Milano Finanza 16 maggio 2008, Mario Comana, 16 maggio 2008
Il Fisco pesa sulle banche più di quanto pensi Tremonti. Milano Finanza 16 maggio 2008 C’era una volta un curato di campagna che rimproverava un ragazzaccio che stava prendendo il vizio di delinquere: «Figliolo, perché ti ostini a compiere le rapine in banca?»
Il Fisco pesa sulle banche più di quanto pensi Tremonti. Milano Finanza 16 maggio 2008 C’era una volta un curato di campagna che rimproverava un ragazzaccio che stava prendendo il vizio di delinquere: «Figliolo, perché ti ostini a compiere le rapine in banca?». Risposta: «Padre, ma è lì che ci sono i soldi!». Questa semplicistica filosofia sembra ispirare l’idea di Tremonti di recuperare dalla maggiore tassazione degli istituti di credito il gettito che verrà meno a seguito delle manovre di alleggerimento di alcune altre imposte. Dove andare a pescare se non nel bacino (apparentemente) più florido? Eppure a una persona competente come il ministro dell’economia dovrebbe essere noto che il quadro dell’industria bancaria è già complessivamente molto fosco. Due questioni in particolare si agitano: l’Irap, che sulle imprese di servizi come gli intermediari finanziari grava in misura molto severa, e l’Iva, che sta per diventare nuovamente penalizzante per le prestazioni di servizi infragruppo. Il primo tema riguarda un’imposta che è da tempo soggetta a molte critiche e che, è stato detto, finisce per essere un’imposta sul lavoro dipendente. La sua base imponibile, lo ricordiamo, è sostanzialmente l’utile netto aumentato dei salari, degli stipendi e degli oneri accessori. L’Irap quindi colpisce le imprese in modo diverso in funzione della loro struttura dei costi e ciò penalizza le banche perché, non compiendo un’attività di trasformazione di materie prime o di acquisto di prodotti da rivendere, su di esse il costo del lavoro incide molto. Nel 2006, per esempio, i costi operativi delle banche sono stati 37 miliardi, pari a circa il 41% del margine di intermediazione, che può considerarsi la produzione delle banche stesse, e di questi costi più di 20 miliardi rappresentati da lavoro dipendente. Se a questo si aggiunge che molte regioni d’Italia hanno aumentato l’aliquota Irap negli anni scorsi, si comprende quanto questa imposta morda il conto economico delle aziende di credito. Da tempo si cerca di far presente questa anomalia ottenendo per esempio un’aliquota particolare o altri strumenti compensativi, ma finora senza successo. La problematica dell’Iva è più complessa e concerne una modifica all’attuale regime che decorrerà dal 1° luglio. Si deve partire ricordando che i ricavi delle banche, prevalentemente dati da interessi attivi e proventi finanziari, sono fuori dal campo di applicazione dell’Iva e a ciò corrisponde logicamente l’indetraibilità dell’imposta applicata sugli acquisti. Il risultato finale è che l’Iva pagata da una banca su qualunque acquisto, materiali di consumo, computer, servizi professionali ecc., rappresenta un costo secco finale. Fin qui tutto bene. Il problema nascerà da luglio in relazione ai servizi infragruppo, per esempio la locazione di locali da parte dell’immobiliare del gruppo a una banca dello stesso gruppo che vuole collocarvi uno sportello. L’immobiliare dovrà applicare l’Iva, ma la banca non la potrà dedurre e quindi, per un mero passaggio interno, si determina un onere netto per il gruppo. Per capirsi meglio: se l’immobile fosse della stessa banca che lo utilizza, essa non corrisponderebbe alcun canone e quindi non pagherebbe alcuna imposta. La creazione di società immobiliari o di servizio all’interno dei gruppi bancari non risponde certo a intenti elusivi ma è l’espressione della libera scelta di articolazione societaria, solitamente orientata al più razionale espletamento dell’attività. Rimanendo all’esempio degli immobili, è evidente che si realizzano economie di scala, di scopo e di specializzazione se la gestione degli stabili è affidata a un unico team, collocato appunto in una società specializzata, piuttosto che disperdendola entro piccole unità in ciascuna società del gruppo. Le scelte organizzative devono essere funzionali agli assetti e alle strategie del gruppo stesso e dovrebbero potersi compiere in regime di neutralità fiscale. La modifica che scatterà a luglio, invece, rende oltremodo svantaggioso strutturare il gruppo mediante società di servizio interne, al di là della possibile efficienza ed efficacia della soluzione adottata. Le indicazioni di Tremonti sulla maggiore tassazione delle banche, uscite in coincidenza con le notizie sulla portabilità dei mutui, sembrano quindi avere quasi un sapore punitivo. Invece, sarebbe oltremodo preferibile che la normativa fiscale favorisse l’efficienza delle banche, come di tutte le imprese, invece di sottoporle a percorsi e a slalom impervi e rischiosi. Ne trarrebbero giovamento le imprese stesse, la crescita, gli utenti e, in ultima analisi, il fisco. Non sarebbe il momento di intraprendere questa strada? Mario Comana