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 2008  maggio 12 Lunedì calendario

MILANO

Nessuna difficoltà ad ammetterlo: «Sono una vecchia comunista». Maria Sciancati, classe 1942, da due anni è a capo della Fiom milanese, i metalmeccanici, la più antica (e antagonista) delle categorie Cgil. Il sindacato l’ha sospesa per sei mesi perché un anno fa permise che un ex delegato finito nell’inchiesta sulle «Nuove Br» (poi prosciolto) partecipasse a un’assemblea. La decisione è piovuta nel bel mezzo dell’aspra discussione sul nuovo modello contrattuale, e ha incendiato le polveri nella Cgil. Con il segretario Fiom Gianni Rinaldini che ha minacciato di seguire la Sciancati in caso di conferma del provvedimento. Ma in discussione di fatto è la tenuta unitaria della maggiore confederazione.
Lei, di questo non vuole parlare: «Mi considero una vittima di questa vicenda. Ma da vecchia comunista, sono molto rispettosa delle regole». Come pure non si esprime sulla possibilità che la Fiom sia permeabile al neoterrorismo: «Son sciocchezze: Ma ora, qualunque cosa si dica, è sbagliata». Sciancati è proprio della vecchia scuola. Entra in Borletti poco più che adolescente e ci rimane per trent’anni: «Era molto dura, Borletti era un padrone-padrone, e nei primi dieci anni non ho fatto un mese intero senza scioperi. Però, io amavo la fabbrica. Al 70 per cento eravamo donne, la solidarietà era concreta». E c’era la sezione interna del Pci: «Il punto di riferimento era Pietro Ingrao. A Milano, nessuno in particolare: c’era Cervetti, i miglioristi, non faceva per me». Poi gli anni più duri, quelli delle ristrutturazioni: «Da cinque stabilimenti ne rimase uno». E negli anni Novanta, qualcosa si rompe: «Un certo tipo di lavoratori va in pensione e finisce un’era, quella della solidarietà tra generazioni».
Nel 2000 il salto nella Fiom a tempo pieno. Dirigente della zona Sempione, la fabbrica per eccellenza si chiama Alfa di Arese. Sciancati non accetta che si consideri il maxistabilimento come un qualcosa di residuale: «Guardi che ci sono ancora oltre mille lavoratori. una cosa che la Fiom può rivendicare». Dire Alfa è anche dire Cobas: «La rottura con loro è stata nettissima. Al mio passaggio, me ne gridavano di ogni colore. In assemblea, peggio».
Ma l’altra rottura, la più dolorosa, si era già consumata: «La Bolognina fu un dramma. Però, me ne andai senza esitare: sapevo che là dentro era finita». Con Veltroni, nulla a che spartire: «Non mi piace il suo nuovismo, il puntare tutto su comunicazione e immagine. E poi: io non penso che per essere di sinistra si debba avere le pezze al culo. Ma l’idea che si possa metter d’accordo tutti, beh, non ci credo ». Parla dei Colaninno e dei Calearo? «Massì, dai... Gli interessi sono oggettivamente diversi. E poi, ci sono molti imprenditori che padroni erano e padroni restano».
La sconfitta della Sinistra arcobaleno l’aveva annusata: «Una sberla terribile. Ma a prendere i mezzi pubblici lo si sentiva, i discorsi eran tremendi. Ma chiari». Però, «la sinistra neanche ci ha provato a far vedere una prospettiva. Sono arrivate le elezioni e abbiam fatto un cartello elettorale. Punto». Ma cosa c’è di così tragico nella contrattazione territoriale: «Eppure è semplice. Andrebbe bene se la contrattazione fosse estesa a tutte le imprese. Grandi e piccole. Purtroppo, così non è».
Marco Cremonesi