Francesco Sisci, La Stampa 13/5/2008, 13 maggio 2008
FRANCESCO SISCI
PECHINO
«Mi sembrava di stare in barca, dondolando tra le onde, con il pavimento sotto i piedi che pareva liquido, fatto di acqua», dice Jeffrey Zhao, uomo d’affari sino americano che telefona da Shanghai. «Qui tutti i mobili dell’ufficio sono scivolati di oltre un metro e la stanza sembrava piegata da un lato», racconta Charles Di, un altro sino americano che lavora a Hong Kong. A Pechino, zona sismica, semplicemente gli uffici hanno mandato tutti a casa quando sono scattati gli allarmi anti incendio e tutte le torri della città hanno oscillato.
Sono «molte migliaia» secondo il governo di Pechino, le vittime del terremoto di 7,8 gradi Richter che ha scosso ieri una vasta regione della Cina sud occidentale. I morti sarebbero più di 8.500 nella sola regione del Sichuan, quella più direttamente colpita, al confine con il Tibet. La cifra è stata fatta da fonti ufficiali quando mancavano i dati da alcune delle zone più vicine all’epicentro, che i soccorritori ancora non avevano raggiunto. In una sola contea, quella di Beichuan con oltre 150 mila abitanti, ci sono stati 10 mila feriti e l’80% degli edifici è distrutto.
La scossa è stata sentita con chiarezza anche a Bangkok e Hanoi, tutte città a migliaia di chilometri dall’epicentro del sisma. Terrorizzata, in attesa di mortali scosse di assestamento nelle prossime ore, mezza Cina sta passando la notte in veglia, e fuori di casa. Nel 1976, nel terremoto di Tangshan, la maggior parte delle persone morirono con le scosse di assestamento, perché erano tornati nei loro appartamenti pensando che il peggio fosse passato. con quel disastro nel cuore che tutti i mezzi di comunicazione del Paese si stanno concentrando su questo dramma.
Nel tardo pomeriggio il premier Wen Jiabao arrivato nella zona del disastro lanciava un appello a ripristinare al più presto comunicazioni e telecomunicazioni interrotte. «Dobbiamo salvaguardare la sicurezza delle dighe, delle strade e l’ordine sociale», ha detto il primo ministro. A Chengdu, la metropoli di circa dieci milioni di abitanti vicino l’epicentro del sisma, i telefoni fissi e mobili sono quasi del tutto isolati. La gente racconta che la casa ha ballato per parecchi minuti e i mobili si muovevano per la stanza come fossero posseduti dagli spiriti.
La televisione ha mostrato gente per le strade in pigiama, biondi stranieri confusi, in pantofole e accappatoi, auto immobili in mezzo alle piazze. Ma non si hanno notizie di enormi disastri almeno nelle grandi città: la giungla di grattacieli costruiti dalla Cina in questi decenni ha sostanzialmente resistito.
I centri più piccoli sono però un’altra storia. La zona del sisma è socialmente e politicamente delicata. Vi vivono minoranze tibetane, qiang, hui e han (l’etnia maggioritaria in Cina). Qui ci sono state alcune delle proteste tibetane più violente a marzo ed aprile, non lontano da lì sorge la maggiore base missilistica cinese. A Dujiangyan, vicino l’epicentro del terremoto, una scuola media di tre piani è crollata seppellendo circa 900 studenti. Si sono salvati solo quelli che sono saltati dalle finestre ai primi tremori.
Cinque gru stanno cercando di muovere le macerie mentre intorno cordoni di genitori piangono i loro figli. La gente della zona si è mossa intorno alle macerie e ha estratto qualche decina di ragazzi. Altre sette scuole e almeno un ospedale sono franati in altre città. Le scuole, specie in provincia, sono in genere collocati in edifici vecchi, mal tenuti, a causa degli scarsi finanziamenti pubblici nel settore dell’istruzione.
A Chongqing, municipalità autonoma con 30 milioni di abitanti, è crollata una scuola elementare uccidendo quattro bambini e ferendone oltre cento. Non si hanno notizie della situazione a Wenchuan, cittadina di 110 mila abitanti, epicentro del sisma e celebre per il suo parco dove vivono gli ultimi panda, in via di estinzione. Qui l’esercito sta provando a inerpicarsi tra i monti, ma una frana ho bloccato la strada e sta isolando la cittadina.