Il Messaggero 15 maggio 2008, RITA SALA, 15 maggio 2008
Paolo di Tarso. Il Messaggero 15 maggio 2008 ’L’AMORE non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà
Paolo di Tarso. Il Messaggero 15 maggio 2008 ’L’AMORE non avrà mai fine. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La scienza è imperfetta, la profezia limitata, ma verrà ciò che è perfetto ed esse scompariranno”. Basterebbe questa parte del suo inno all’amore (prima Lettera ai Corinzi) per fare di Paolo di Tarso un divo pop. Coraggioso ai limiti dell’ardimento, innamorato delle proprie passioni, colto, carismatico, sognante. Un convertito, per di più. «Sono giudeo (scrive di sé, negli Atti degli Apostoli), nato a Tarso in Cilicia, cittadino di una città che non è senza fama». Anche fiero, dunque, delle proprie appartenenze. Lui che, arrestato e messo in catene, pronunciò le fatidiche tre parole, civis romanus sum, e ottenne di essere portato a Roma e giudicato non da un governatore di provincia, ma nella capitale dell’Impero. L’Urbe, in quell’anno 61 in cui Nerone, già sospettato dell’incendio della città, era chiacchierato perché dava spettacolo come attore, cantante e suonatore di lira, riusciva a conservare la fama di luogo in cui la legge non era del tutto irrisa. Paolo, in origine Saulo, ebbe un’educazione ellenistica e insieme ebraica. Parlava alla perfezione sia il greco, sia la lingua dei padri, e studiò a Gerusalemme, per un periodo, con il rabbino Gamaliele il Vecchio. Imparò e fece per tutta la vita il mestiere del padre: il costruttore di tende (il che gli consentì di mantenersi, anche durante l’apostolato, con il proprio lavoro, senza mai gravare su alcun sovventore). A questo «uomo di bassa statura, la testa calva e le gambe storte, le sopracciglia congiunte, il naso alquanto sporgente, pieno di amabilità», che «a volte aveva le sembianze di un uomo, a volte l’aspetto di un angelo» (così ce l’hanno tramandato gli Apocrifi di Paolo e Tecla), sono dedicati i dodici mesi che vanno dal 28 giugno prossimo alla stessa data del 2009, per celebrare il bimillenario della sua nascita. L’Anno Paolino, voluto da Benedetto XVI, prevede «eventi liturgici, culturali ed ecumenici, come pure varie iniziative pastorali e sociali, tutte ispirate alla spiritualità paolina». Ma è chiamato soprattutto a sottolineare, di Paolo, un tratto specifico, estremamente contemporaneo, condivisibile da parte di ogni cittadino del mondo globalizzato: l’internazionalismo. Paolo il viaggiatore. Il frequentatore di luoghi quali lo stadio, i tribunali, il teatro, il porto, i negozi degli artigiani, gli accampamenti militari. Capace di parlare alle donne e agli uomini di ogni ceto sociale, in ogni parte dell’Impero, con la stessa lucidità usata per i filosofi ateniesi, ”ragazzo con la valigia” che avvicina Atene a Gerusalemme e viceversa, gettando le basi dell’attuale mondo sincretico. Ne parliamo con Giulio Maspero, comasco di formazione ambrosiana, docente di Teologia Dogmatica alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma avendo lasciato, per abbracciare la sua vocazione, il dottorato in Fisica Teorica a Milano. Maspero ha aperto nella capitale lombarda un ciclo di conversazioni organizzate dal "Centro Culturale" con il titolo Sulle tracce di San Paolo. Gli inizi di una nuova ragione. Paolo di Tarso come ponte fra ellenismo, ebraismo e cristianesimo. Possiamo dire sia questo uno dei tratti essenziali della sua ”poetica”? «Si narra che i discepoli di Cristo furono chiamati per la prima volta cristiani ad Antiochia, quando iniziarono ad annunciare il Vangelo ai greci. E’ estremamente interessante che si sia iniziato a parlare di cristianesimo proprio in quell’occasione e in quella città della Siria, poco distante da Tarso, di dove era originario Paolo. L’incontro, simbolico e non, tra Atene e Gerusalemme è certo un elemento essenziale della sua vita. Paolo aveva ricevuto a Tarso l’educazione tipica di una città grecizzata di allora. Aveva letto Euripide e Omero e si era formato secondo i principi della retorica del tempo, come è evidente dalle sue opere. Da esse traspare anche la conoscenza della filosofia stoica. E proprio un trattato filosofico di origine aristotelica, oggi perduto, è alla base del discorso all’Areòpago, quando, ad Atene, si rivolge ai filosofi citando lo scritto, in alcuni punti quasi letteralmente. Gli ateniesi lo seguono, ma rifiutano l’annuncio del Vangelo quando sentono parlare di resurrezione, cioè quando dalla natura si passa alla storia. Si tratta proprio del salto essenziale che è richiesto dal cristianesimo, quello dalla Necessità alla Libertà, quello che distingue Natura e Storia, riempiendo di valore quest’ultima e superando la concezione dell’eterno ritorno». Il Mediterraneo e le civiltà che vi erano affacciate favorirono l’ecumenismo ante litteram di Paolo. E la centralità del Mare Nostrum è un tema molto attuale. «L’annuncio di Paolo fu possibile perché il Mediterraneo era unito dall’uso di un’unica lingua, la koiné greca, diffusa dalle conquiste di Alessandro Magno. Il quale, creando un impero, aveva fiaccato il primato delle polis greche e favorito gli stati nazionali, come la Macedonia e l’Egitto. Le forze vive della Grecia vennero attratte verso grandi città come Alessandria, Pergamo ed Antiochia, che divennero i nuovi centri culturali e commerciali dell’epoca. Per avvicinarsi a Paolo è essenziale comprendere bene questa possibilità linguistica e l’assetto compatto del Mediterraneo di allora». Paolo riuscì a ”comunicare” ai popoli di cultura greca, filosoficamente evoluti, il ”concetto” di Dio che era degli Ebrei. «Gli Ebrei erano un popolo errante (il termine ”ebreo” significa colui che attraversa, colui che passa). Non avevano nemmeno un loro Dio, dovevano fare i conti con gli dèi dei popoli che incontravano. Eppure svilupparono ben prima dei Greci una concezione di Dio estremamente fine. La teologia ed il pensiero di Paolo nacquero da essa, dal concetto di un Dio capace di irrompere ”di persona” nella vita dell’uomo. Un Dio ”amico”». Cristo chiama i discepoli amici e predica l’amore ai nemici. Un salto radicale: la filosofia greca riconosce l’impossibilità di essere amici di Dio, ed evidenzia le difficoltà dell’amicizia. La rivelazione cristiana, invece, afferma che Dio si fa nostro amico e che, quindi, è possibile amare tutti». L’incontro fra Atene e Gerusalemme, per Paolo, avviene prima, dopo o sulla via di Damasco? «Chi è cristiano deve tener presente ciò che afferma la filosofia greca sull’impossibilità del rapporto con Dio, e fare la differenza: il Dio cristiano viene incontro all’uomo. Tutte le seti dell’uomo possono riconoscere il loro senso, allora, nell’incontro che ha segnato la vita di Paolo, il quale, camminando verso Damasco si è imbattuto in Cristo stesso che gli ha chiesto ”perché mi perseguiti?”. Il Dio cristiano, in quell’occasione, chiese perché. il mistero di una presenza che Atene ha tanto desiderato, ma che solo a Gerusalemme, nella singolarità e nella libertà della Croce, ha trovato il suo senso». Un perché di portata cosmica. Un quo vadis per tutti. «Proprio questo domandare perché è la radice ultima dell’apertura estrema di Paolo, nonché lo stimolo alla sua ricerca costante dell’uomo, di ogni uomo: l’anno paolino può traformarsi nell’occasione per riflettere su questo esempio. Che può essere modello e proposta, sia nell’ambito laico che in quello cristiano, per affrontare le sfide sempre più globalizzate del mondo di oggi». RITA SALA