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 2008  maggio 16 Venerdì calendario

Aiuto, arrivano i cinesi. La Stampa 16 maggio 2008 Il tartufo italiano ha un nemico: è quello cinese, che ha un aspetto simile al «nero», non sa di niente, è invasivo, biologicamente prepotente e capace di soppiantare in tempi brevi la specie nostrana

Aiuto, arrivano i cinesi. La Stampa 16 maggio 2008 Il tartufo italiano ha un nemico: è quello cinese, che ha un aspetto simile al «nero», non sa di niente, è invasivo, biologicamente prepotente e capace di soppiantare in tempi brevi la specie nostrana. Per il momento questo mostro minaccioso è ancora in gabbia, nel senso che è stato individuato in una tartufaia, ma potrebbe «evadere» e sarebbero guai seri, per il «nero» in particolare, ma anche per il «bianco». A fare la scoperta sono stati i ricercatori dell’istituto per la Protezione delle Piante del Cnr e del dipartimento di Biologia vegetale dell’università di Torino, coordinati dalla professoressa Paola Bonfante. La presenza di tartufi di provenienza esotica, non è una novità per il mercato, in quanto sono circa 15 anni che se ne trovano anche in Italia. Tra questi c’è il «tuber indicum» di provenienza cinese e lontano parente del nostro «tuber melanosporum», con il quale condivide molti caratteri genetici e morfologici, ma non le «qualità organolettiche». In sostanza: è altrettanto bello (o brutto) ma non sa di niente e neppure profuma. Se la disputa fosse solo di mercato, non ci sarebbe storia, il «melanosporum» nostrano sarebbe imbattibile, se invece la contesa dovesse spingersi sul piano biologico, il «nero» potrebbe avere la peggio e il pregiato bianco sarebbe quantomeno minacciato. «Durante un controllo in una tartufaia artificiale nelle vicinanze di Torino effettuata insieme a Claude Murat - spiega la professoressa Bonfante - dove una decina di anni fa erano state messe a dimora delle piantine vendute come micorrizate con tuber melanosporum, abbiamo individuato il Dna del tuber indicum, sia nel suolo che sulle radici. E’ la prima volta che questa specie originaria dalla Cina viene identificata in un ecosistema europeo e dimostra come sia stata utilizzata, intenzionalmente o accidentalmente, per inoculare delle piantine da mettere a dimora in suoli italiani». Il problema, dunque, è che il tartufo cinese non sarebbe più solo sui banchi del mercato, ma sarebbe stato introdotto nelle piantagioni da una mano incauta, non si sa se per errore o deliberatamente, e comunque un tentativo di arrembaggio alla specie piemontese ci sarebbe stato. La cosa, beninteso, è foriera di problemi, perché, dice ancora Bonfante, «studi recenti hanno mostrato che il tuber indicum, almeno in condizioni in vitro, è più competitivo del melanosporum, e potrebbe quindi prendere il sopravvento. Inoltre, le due specie sono geneticamente molto vicine e potrebbero essere capaci di ibridarsi». Bene che vada, dunque, l’originale rischia un imbastardimento e la possibilità di interferenze pericolose con quello d’Alba non possono essere scongiurate. Ma la minaccia potrebbe essere ancora più grave e minare addirittura la sopravvivenza delle varianti nostrane? «Al momento - risponde la ricercatrice - non conosciamo l’entità della presenza di tuber indicum nel nostro territorio, né possiamo correttamente valutare le conseguenze di questa introduzione. Possiamo tuttavia ipotizzare che questa specie rappresenti un pericolo per il tartufo nero pregiato, aggiungendosi ad altri fattori ambientali che già hanno causato una forte diminuzione della produzione negli anni recenti». Di fatto, dicono al Cnr, c’è un allarme generale da parte degli ecologi per la rapida diffusione di molte specie invasive, in quanto è dimostrato che la maggior parte di queste sono più forti delle autoctone e sono capaci di espandersi assai rapidamente, con forte danno l’ecosistema e la biodiversità. A questo punto come si può rimediare? «Sono certamente necessarie misure che richiedano accurati controlli di qualità delle piante micorrizate in modo da evitare la disseminazione di specie invasive - dice Bonfante - e la messa in pericolo di aree così peculiari del nostro territorio, come quelle produttrici di tartufi. Le metodologie necessarie per affrontare questa situazione, basate sull’analisi del Dna, sono disponibili, affidabili e a portata di qualsiasi laboratorio». Se un argine c’è, dunque, va attivato ora. RAFFAELLO MASCI