizia indipendente. A meglio guardare, e nonostante i sempre più frequenti riferimenti alle leggi da parte degli oratori, sembra proprio che giustizia e politica restino strettamente legate ad Atene. Non soltanto le parti in causa, accusati o accusatori, non mancano di parlare del loro attaccamento al regime e della loro preoccupazione di difenderlo, perfino in casi di adulterio o nel caso di una lite per la successione ma, soprattutto, i numerosi processi politici di cui conosciamo le parti in causa confermano che, nonostante il costante riferimento alle leggi, si tratta più spesso di regolamenti di conti tra uomini politici e di una messa in discussione del loro ruolo nella gestione degli affari della città. Ciò è vero soprattutto per i due processi di cui possediamo le opposte arringhe: il processo per l’ambasceria e il processo per la corona. Entrambi contrapponevano Eschine, piuttosto favorevole a una politica di intesa con Filippo, il re macedone, le cui ambizioni minacciavano l’indipendenza delle città greche, a Demostene, partigiano, al contrario, di una politica offensiva nei confronti dei tentativi dello stesso Filippo. Le cose, ovviamente, non sono così semplici, perché talvolta Demostene si barricava dietro a personaggi minori, come Timarco o Ctesifonte, che Eschine accusava, nel nome del rispetto della legge, per meglio colpire il suo vero avversario. La vita scandalosa di Timarco era un pretesto, così come lo era il conferimento di una corona a Demostene, proposto da Ctesifonte, per il quale questa era in realtà la denuncia di una politica. Ciò significa, pertanto, che i tribunali sostituivano le sedute dell’assemblea del popolo in quanto luoghi del dibattito politico? Sì e no. Sì, perché qui si parlava più di politica che di giustizia. No, perché effettivamente non c’era alcun dibattito dinnanzi ai tribunali. Era in assemblea che si discutevano le proposte che riguardavano la politica della città e, quale che fosse l’influenza degli oratori sulla folla del loro pubblico, è in ultima analisi dai voti di questa folla che dipendevano le decisioni, come attestano numerose iscrizioni arrivate fino a noi. Nonostante alcuni limiti, nell’Atene democratica del IV secolo il popolo riunito in assemblea conservava la propria sovranità. Claude Mossè