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 2008  maggio 15 Giovedì calendario

«In fabbrica la solidarietà è donna lì ho trovato le mie migliori amiche» Liberazione 15 maggio 2008 Questa è la storia di Maria e lo diciamo subito non è una storia triste

«In fabbrica la solidarietà è donna lì ho trovato le mie migliori amiche» Liberazione 15 maggio 2008 Questa è la storia di Maria e lo diciamo subito non è una storia triste. Semmai è una storia "dritta", una straight story , per richiamare il titolo di un film di Lynch, uno dei suoi più belli, che interrompeva gli affondi nell’inconscio notturno per raccontare, con i colori chiari di un paesaggio naturale, il viaggio di un vecchio uomo che dall’Iowa si parte per raggiungere il fratello in Wisconsin. Ed è vero che l’impresa era a bordo di una motofalciatrice (elemento molto poco ordinario), però quello che interessava a Lynch era la semplicità, la normalità della storia. Maria Sciancati, che è segretaria generale della Fiom a Milano, prima è stata sospesa dalla Cgil e poi reintegrata dalla Federazione dei metalmeccanici perché all’interno di un attivo di delegati avrebbe permesso di parlare a Massimiliano Murgo, un delegato indagato per terrorismo (e per questo sospeso dalla Cgil) e poi del tutto prosciolto. Ma Elvira Maria Sciancati non ricorre ai toni cupi e apocalittici per sciogliere i nodi dell’ affair Sciancati . «Non credo che si sia trattato di un processo da caccia alle streghe. No, non voglio neanche pensare che dentro la Fiom, dentro la Cgil e dentro la Sinistra tutta, domini un’atmosfera da resa dei conti. Se così fosse, sarebbe sbagliato. Abbiamo oggi tutti bisogno di riaffermare con ogni nostro gesto la prassi della democrazia. Con Murgo ho chiuso ogni rapporto da anni. Quando era stato inquisito per sospetto di partecipazione alle nuove Br, l’avevo sospeso, dopo di che era stato prosciolto da qualunque accusa. La mia posizione è sempre stata chiara». Maria non è una che si difende attaccando. Al contrario, coltiva il dubbio come pratica esistenziale: «Le dico la verità, io mi interrogo sempre se quello che sto facendo è giusto o sbagliato, e anche in questo caso mi sono chiesta se avevo fatto una stupidata. Ma i centinaia di fax di solidarietà che mi sono arrivati da tutta Italia, e non solo da Milano, mi hanno fatto dire che no, non avevo fatto una stupidata». Ottimista della ragione ma anche della volontà, donna abituata a confrontarsi con il mondo duro delle fabbriche, Maria Sciancati per la prima volta nella sua vita si è sentita ferita: «Ammetto, ho avuto un momento di cedimento, e sono venuta in Fiom lo stesso tutti i giorni perché non sopportavo l’idea di lasciare i miei compagni da soli, sbandati». Fa fatica però ad accettare che i riflettori restino accesi su di sé più del dovuto, ha voglia di tornare a lavorare. Per lei l’identità è una questione collettiva, e la storia della sua vita è la storia di altre migliaia di operaie e operi che hanno condiviso con lei anni di lotta ed emancipazione. Oggi Maria ha cinquantasei anni («E non sessantasei, per favore, come ha scritto Il Corriere !»), trenta dei quali passati in fabbrica. Figlia di un operaio metalmeccanico che negli anni Cinquanta si era trasferito con la famiglia dalla provincia di Padova nella Milano industriale (che allora era una specie di terra promessa per gran parte dei nostri padri e accoglieva anche quelli che i lombardi chiamavano "i terroni veneti"), Maria Sciancati comincia a lavorare presto. Era il 1967, aveva appena quindici anni: «La prima esperienza è stata terribile. Facevo la cassiera alla Esselunga dove eravamo trattati come oggetti e non come esseri umani. Fra l’altro, mi sembra che la situazione non sia per niente cambiata…Ricordo che ci obbligavano a fare turni impossibili: magari dovevi arrivare alle sette per sistemare gli scaffali, alle dieci andavi a casa, all’una tornavi a lavoro e ci rimanevi fino a tardi a rimettere a posto tutto. In più, venerdì sera ti comunicavano dove saresti stato sbattuto il sabato mattina. Il mio terrore era Quartogiaro, un posto abbandonato da Dio e dagli uomini». A diciassette anni entra alla Borletti di Sedriano con la disapprovazione del padre: «Non voleva perché secondo lui era una fabbrica troppo grande e poi avrebbe voluto che continuassi a studiare». E’ lì, in quel preciso punto del tempo, che si costruisce il suo destino. Scopre che la fabbrica le piace. E soprattutto le piace l’idea di rimanere in mezzo a settemila operaie e operai cercando la giusta voce per lottare: «Sono diventata presto delegata sindacale ed è stato un lavoro importante ma difficile. Consideri che da quando sono entrata fino all’anno 2000, gli operai sono passati da 7000 a 1700: sono stati anni di ristrutturazioni pesanti, casse integrazioni, prepensionamenti, gestione della mobilità». Il tempo sottratto alla catena di montaggio diventa traccia mnemonica di scene anche belle, cose semplici, immagini di vita vissuta insieme. «La Borletti, che chiamavano anche "Borletti Punti Perfetti" perché all’inizio faceva macchine da cucire, aveva due caratteristiche: per un verso aveva "il padrone/padrone", figura di uomo duro che mollava solo dopo 230 ore di sciopero, e per l’altro era composta prevalentemente da donne. E’ lì che sono nate le mie più grandi amicizie, relazioni personali importanti che mi porto dietro da allora. Perché devo dire una cosa: sarà pure vero che le donne sono a volte troppo radicali, ma gli uomini non potranno mai eguagliarle in fatto di solidarietà. Sappiamo stare fra di noi in un modo che ai maschi risulta un po’ complicato. Ricordo per esempio le pause mense: d’inverno ci tiravamo le palle di neve, e d’estate ce ne andavamo vicino al ruscello a raccontarci le nostre storie. Dovevano venirci a riprendere per riportarci in fabbrica». Fin qui il lavoro. Poi comincia quello che Maria definisce un "non lavoro". Curioso tipo di "non lavoro", dove capisci a che ora entri in ufficio al mattino e non sai mai a che ora esci la sera. «Perché ho smesso dopo trent’anni? Perché sentivo esaurita la mia capacità di poter ancora dare qualcosa dentro quella fabbrica. E poi era arrivata nel 2000 la proposta della Fiom. Secondo loro, io ero l’unica che poteva gestire la situazione dell’Alfa Varese. Negli ultimi anni, la Borletti era confluita nella Fiat: producevamo alla fine solo quadri di bordo per le macchine. Allora quella mia esperienza era stata giudicata indispensabile per risolvere l’emergenza Alfa. C’era chi pensava che l’Alfa dovesse chiudere, invece ancora adesso ci sono mille lavoratori in azienda. Per la situazione milanese, è un miracolo. Ma è stata dura. Per molti anni i Cobas che c’erano lì dentro mi hanno insultato chiamandomi "venduta della Fiom". Ma io ho resistito anche grazie ai lavoratori dell’Alfa, che sono persone straordinarie». Ecco, i lavoratori. E’ tutto il suo mondo. La molla che la tiene attaccata alla Fiom come fosse la sua vera casa. La ragione per cui oggi se ne sta dritta e sorridente di fronte a noi a raccontare la sua storia normale. «Per me stare nel sindacato significa una sola cosa: stare accanto ai lavoratori, rappresentare i loro interessi. Io sono sempre disponibile. Il mio cellulare è acceso a tutte le ore e anche nel weekend». Cosa succede invece se è lei ad avere bisogno? Per esempio, quale è stata la prima telefonata che ha fatto Maria Sciancati il 7 maggio, quando le hanno comunicato che sarebbe stata sospesa per sei mesi dalla Cgil? «Ho chiamato Gianni Rinaldini, il segretario generale della Fiom. D’accordo, non sono così anziana come scrivono alcuni giornali ma sono abbastanza adulta da conoscere le regole, per cui sono rispettosa delle funzioni. In più in questo caso si tratta anche di un rapporto umano e di stima». E la seconda telefonata? «Non ne ho fatte altre. Ero stanca. Ho dato il mio cellulare per qualche ora alle mie colleghe. Solo il giorno dopo ho chiamato le amiche che mi avevano lasciato messaggi». Le amiche, tante e inseparabili: sono la sua vera famiglia. Divorziata, senza figli, Maria è tornata dopo tanti anni di matrimonio a vivere insieme a sua madre, a Cornaredo: «Non sono una bambocciona. Io aiuto lei, lei aiuta me». Davanti alla tv si addormenta, invece le piace rileggere lo stesso libro tante volte, per cercare di afferrare col tempo quello che credeva esserle sfuggito: «Ho appena finito Zorro di Isabel Allende. Alla prima lettura, un po’ superficiale, non mi era piaciuto. Alla seconda neanche». D’estate va al mare, mare di Sardegna e di Sicilia, mare di isole. Quest’anno però non farà le ferie «per questioni economiche: ho appena fatto un trasloco e non posso permettermi le vacanze». Al momento, Maria Sciancati ha programmato per fine maggio un viaggio di quattro giorni a Praga, con Lella Bellina, la sua addetta stampa (che è presente anche al nostro incontro), e altre due amiche coinvolte anche loro in attività sindacali: «Ma non parleremo di sindacato. Nessuna di noi era mai andata a Praga e non abbiamo intenzione di rovinarci l’unica vacanza dell’anno parlando di cose noiose». Katia Ippaso