Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 14/5/2008, pagina 17., 14 maggio 2008
In Afghanistan meglio il grano dell’oppio. Corriere della Sera, mercoledì 14 maggio 2008 Più dei programmi e i proclami delle Nazioni Unite, più degli interventi di eradicazione forzata dell’esercito di Sua Maestà (l’antidroga per conto della Nato tocca ai britannici), sarà il mercato globale a frenare per la prima volta da anni la mortale diffusione del papavero da oppio in Afghanistan
In Afghanistan meglio il grano dell’oppio. Corriere della Sera, mercoledì 14 maggio 2008 Più dei programmi e i proclami delle Nazioni Unite, più degli interventi di eradicazione forzata dell’esercito di Sua Maestà (l’antidroga per conto della Nato tocca ai britannici), sarà il mercato globale a frenare per la prima volta da anni la mortale diffusione del papavero da oppio in Afghanistan. Per essere più precisi il mercato dei cereali, i cui prezzi negli ultimi mesi sono schizzati alle stelle provocando rivolte del pane, instabilità e controversie politiche, perfino fame in tutto il pianeta. Ma l’Afghanistan è un mondo a parte. Per lo Stato che nel 2007 ha prodotto il 93% dell’oppio del mondo (8.400 tonnellate, quasi due volte la già enorme domanda globale) il caro-grano sta rivelando (anche) un aspetto positivo. Se fino allo scorso anno un campo coltivato a papaveri rendeva fino a otto volte uno a cereali, oggi il divario si sta restringendo. Perché il prezzo del grano è triplicato (da 157 a 500 dollari la tonnellata tra gennaio ad aprile) mentre quello dell’eroina è in rapido calo ovunque. «In media – ha dichiarato giorni fa il ministero dell’agricoltura di Kabul – già oggi un ettaro a papaveri rende 800 dollari al contadino, 350 dollari uno a grano. Ma la disparità di profitto può essere ridotto a zero, con un aumento di produttività, un maggior numero di raccolti, programmi di sostegno». Qualcosa sta già cambiando, sostiene Tekeste Tekie, responsabile Fao a Kabul: «Gli effetti di questa situazione nuova sono visibili – ha detto – Nella provincia di Bamiyan, ad esempio, alcuni coltivatori hanno iniziato a destinare metà delle loro terre al grano, solo l’altra metà ai papaveri». Ma la realtà non è così semplice. E se Takie «si augura che lo spostamento da oppio a grano contribuisca a risolvere la crisi alimentare dell’Afghanistan, dove il 70% della popolazione oggi soffre di fame o malnutrizione», gli ostacoli da abbattere restano molti ed enormi. Lo stesso governo di Kabul ha ammesso che «si può prevedere fino a un 30% di aumento di terre a cereali nelle province "buone" come Kunduz o Baghlam, ma in quelle dominate dai Talebani la gente ha paura ad abbandonare la coltura dell’oppio ». E poco così cambierà, ad esempio, a Helmand, la provincia a cui va la palma di maggior produttore del mondo (53% del totale afghano, quasi la metà di quello globale). O a Kandahar. Il crollo dei prezzi di oppio ed eroina hanno poi trovato negli ultimi tempi un altro «ottimo» (economicamente) sostituto: la cannabis. Meno redditizia dell’oppio in apparenza ma meno costosa a prodursi e in costante ascesa di prezzo sui mercati mondiali. Senza dimenticare che un vero piano per il (ri)lancio dell’agricoltura afghana non è ancora avvenuto. Passare dal comodo e ben strutturato «sistema-oppio» ai cereali, su scala nazionale, richiede pianificazioni, infrastrutture, capitali che finora sono andati altrove. E così, mentre l’Iran (vicino di casa e ritenuto dall’Onu tra i Paesi più seri nella lotta anti-droga) accusava ancora ieri la Nato e Karzai di non far niente contro l’oppio afghano, le speranze oggi sono riposte nel mercato mondiale delle materie prime. In prezzi dei cereali sempre alti, accompagnati magari da un altro effetto a (quasi) tutti poco gradito della globalizzazione: il riscaldamento del pianeta. Che già quest’anno ha seriamente danneggiato i germogli dei papaveri afghani, tra gelate inusuali e piogge in ritardo. Cecilia Zecchinelli