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 2008  maggio 18 Domenica calendario

Tettamanzi: e noi sperimentiamo i parroci itineranti. Corriere della Sera 18 maggio 2008 MILANO – Eminenza, nel giro di vent’anni i sacerdoti diminuiranno di un quarto, già adesso l’Italia è piena di parrocchie senza guida

Tettamanzi: e noi sperimentiamo i parroci itineranti. Corriere della Sera 18 maggio 2008 MILANO – Eminenza, nel giro di vent’anni i sacerdoti diminuiranno di un quarto, già adesso l’Italia è piena di parrocchie senza guida. Cosa può fare la Chiesa? «Vede, tutte le istituzioni come tali conoscono l’usura del tempo e hanno bisogno di diventare più flessibili e vicine ai bisogni della gente». Il cardinale Dionigi Tettamanzi (foto) porta una mano al petto e sfiora il Crocifisso con la punta delle dita. Non ha l’aria preoccupata, anzi. Sorride: «La prospettiva che si sta aprendo in diverse diocesi è quella di mettere in rete le parrocchie ». In effetti il modello che si sta diffondendo è nato proprio con le «comunità pastorali» ambrosiane. In una zona ci sono più parrocchie che sacerdoti? Le parrocchie si mettono insieme e formano una «équipe» di preti, diaconi, suore e fedeli laici che copriranno tutte le necessità. Le «comunità pastorali» sono già 43 per un territorio di 500 mila persone, circa il dieci per cento della diocesi più vasta d’Europa. Qualche mese fa invitava i sacerdoti alla «disponibilità a ripensare e riconvertire il proprio ministero ». Ci sono resistenze? « un problema umanamente comprensibile che paga il costo di una tradizione nella quale la Chiesa era equamente divisa sul territorio. Ora il mondo è cambiato e la realtà è più mobile, anche rispetto alla popolazione. Il sacerdote stabile diventa una figura sfocata, i confini cadono ed emerge il volto del prete itinerante». Il prete itinerante? «Se in una zona i preti stanno insieme e svolgono un impegno pastorale condiviso hanno più possibilità di raggiungere la gente. Certo, è un processo storico che richiede il suo tempo ma porterà a una qualità più alta nelle relazioni tra le persone. Ciascuno all’inizio vorrà il proprio prete, ma col tempo comincerà a capire che tutti gli altri sono il proprio prete!». Ma non ci sono solo i preti, no? «Questo è il punto essenziale: il sacerdozio comune dei fedeli, uno dei grandi temi del Vaticano II. Sa, quando un prete assiste un malato si dice che gli offra consolazione, ma la verità è che al contempo il malato offre consolazione al prete. La Chiesa non può e non deve fare riferimento solo al sacerdote ma a tutti i membri della comunità parrocchiale. Attenzione: vicinanza e condivisione non sono un servizio esclusivamente clericale ma, più in generale, ecclesiale. Non è una "strategia". Col tempo si rivelerà una ricchezza». In che senso? «Tra l’altro permetterà al sacerdote di dedicarsi a ciò che più propriamente fa parte del suo ministero. Come nella Chiesa primitiva, si tornerà al ruolo missionario dei laici. Così si dà più libertà al prete e più libertà ai fedeli. E questo comporta un’assunzione di responsabilità più autentica perché condivisa da tutti». Chi deve essere, oggi, un prete? «Un uomo chiamato a portare speranza. Viviamo in un mondo che patisce un vuoto di speranza. C’è incertezza, paura, angoscia. E il prete ascolta gli altri, cammina con loro, ne condivide fatiche e difficoltà. Esce con la gente e sta con la gente». Parrebbe un compito più sociale che religioso... «Può sembrare che la sua attività sia diventata sempre più umana, meno legata al trascendente, ma non è così. Il prete riesce a cogliere nella realtà i tanti elementi di bene, magari lontani dalla ribalta ma concreti, proprio perché è capace di comunione con Dio. La sorgente della speranza che offre gli viene dal trascendente». Spesso nella Chiesa si mette in guardia dai rischi del carrierismo «Non ci dobbiamo meravigliare se talvolta perfino un sacerdote o chi ha il progetto di diventarlo non sappia dominarsi e pretenda di salire i gradini. La tentazione del potere, purtroppo, è davvero di tutti». E i giovani preti che evitano le destinazioni scomode? «Cosa vuole, le cose scomode fanno parte della vita di tutti. pesante anche fare il padre di famiglia o il giornalista! Davanti ad un nuovo incarico è normale che un sacerdote nutra delle paure, specie se destinato in zone difficili. L’importante è che sia aiutato a fugare i timori e sia poi sostenuto. Ma la normalità è fatta di tanti sacerdoti che dicono al proprio vescovo "mi mandi dove ritiene giusto"». Cosa direbbe a un ragazzo che vuole diventare sacerdote? «Sono contento di incontrarti. Di vedere un uomo che sta facendo la mia esperienza. So che all’inizio ci saranno dubbi, incertezze, paure. Ti accorgerai che il sacerdozio esige fedeltà, coraggio, sacrificio. E quando ti sentirai solo con te stesso non avere paura: sacrifici e rinunce verranno pienamente ripagati ». C’è una perdita di ruolo sociale, un problema di solitudine dei preti? «Se ne parla spesso, ma ci si deve domandare: è più pesante la solitudine del prete o quella di tutte le persone che il prete incontra? Del resto un processo storico non può essere letto in modo univoco, la stessa tendenza alla secolarizzazione suscita un bisogno maggiore di spiritualità. E ogni esperienza, anche la più negativa, va colta come opportunità. C’è una solitudine feconda, cristiana. Guai se non avessimo momenti di solitudine: finiremmo per essere dei dispersi». Gian Guido Vecchi