Il Sole 24 Ore 14 maggio 2008, Angela Manganaro, 14 maggio 2008
Sette vite per sette passaporti, così è Mr Alias. Il Sole 24 Ore 14 maggio 2008 Quando Ahmed atterra in Italia, Abdullah lo aspetta agli arrivi: a lui dà il suo passaporto, in cambio riceve la fotocopia di quello di un connazionale
Sette vite per sette passaporti, così è Mr Alias. Il Sole 24 Ore 14 maggio 2008 Quando Ahmed atterra in Italia, Abdullah lo aspetta agli arrivi: a lui dà il suo passaporto, in cambio riceve la fotocopia di quello di un connazionale. All’aeroporto i due si salutano, si rivedranno solo se qualcosa non va. In Pakistan, per questo pezzo di carta, Ahmed ha pagato circa 17mila euro. Va con la fotocopia al consolato: chiede di rifare il passaporto con la scusa che si è strappato, è illegibile o, semplicemente, non lo trova più. I controlli non sembrano un ostacolo insormontabile. Adesso ha una nuova identità ma qualcuno si impossesserà della sua. Se l’uomo a cui ha ceduto le sue generalità viene scoperto, nessuno potrà più usare il passaporto di Ahmed. Poco male, i pro sono più dei contro: fino a quando l’organizzazione regge si può passare da un’identità a un’altra. Se Ahmed ha problemi con il nuovo nome chiede all’organizzazione di Abdullah la fotocopia di un altro passaporto e torna al consolato. L’uomo che rinuncia al suo nome può averne in cambio quanti ne vuole, anche più di uno contemporaneamente. Funziona così lo scambio (e la moltiplicazione) di alias, soprattutto tra pakistani, cinesi, senegalesi. Il gioco (e le sue varianti) continua se non viene alla luce: arriva però alle orecchie di sindacalisti e professionisti, ogni giorno a contatto con gli immigrati clandestini che vogliono regolarizzarsi. Usando le fotocopie dei passaporti come i gatti le loro sette vite, capita di rimanere impigliati nelle leggi italiane. il caso di due fratelli senegalesi che l’anno scorso si sono scambiati l’identità. Uno dei due cede alla voglia di legalità: presenta la domanda nell’ambito del decreto flussi, rientra nelle quote, ottiene il permesso di soggiorno con il nome del fratello. Tornare indietro, a questo punto, non è facile e il rischio è più alto, perché in questura hanno associato un nome a un volto. Gli alias si usano anche per lavoro: alcuni clandestini si spingono fino negli studi dei professionisti puntando sull’incapacità di distinguere i tratti somatici. All’inizio dell’anno, a Udine, si è concluso senza stipula un atto di cessione di quote societarie tra cinesi: un 25enne si è presentato con carta d’identità, passaporto e permesso di soggiorno di un quarantenne che non si è mai mosso da Pechino. Il notaio se n’è accorto e li ha mandati tutti via. Negli stessi giorni, a Rimini, un consulente del lavoro ha scoperto che un permesso di soggiorno era utilizzato contemporaneamente da sette cinesi. D’ora in poi ci potrebbe essere qualche difficoltà in più perché Bruxelles ha deciso che nel microchip del permesso di soggiorno elettronico dovranno andare oltre alle impronte digitali anche gli indicatori biometrici, cioè i tratti caratteristici del viso: il regolamento riguarda tutti i cittadini extracomunitari dai sei anni in su ed entra in vigore nei 27 Paesi Ue lunedì prossimo, 19 maggio. Ci sono invece clandestini, soprattutto del Maghreb, che evitano accuratamente qualsiasi identità. Essere Nessuno ha i suoi vantaggi. Abdul fa così: entra in Italia con due passaporti, quello vero (non timbrato) e uno falso, con il visto (vero) rilasciato di solito dall’ambasciata di un Paese dell’area Schengen. Consegna il passaporto finto con il visto e mette in tasca quello vero che non porterà mai con sé: lo dà a un amico o lo conserva in un deposito. Se la polizia lo ferma, Abdul sarà Nessuno: può essere portato in un Centro di permanenza temporanea ma non può essere espulso perché le autorità italiane non sanno chi è. Non si può cacciare chi non ha un passaporto: manca il collegamento tra il nome e il Paese di nascita. Di solito, racconta un avvocato, si fa il foglio di espulsione in base alle dichiarazioni del clandestino, che abituato a essere quello che vuole dichiara un nome per poi cambiarlo il mese dopo. Angela Manganaro