Liberazione 17 maggio 2008, Gemma Contin, 17 maggio 2008
Renato Nicolini. Liberazione 17 maggio 2008 Architetto, professore all’università di Reggio Calabria, Renato Nicolini è anche scrittore, performer teatrale, intellettuale multiforme
Renato Nicolini. Liberazione 17 maggio 2008 Architetto, professore all’università di Reggio Calabria, Renato Nicolini è anche scrittore, performer teatrale, intellettuale multiforme. E’ stato assessore alla Cultura a Roma con sindaci come Giulio Carlo Argan e Luigi Petroselli e all’Identità urbana a Napoli con Antonio Bassolino. Ha inventato l’Estate romana, la rassegna del cinema a Massenzio, l’"effimero". Ma il suo percorso politico e pubblico comincia negli Anni Sessanta, con le occupazioni di Architettura. Lo abbiamo intervistato. Rainews24 sta preparando una puntata speciale sul ’68 con lei "guest star". Ci anticipa qualcosa? Io ho un ricordo vivissimo, che è quello dell’uccisione di Paolo Rossi. Mi è ritornato in mente in questi giorni, quando Alemanno è stato eletto sindaco. Ricordo distintamente quello che accadde: non solo l’occupazione, la morte di Paolo Rossi, ma anche gli sputi dei fascisti, i pugni, i calci, e Pino Rauti che tentò di aggredirmi. Il suocero di Alemanno? Sì. Per me rimane quell’ immagine: di questo signore che si aggira tra gli studenti romani e cerca di colpirmi con una sedia. Negli Anni Sessanta c’era una tradizione: il 25 aprile noi goliardi autonomi romani andavamo all’università a distribuire i volantini della Liberazione e tutte le volte i fascisti ci aggredivano e ci menavano, anche pesantemente. Per lei cos’è stato il ’68? Ho sempre pensato che il ’68 sia stato due cose: una, la fine di un grande movimento riformista per una migliore qualità degli studi, che aveva riguardato soprattutto le facoltà di Architettura che formavano i professionisti. Tu uscivi con la laurea e ti compravi la spider. A Napoli gli studenti di Architettura erano 80, a Roma 100. Il mercato era buono. Quando mi iscrissi io eravamo già in 300. A quel punto si pose il problema che non si poteva mantenere quella didattica con la mano del professore sulla spalla. E partirono le occupazioni? Noi facemmo una battaglia. Nel ’63 tutte le facoltà di Architettura furono occupate. In seguito alla nostra occupazione vennero chiamati Zevi, Piccinato, quelli che rappresentavano l’architettura moderna. Ma noi volevamo molto di più: volevamo che tutto venisse deciso in assemblea. La grande illusione dell’assemblearismo? Questo è il secondo aspetto del ’68. Io ho aderito al Partito democratico, ma ho sempre avuto in mente un modello di democrazia che fosse la continuazione di questa grande stagione degli Anni Sessanta: i consigli di fabbrica, le assemblee, la partecipazione. Tra l’altro secondo me, questo abbasserebbe moltissimo i costi della casta, riducendo gli organismi di democrazia delegata, e ci si divertirebbe molto di più. Comincia da lì la sua attività politica? In qualche modo quella fu la fine della mia attività politica. Ero nel comitato centrale della Fgci (la Federazione giovanile comunista italiana, ndr ) e mi dimisi da tutte le cariche, perché il meccanismo dell’assemblea cambiò. Più che la battaglia per esprimere le proprie posizioni divenne la caccia al consenso, il leaderismo, l’apologia del capetto. Io invece penso che il dissenso, il conflitto, sia un fatto di democrazia. Ma nel confronto bisogna avere delle idee. Così abbandonai la segreteria romana della Fgci e mi iscrissi al Pci, alla sezione Campo Marzio. Fu un’esperienza molto socializzante: stavamo in sezione fino alle dieci di sera, dibattevamo su tutto, votavamo ordini del giorno. Lì feci due cose, perché finendo le riunioni molto tardi non potevo andare al cinema. Per vedere il mio film quotidiano ero costretto ad andare ai cineclub che cominciavano le proiezioni più tardi. L’altra cosa importante fu la festa dell’ Unità a Piazza Navona, assieme a una visita guidata ai padiglioni del Mattatoio in cui mille persone mi seguirono e io spiegai cosa sarebbero diventati. Non sapevo di mentire, perché di tutto quello che immaginavo nulla è stato fatto. Il partito decise allora di farmi eleggere al consiglio comunale. Per diventare assessore alla Cultura? Avrei dovuto fare l’urbanista. Mi ero comperato anche dei libri, perché io ero un progettista: due palle! Poi inopinatamente andai alla Cultura. Secondo me, Petroselli voleva che in giunta come assessore allo Sport entrasse Walter Veltroni, ma Veltroni disse «sono troppo giovane, mandate avanti un altro». E io fui il cretino che accettò. E si è scatenato. Ho avuto una condizione invidiabile. Credo sia stata un’esperienza straordinaria, a parte la Commissione cultura della Federazione romana che ogni tanto si riuniva e faceva ordini del giorno di fuoco contro la mia politica. Ma non ho avuto una sola telefonata dal partito, e nemmeno dal sindaco. Veramente il sindaco mi chiamò una volta sola, quando si parlò dell’allagamento di Piazza Navona, per dire che quello non si doveva fare. Erano tutti sotto choc? Ero giovane: avevo una visione della politica per cui eravamo tutti comunisti. Il comunismo è la liberazione dal lavoro; è la società della libertà, non regolata dal regno della necessità. Ancora adesso, no? Chiunque veniva a propormi un’idea, un progetto, per me era un compagno, un fratello. Invece, che so, uno della sezione di San Lorenzo veniva a dirmi: «Questi che stanno facendo l’Estate romana a Villa Mercede sono autonomi, sono pericolosi sovversivi». Io invece andavo avanti. E’ stato un momento molto bello perché arrivavano tutti: le cantine, i cineclub, gli artisti di strada. Mi proponevano delle cose che avevo sognato per tutta la vita, per cui io sono stato non solo in sintonia con loro, ma ho avuto la possibilità per cinque anni, fino all’81, di finanziare qualsiasi iniziativa venisse proposta. In questo modo potevo realizzare anche l’idea che mi stava a cuore, e cioè di fare una grande festa del cinema, nel senso vero della parola. Dovevamo farla a Caracalla, poi si fece a Massenzio. Da lì in poi arrivarono tutti: qualcuno voleva ballare a Villa Ada; qualcuno voleva il circo in piazza; la festa a Via Giulia; i murales. Se ne parla ancora. Bè, ebbero un impatto notevolissimo. Erano molto semplici, piacevano ai romani. Ed erano d’avanguardia, perché nessun conservatore metterebbe il circo a Via Giulia. Invece bisogna fare delle cose che siano d’avanguardia ma di largo consumo: molto dotte ma molto popolari. Proiettammo Ultimo Tango , che doveva andare al rogo e noi lo salvammo. Proiettammo Napoleon di Abel Gance. Nel Pianeta delle scimmie qualcuno vede solo un polpettone di fantascienza, ma qualcun altro vede Charlton Heston che scopre la Statua della Libertà. Era una cosa a più livelli. Anche la fila di banchetti dei ragazzi a Villa Ada, chi con la torta fatta in casa, chi con le cose etniche portate dai loro viaggi. Fino a quando, nell’81, viene Jack Lang con madame Mitterrand, e rimane così affascinato dall’Estate romana, che rimane tre giorni a Roma. Un "effimero persistente", replicato, studiato. Sì, in Francia studiano l’Estate romana. Ci sono state tesi di laurea. Una giovane che si è laureata con una tesi sull’arte di strada francese è andata a parlare con gli artisti di strada parigini, ma quelli le hanno detto «vai a parlare con Nicolini, perché il meraviglioso urbano l’ha inventato lui». A Roma arrivarono Cantor, Mnouchkine, Pina Bausch. E fu una festa di libertà, di autogoverno. Cosa su cui io insisto molto. Ma abbiamo fatto anche cose importanti come l’ex Birreria Peroni, i musei aperti di notte, il sistema delle biblioteche. Alla fine tutto questo mi procurò 40mila preferenze. E tutti cominciarono a pensare che con l’effimero si prendevano i voti. Lì cominciarono i miei guai. Nel ’93 il Pds non la propose come sindaco e candidò Rutelli. Per questo poi andò a Napoli? Veramente io non ho mai capito perché non mi hanno candidato come sindaco. Anche adesso se lo avessero fatto Roma non sarebbe finita nelle mani di Alemanno e neppure se al posto di Rutelli avessero candidato Zingaretti, come dimostrano i suoi 50mila voti in più. E l’esperienza napoletana? Come assessore fu una bella esperienza, meno sul terreno politico. C’era Vezio De Lucia all’Urbanistica e Ada Collidà al Traffico. Lei capì per prima che c’era qualcosa che non andava e si dimise dopo un anno. E’ stata un’esperienza interessante ma, anche se Bassolino non me lo disse, c’era una situazione di dissesto. Così ho fatto per tre anni l’assessore senza bilancio. Funzionava bene perché c’era un fortissimo volontariato, un fiorire dell’associazionismo, una voglia di lavorare, e di lavorare gratis. Fino a che non arrivarono i concerti della Telecom, e quelli venivano pagati. Poi Bassolino fece un errore: nel senso che puoi benissimo governare con il 51% e realizzare il tuo programma; ma quando arrivi al 65-66-67% vuol dire che non stai realizzando il tuo programma. Comunque molte delle cose che volevo realizzare si sono fatte: volevo che il Mercadante diventasse un teatro stabile, Piedigrotta, le mostre d’arte a Piazza Plebiscito. Com’è finita? Io avevo in testa una cosa: pensavo che Napoli dovesse diventare il terzo polo per la produzione televisiva italiana. Allora alla Rai c’era Freccero, c’era un’idea. Poi invece su Bagnoli non si è arrivati mai a prendere una decisione. Io pensavo: lì si smonta un’industria, se ne deve aprire un’altra. Queste cose però vanno fatte bonificando. Bisognava sistemare l’area ex Italsider. Non se ne fece più niente. Poi arrivò la proposta di Rutelli di presiedere il Palazzo delle Esposizioni e io accettai di ritornare a Roma, ma commisi alcune ingenuità, perché pensavo che quella dovesse essere una struttura autonoma dal Comune. Però ho realizzato alcune delle più belle mostre che si sono tenute in quel Palazzo. "La Stampa" scrive che ora Alemanno potrebbe imbarcare Nicolini e Borgna nella squadra capitolina. Alemanno adesso è il sindaco di Roma. Se mi chiama per sapere cosa ho in testa, data la mia esperienza, io ho il dovere di andare a parlare con il sindaco di Roma e dirgli quello che penso. Di Borgna non so, bisogna chiedere a lui. Ma io, insomma... con quelle premesse... Gemma Contin