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 2008  maggio 15 Giovedì calendario

La Clinton non vuole mollare pronta l´arma "fine del mondo". La Repubblica 15 maggio 2008 CHARLESTON - «They don´t quit», loro non si arrendono

La Clinton non vuole mollare pronta l´arma "fine del mondo". La Repubblica 15 maggio 2008 CHARLESTON - «They don´t quit», loro non si arrendono. Loro sono i Clinton e la frase è ormai ricorrente in ogni articolo o discorso che riguarda le primarie. Dopo il trionfo in West Virginia Hillary ha promesso ai suoi fan che andrà avanti fino a quando verrà contato l´ultimo voto, il 3 giugno. E mentre ancora una volta trattiene a stento le lacrime davanti alle telecamere (è successo ieri sera mentre lodava le doti della figlia Chelesa in un´intervista alla Cnn), dietro le quinte un insano (per il Partito democratico) disegno sta prendendo piede: quello di non mollare fino alla convention di agosto a Denver. Naturalmente l´ex First Lady e gli uomini del suo staff sanno che devono prima fare i conti con i numeri, che restano impietosi. Il distacco da Obama tra i pledged delegates (i delegati vinti con il voto) resta troppo alto; i supedelegati (leader e funzionari di partito) nell´ultima settimana si sono schierati in larghissima maggioranza contro di lei; i media parlano del senatore dell´Illinois come se fosse già il "nominato" e lui si comporta come tale. Ma i Clinton non mollano, non sono abituati a farlo ed è notorio che per arrivare all´obiettivo sono disposti a tutto. Quando, ormai più di un anno fa, questa lunga campagna elettorale ha preso il via, la ditta Hillary&Bill era convinta che la Casa Bianca fosse a due passi: sembrava scontato che dopo gli otto anni di Bush dovesse vincere un democratico, era altrettanto scontato (per loro) che il candidato prescelto dal partito dell´asinello sarebbe stata lei. Prima che Obama annunciasse la sua discesa in campo i più quotati papabili (Al Gore, l´ex governatore della Virginia Mark Warner) si erano chiamati fuori dalla sfida e contro il senatore afro-americano la sfida sembrava una passeggiata. Terry McAuliffe - ex presidente del Partito democratico che oggi guida il comitato elettorale di Hillary - aveva annunciato con sicumera che le primarie sarebbero finite il 5 febbraio, dopo il Supermartedì; ovviamente con la scontata vittoria dell´ex First Lady. Le cose sono andate diversamente, da tempo l´«underdog» (lo sfavorito) è diventata lei e le pressioni perché si ritiri il prima possibile sono diventate pressanti. "Hillary&Bill" sanno che stanno scherzando con il fuoco ma rinunciare alla Casa Bianca, impresa che sembrava a portata di mano ed oggi appare un´utopia, è un rospo troppo difficile da ingoiare. Via dunque alla strategia finale in tre tappe, che prevede nell´ordine una battaglia su tre fronti: superdelegati, Michigan e Florida, Convention. 1) Per avere ancora qualche speranza Hillary deve frenare l´emorragia dei supedelegati verso Obama. I numeri degli ultimi dieci giorni non sono incoraggianti (36 hanno scelto il suo avversario, solo 2 lei) e se questo trend continua la corsa è finita. Hillary vuole convincerli ad aspettare, confidando sul fatto che non sono vincolati e possono cambiare idea anche all´ultimo momento. 2) Il 31 maggio la "Commissione delle regole" deciderà cosa fare con Michigan e Florida. Se verranno conteggiati la quota per vincere salirà dagli attuali 2025 a 2209 delegati. Hillary insiste sui nuovi numeri, una mossa tesa ad evitare che Obama si proclami vincitore alla fine delle primarie. 3) L´arma "fine del mondo" è la Convention. Lo staff di Hillary ricorda come nel 1980 Ted Kennedy pur avendo 1225 delegati contro i 1981 di Carter andò avanti fino alla Convention (allora i supedelegati non c´erano). Una strategia che bordeggia tra l´impossibile e il suicidio politico (il partito non gliela perdonerebbe), ma l´America conosce i Clinton: «They don´t quit». ALBERTO FLORES D´ARCAIS