Attilio Bolzoni, la Repubblica 9/5/2008, pagina 1, 9 maggio 2008
"Sono nostri i murales del boss". la Repubblica, venerdì 9 maggio 2008 Camminando per Palermo abbiamo incontrato il misteriosissimo F
"Sono nostri i murales del boss". la Repubblica, venerdì 9 maggio 2008 Camminando per Palermo abbiamo incontrato il misteriosissimo F. A., quello che firma i murales alla maniera di Andy Warhol con la faccia del boss Matteo Messina Denaro. Fra i vicoli del Papireto e il mercato di Ballarò, prima ci è venuto incontro F. e poi è spuntato anche A. L´autore che tutti cercano non è uno come si immaginava, come si diceva, come si sospettava. Sono due gli autori: Filippo e Alessandro. Studiano architettura, sono ragazzi estrosi, un po´ incazzati e molto sorpresi dal gran rumore che una certa antimafia ha fatto sul loro «gesto artistico». Sono passate due settimane da quando il «giallo dei murales» è andato in scena in una Palermo ancora più conformista del solito, con una maniacale attrazione per i suoi simboli, sospettosa come sempre e come sempre paurosa della sua ombra. Eccoli qui i «fan» dell´ultimo grande latitante di Cosa Nostra, quelli che «inneggiano» al tenebroso mafioso che ama i lussi e piace alle belle donne, i ritrattisti che hanno fatto diventare U´ Siccu - così lo chiamano i suoi fedelissimi Matteo Messina Denaro - addirittura un «idolo». Eccoli qui gli ultimi filo o para mafiosi della lunga lista di Palermo. Due ragazzi come tanti altri, vengono da famiglie normali, perbene. Uno - Filippo - ha i capelli arruffati e l´altro - Alessandro - ha i capelli dritti. Sembrano anche simpatici, spigolosi come lo sanno essere i ragazzini, curiosi, svelti di cervello. «Ciao, io sono Filippo Bartoli, ho ventidue anni», dice il primo. «E io sono Alessandro Giglio, anch´io ho ventidue anni», si presenta il secondo mentre ci lasciamo alle spalle la magnifica cattedrale normanna e andiamo verso la città più spagnolesca, piazza Bologni, i Quattro Canti, via Maqueda. Siamo in zona, siamo proprio dove loro due - la notte del 20 gennaio - hanno disegnato su un muro vicino alla facoltà di Giurisprudenza e poi davanti al Duomo quattro volti del Padrino. Il segno del dollaro accanto, la «misteriosissima» sigla A. F e una scritta ancora più «inquietante»: L´Ultimo. Per giorni e giorni tutti si sono scatenati alla caccia degli artefici dei murales. Polizia, carabinieri, magistrati, giornalisti. Per giorni e giorni sul loro conto si è detto tutto e il contrario di tutto. Oggi, per la prima volta Filippo e Alessandro parlano: «La nostra è stata solo una provocazione artistica verso una città troppo silenziosa e troppo immobile nei confronti dell´arte, con il nostro murales noi volevamo smitizzare un personaggio che è stato troppo mitizzato dai media. E invece…». E invece Filippo Bartoli e Alessandro Giglio si sono ritrovati all´improvviso nella tempesta. Polemiche per quelle facce, le solite dietrologie siciliane - chi saranno mai gli autori, «a chi appartengono», chi li manda - la coincidenza temporale dell´apparizione dei murales con il quarantaseiesimo compleanno del boss trapanese. Era il 28 di aprile. Spiegano Filippo e Alessandro: «Erano passati quasi 100 giorni da quando avevamo fatto i murales e nessuno ci aveva fatto caso, se n´erano fottuti tutti…. poi "S", un settimanale locale, ha pubblicato la foto della nostra opera come sfondo a un servizio su alcune lettere spedite da Messina Denaro e tutti i giornali e le tivù italiane a quel punto hanno sollevato un putiferio». Sit in di protesta contro la «celebrazione mafiosa», una valanga di dichiarazioni di «sdegno», la vernice bianca che dopo due o tre giorni ha coperto quelle «vergogne». Due eccezioni. Vittorio Sgarbi e il questore di Palermo Giuseppe Caruso. «Sono stati gli unici che hanno giudicato la nostra iniziativa per quello che era: un´espressione artistica», raccontano i due ragazzi, secondo anno di architettura, un´amicizia fra loro che dura da anni. Sospirano: «Quella vernice bianca, la censura, è stata un colpo al cuore». Non se lo potevano neanche sognare tutto questo clamore. E le rimostranze, le «ribellioni». Dell´associazione «Mafia contro», di quella dei familiari delle vittime della strage dei Georgofili. Parlano sempre insieme F. A: «Ci ha fatto paura non soltanto essere strumentalizzati ma anche in qualche modo attaccati da quelli che rappresentano i movimenti antimafia, i giornali, le tivù, il nostro è stato semplicemente un gesto artistico: punto. Nessuno l´ha visto o discusso come opera d´arte ma tutti se ne sono interessati solo "vedendoci" un significato più o meno mafioso». Siamo già arrivati ai Quattro Canti e Filippo e Alessandro ricostruiscono gli ultimi giorni. Per loro sono stati un inferno. Si sono sentiti braccati: «Quando a gennaio abbiamo fatto il murales, il nostro desiderio era quello di restare anonimi, poi però...». Assediati da tutte le parti, si sono incontrati con il loro legale, l´avvocato Nino Caleca. Erano indecisi se parlare o non parlare, confusi. Raccontano ancora: «Oggi siamo costretti ad uscire allo scoperto per il grande casino che si è creato, la cosa ci dà più fastidio è spiegare qualcosa che non c´è bisogno di spiegare, cioè un´espressione artistica: non si è mai visto che un artista fa la sua opera e poi deve giustificarsi per quello che ha fatto». E poi c´è il resto, un resto dove Filippo e Alessandro non c´entrano niente. Le altre facce di Matteo Messina Denaro comparse sui muri di Castelvetrano (il paese del boss), di Licata, di Sciacca. Altri murales. Firmati sempre F. A. Qualcuno si è appropriato della firma e ha «riprodotto» - in verità in forma molto più grossolana - il volto dell´ultimo latitante. Ripetono loro: «Con quelli noi non abbiamo nulla da spartire, sia chiaro». Tirano fuori un dischetto. Ci fanno vedere un altro murales, quello che campeggia sopra le scalinate della facoltà di Architettura, è la rappresentazione del Modulor di Le Corbusier in perfetta scala 2 metri e 26 centimetri per 3 metri e con un «Ehilà», una scritta per svegliare tutti. Come in qualche modo volevano fare con Matteo Messina Denaro. andata come è andata. Sono giovanissimi palermitani Filippo e Alessandro, sono «dentro» la loro città ma forse non abbastanza, Palermo è ancora troppo vischiosa e dolorante per vivere in libertà come altrove. Per fortuna il direttore del Museo d´Arte Contemporanea della Sicilia Sergio Alessandro ha compreso il loro spirito, ha capito tutto. Annuncia: «Questo caso lo prendo come occasione per organizzare un incontro pubblico sul tema della libera espressione, un seminario aperto a curatori, critici, se un museo di arte contemporanea non si apre ai giovani artisti chi lo dovrebbe fare?». Filippo e Alessandro si guardano e il «giallo dei murales» si scioglie con il primo caldo dell´estate siciliana. Attilio Bolzoni