giornali, 14 maggio 2008
attiva da quest’anno una novità normativa destinata a turbare la stabilità della finanza italiana
attiva da quest’anno una novità normativa destinata a turbare la stabilità della finanza italiana. «La piccola grande rivoluzione di questi giorni, di queste ultime ore, si chiama "liste di minoranza nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali della società quotate"» [1]. Il voto di lista nelle società private era stato introdotto con il codice Draghi nel 1998 (il Testo unico sul risparmio), rafforzato con la legge sul risparmio del 2006, e reso attivo dalle assemblee di quest’anno grazie al regolamento stilato dalla Consob. La legge prevede la facoltà di nomina di un consigliere d’amministrazione e del presidente del collegio sindacale a favore del secondo socio in ordine d’importanza dentro la società. Azionisti con quote anche marginali del capitale possono proporre i loro candidati all’assemblea dei soci. Saldutti: «Le liste sono una specie di big bang soprattutto dopo la definizione delle soglie da parte della Consob. Tetti molto bassi, anche dello 0,5%» [2]. La norma viene a scalfire la tradizionale egemonia dei soci di maggioranza, situazione considerata da alcuni osservatori un limite del capitalismo italiano. Turani: «Per anni si è detto che non era giusto che chi controllava il capitale – o anche aveva influenza dominante – di una società quotata nominasse la totalità degli organi amministrativi e di controllo. C´era – e c´è ancora, purtroppo – poi chi, col sistema delle scatole cinesi riusciva a nominarli pur avendo investito pochissimo, rispetto al mercato [1]. Ma nello stesso tempo la novità rischia di peggiorare le cose. Barucci: «E’ dubbio che la rappresentanza della minoranza negli organi di gestione (cda) o di controllo (collegio sindacale) abbia un effetto positivo sulla gestione dell’impresa: se da un lato permette alla minoranza di contrastare gli abusi della maggioranza, dall’altra introduce una dialettica maggioranza-minoranza che potrebbe creare problemi nel caso quest’ultima assuma atteggiamenti ostruzionistici/ricattatori» [20]. La portata del cambiamento non è stata compresa immediatamente dai vertici delle società quotate. «Quasi tutti hanno pensato ad una forte analogia con la nomina dei consiglieri indipendenti, ormai data per scontata, ma pochissimi si sono resi conto che gli indipendenti vengono in qualche modo suggeriti dal socio di comando (e in un certo senso, quindi, sono abbastanza innocui), mentre il rappresentante di una lista di minoranza può essere fortemente contrapposto a chi controlla» [1]. Le grandi società a questo punto «dovranno solo rassegnarsi a farsi controllare sul serio dagli azionisti di minoranza. Il potere assoluto dei gruppi di controllo (spesso con poche azioni) lascia il posto a una democrazia societaria un po´ più reale e un po´ più fastidiosa (per chi era abituato a fare il bello e cattivo tempo» [1]. Una maggiore democrazia non esente da rischi. «La sensazione, almeno quella della vigilia, è che protagonisti delle assemblee possano diventare gli avvocati. Centrali quando i conflitti o le differenti visioni tra le parti emergono con forza» [2]. Il testo di Draghi e il regolamento della Consob stabiliscono chi può presentare liste di minoranza. Secondo la norma del governatore di Bankitalia gli azionisti di minoranza che presentano le loro candidature non debbono essere «collegati, neppure indirettamente, con i soci che hanno presentato o votato la lista risultata prima per numero di voti». La Consob nei suoi regolamenti ha spiegato che il collegamento è accertato «almeno» in alcuni casi: per esempio, quando due soggetti partecipano ad un medesimo patto parasociale «avente ad oggetto azioni dell’emittente, di una controllante di quest’ultimo o di una controllata» [3]. Nell’applicare la norma del collegamento alla realtà di Piazza Affari l’autorità che vigila sulla Borsa ha incontrato più difficoltà dei suoi omologhi esteri: nel contesto della Borsa italiana «tra patti di sindacato, catene societarie, piramidi e azionisti forti è complesso trovare un soggetto che manifesti un’assoluta estraneità […] In un primo tempo la bozza di regolamento dell’authority includeva tra le liste "in odore di collegamento" anche quelle di soggetti partner di patti anche in società terze. Ciò che avrebbe comportato l’estensione a dismisura delle candidature "amiche". Alla fine il perimetro applicativo della norma è stato circoscritto ma sono rimaste le difficoltà interpretative». [3] La sfida per i sindaci di Assicurazioni Generali è stato un primo importante banco di prova. Il gruppo assicurativo, terza società del Paese per capitalizzazione, è un punto nevralgico nei giochi di potere della finanza italiana. Manacorda: «La compagnia di Trieste è lo snodo dove si affronteranno le forze finanziarie oggi in campo. Da una parte Mediobanca che con il suo presidente Cesare Geronzi è il primo azionista di Generali con poco più del 14% e Unicredit, che ha un 4,6% da cedere per fine 2008. Dall’altra Intesa-Sanpaolo guidata da Giovanni Bazoli che dice di soffrire lo strapotere di Unicredit su Trieste ed ha un 2,3% cui si possono aggiungere altre quote, dal 2,2% di Zaleski all’1,6% di Fondazione Cariplo. In mezzo soggetti come il gruppo De Agostini (4%) o Caltagirone (1%) attenti al portafoglio almeno quanto ai rapporti di potere. Insomma, un terreno fertilissimo per il primo sbarco dei cosiddetti ”activist funds” in Italia» [4]. Dentro Generali c’è anche Algebris. Fondo hedge con sede a Londra, al numero 7 di Clifford Street, fondato nell’agosto del 2007 dal trentasettenne Davide Serra con David Halet, oggi Algebris ha una quota dello 0,52% della compagnia. Dall’ottobre scorso Serra – finanziere. Laureato della Bocconi, ex capo della ricerca globale sulla finanza di Morgan Stanley [5], chiamato ”l’imperatore” nella City [6], in un anno di attività ha garantito ai suoi gestiti un rendimento de 40%[7] – porta avanti una guerra contro il management di Generali, suo obiettivo principale l’ottantaquattrenne presidente Antoine Bernheim: il finanziere italiano contesta risultati, governance, remunerazioni e conflitti d’interessi. Il primo attacco ai vertici, all’assemblea di ottobre 2007, segna la fine di un’era. «Il Novecento è finito anche a Trieste. Dopo l’apertura dei grandi gruppi pubblici ai mercati finanziari, che negli anni Novanta ha coronato la contestazione dello Stato imprenditore, ora tocca al gruppo privato più importante veder criticare, senza timori reverenziali, i propri assetti, frutto della storia dell’alta finanza italiana» [8]. La critica ai vertici è la seconda fase dell’azione dei fondi locusta, come sono stati stati ribattezzati gli hedge «dalla loro "vittima" più illustre, Werner Seifert di Deutsche Boerse. […] Lo schema della locusta, oggi come negli anni scorsi, è sempre lo stesso. Si individua una società che si ritiene mal gestita e di cui si ha in portafoglio una quota azionaria. Poi si inizia a far pressione sul vertice chiedendo cambi radicali nella strategia o, in caso di resistenza, cercando di rimuoverlo. Con l´obiettivo in entrambi i casi di migliorare la quotazione dei titoli in Borsa» [9]. Per l’assemblea del Leone del 26 aprile 2008 sono candidate quattro liste. Quella del consiglio di amministrazione, quella di Algebris, quella di Assogestioni (i fondi del risparmio gestito) e quella di Edizione Holding (la finanziaria dei Benetton, che ha 1% di capitale). Il successo dei candidati del cda è scontato, le altre si contendono il secondo posto. Ma la lista di Edizione Holding – i candidati sono Giuseppe Pirola come sindaco effettivo e Yuri Zugolaro come sindaco supplente – desta sospetti. «Benetton ha da sempre buoni rapporti con il gruppo triestino con il quale è in affari in alcune importanti partite. Entrambi sono, per esempio, azionisti di Gemina, di Telco (holding di controllo di Telecom) e di Atlantia (ex-Autostrade). Non solo. Edizione Holding fa parte del patto di sindacato di Mediobanca, storico azionista di riferimento del Leone e supporter (non dichiarato) della lista del Cda. In relazione a simili legami alcuni commentatori hanno parlato di una lista "amica" nata allo scopo di contrastare le candidature di Assogestioni e, soprattutto, di Algebris» [10]. Algebris si appella alla Consob contro la lista Benetton. L’organismo di vigilanza sulla Borsa risponde chiedendo chiarimenti a Edizione Holding. I veneti difendono il loro essere lista di minoranza, con una nota in cui spiegano che «l’insussistenza di rapporti di collegamento rilevanti con Mediobanca, azionista di maggioranza relativa delle Generali, sta nel fatto che Edizione Holding, o la sua controllante, non hanno il potere di determinare, congiuntamente ad altri, sulla base di un accordo contrattuale, le politiche finanziarie e gestionali di Mediobanca, azionista di maggioranza relativa delle Generali» [11]. Anche Generali conferma di non avere «evidenza» del fatto che Ragione Sapa, azionista di controllo di Edizione, in virtù della sua partecipazione al patto di Mediobanca, eserciti il controllo congiunto sull’istituto di Piazzetta Cuccia. Sabbatini: «Diversamente Edizione Holding avrebbe dovuto dichiarare il "collegamento" con Mediobanca al momento di presentare la sua lista per i sindaci delle Generali. E dovrebbe ora sottostare alla cosiddetta prova di resistenza. Di che si tratta? Se in assemblea Mediobanca farà confluire i suoi voti sulla lista del consiglio, come tutto lascia credere, le azioni di Edizione Holding non potranno essere conteggiate nel valutare il risultato ottenuto dalla lista di "minoranza" presentata proprio dai Benetton» [12]. La questione sollevata con l’appello di Algebris è l’intreccio dei cda della finanza italiana. «Il fatto è che Mediobanca – al cui patto partecipa anche Benetton – non è comunque formalmente controllante di Generali, nonostante le pronunce contrarie dell’Antitrust. D’altra parte la Consob ha indicato soltanto una lista di possibili fattispecie non preclusiva di altre. In una materia, peraltro, dove soltanto un magistrato può dire l’ultima parola su come si interpreta la legge» [3]. Manacorda: «In soldoni la questione è semplice: se la compagnia di Trieste ha come primo azionista Mediobanca e se nel patto di sindacato dell’istituto ci sono anche i Benetton con una quota di oltre il 2%, come si può sostenere che la lista presentata per il collegio sindacale venga da un vero socio di minoranza delle Generali e non sia invece una lista «fiancheggiatrice» di quella di maggioranza, presentata dallo stesso consiglio della compagnia?» [13]. Algebris si rivolge anche all’Isvap. Bocconi: «A quanto si capisce, nel caso l’ Authority dovesse diventare l’ arbitro della battaglia, dovrebbe affrontare una questione tutt’ altro che nuova e controversa: Mediobanca controlla Generali?» [14]. Per la Consob la lista Benetton non è di minoranza. «Nella comunicazione, l’ autorità ricorda che fra soci di riferimento e di minoranza non deve sussistere alcun tipo di ”collegamento rilevante”, anche indiretto. Fra questi ”link” sono compresi i rapporti fra una società e coloro che la controllano in modo congiunto, richiamo fatto esclusivamente ai fini della disciplina del voto di lista. Secondo la commissione in Mediobanca, socio di riferimento delle Generali, il patto dà luogo a un controllo congiunto per struttura dell’ accordo e per storia delle assemblee dell’ istituto. Perciò Benetton, che aderisce al patto con il 2%, controlla congiuntamente Piazzetta Cuccia. Quindi la lista di Edizione holding non può essere considerata di minoranza» [15]. La decisione dell’organismo che vigila sul mercato deve molto ai pronunciamenti dell’Antitrust. «Lo stop di Lamberto Cardia alla lista di minoranza presentata dalla Edizione Holding dei Benetton difficilmente sarebbe stato possibile in assenza di almeno un paio di delibere di Piazza Verdi. La prima è quella che, nel 2006, ha chiuso l’ istruttoria su Generali-Toro e con la quale gli uffici di Antonio Catricalà hanno affermato il ”controllo di fatto di Mediobanca su Generali” e rilanciato anche il tema dell’ intreccio tra Generali e la Fonsai dei Ligresti. La seconda è quella, più recente, relativa alla fusione di Capitalia in Unicredit. La banca di Alessandro Profumo ha dovuto cedere la quota eccedente di Piazzetta Cuccia in considerazione del fatto che «il patto controlla Mediobanca» [16]. All’assemblea del 26 aprile lo scontro tra Algebris e il cda è aspro. « il primo faccia a faccia tra Davide Serra e il presidente delle Generali, Antoine Bernheim e le attese non vanno deluse ”Presidente, lei non ci ha ricevuto. In quindici anni non mi era mai successo”, attacca il gestore di Algebris. Bernheim: ”Non avete mai domandato di essere ricevuti e quindi non accetto questo rimprovero”. Ancora Serra:”... non voteremo il bilancio”. Bernheim, nel dopo assemblea: «Non lo trovo simpatico, non lo sceglierei come amico intimo. Credo che abbia voluto fare un’operazione per la sua gloria personale»» [17]. Prima di votare, Serra chiede anche di verificare i requisiti del candidato di Assogestioni, Eugenio Colucci, riservandosi di procedere per via legale. Al momento della conta «la lista di minoranza, presentata dall’hedge fund guidato da Davide Serra, ottiene voti per il 3,6% del capitale sociale e viene superata nettamente dalla lista concorrente di Assogestioni, che incassa voti per il 12,83% del capitale. Scontata invece l’elezione con il 23,49%, dei due sindaci candidati dalla stessa compagnia» [17]. Il risultato rappresenta una sconfitta per l’hedge fund. «Il voto sui sindaci è comunque la cartina tornasole dei rapporti di forza. Per Algebris, che si presenta in assemblea con il suo 0,52%, vota un altro 3% del capitale ”che fa capo a 220 fondi internazionali”, spiega Serra. Tra di loro anche Franklin Templeton e - curiosità - un fondo di Axa, concorrente del Leone. Ma il suo risultato è travolto da quello di Assogestioni, che trova il sostegno della Banca d’Italia con il 4,5%, e poi della veneta Ferak con l’1,5%, e della Tassara di Romain Zaleski con il 2%. Proprio Bankitalia dà la sua impronta all’assemblea, muovendosi nel solco di una prassi consolidata, perché – come spiega il suo rappresentante – ”vota solitamente in favore della lista di minoranza presentata da investitori istituzionali, per migliorare la governance societaria favorendo l’attività di controllo che questi soggetti possono esercitare” [17]. Le prospettive. Visto come sono andate le prime assemblee, il 29 aprile la Consob capisce che sulla disciplina delle liste di minoranza occorre far chiarezza e sottopone a consultazione la bozza di comunicazione che contiene la richiesta di rendere note al pubblico, in occasione della presentazione di liste per l’elezione dei componenti gli organi sociali di società con azioni quotate, le eventuali relazioni tra i soggetti che presentano "liste di minoranza" e i soci di controllo o di maggioranza relativa. «Una mossa evidentemente auspicata dal mercato e dai vari protagonisti, le cui attese sono state interpretate nel fine settimana da Alberto Nagel che, a conclusione dell’ assemblea del Leone di Trieste segnata dall’ animato altolà al fondo Algebris, aveva commentato: la nuova normativa a tutela delle minoranze ”è un sistema che non funziona al meglio. L’ attuale assetto normativo è inadeguato ¬ spiegava l’ amministratore delegato di Mediobanca ¬ lascia troppi spazi di arbitrarietà dell’ applicazione, sia dal lato del regolatore, sia da quello delle società”» [18]. La vicenda apre però una nuova era. Nel nuovo corso, i fondi speculativi sfrutteranno sempre di più la possibilità offerta dalla norma sulle liste di minoranze per entrare nei vertici delle società su cui hanno investito per renderle più efficienti. Bocconi. «E dopo l’ arrivo di Algebris sul Leone, ci sono stati altri interventi di fondi hedge, su Italmobiliare o su Bpm, che hanno fatto capire che non si tratta di uno ”scatto” isolato. Il 2008 del capitalismo italiano si presenta anche ”nuovo”. Ieri ha vinto Bernheim. Ma la partita è appena cominciata» [19]. [1] Giuseppe Turani, ”La Repubblica”, 13/04/2008; [2] Nicola Saldutti, ”il Corriere della Sera”, 14/04/2008; [3] R. Sa., ”Il Sole 24 Ore”, 3/04/2008; [4] Francesco Manacorda, ”La Stampa”, 25/10/2007; [5] Federico Fubini, Corriere della Sera, 25/10/ 2007; [6] Dagospia, 25/10/2007; [7] Andrea Greco, Repubblica, 05/11/2007; [8] Massimo Mucchetti, ”Corriere della Sera”, 26/10/2007; [9] Ettore Livini, ”La Repubblica”, 26/10/2007; [10] R. Sa., Il Sole 24 Ore, 3/04/2008; [11] Al. An., Il Sole 24 Ore, 7/04/2008; [12] Riccardo Sabbatini, il Sole 24 Ore, 09/04/2008; [13] Francesco Manacorda, La Stampa, 8/4/2008; [14 ]Sergio Bocconi, Corriere della Sera, 4/04/2008; [15]Sergio Bocconi, Corriere della Sera, 12/04/2008; [16 ]Paola Pica, Corriere della Sera, 27/04/ 2008; [17] Francesco Manacorda, La Stampa, 27/04/2008; [18] Carlo Cinelli, il Corriere della Sera, 29/04/ 2008; [19] Sergio Bocconi, Corriere della Sera, 27/04/2008; [20] Piero Barucci (11/04/2008)