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 2008  maggio 09 Venerdì calendario

DAL NOSTRO INVIATO

BORGOFORTE (Mantova) – Chissà se Confindustria e sindacati, che si dicono pronti a riformare i contratti di lavoro, sono al corrente di quanto succede nella zona industriale di Romanore, frazione di Borgoforte. Alla Emme Esse, azienda del ramo abbigliamento con decine di negozi in Italia, trenta operaie appartenenti a una cooperativa il 2 maggio scorso si sono presentate al lavoro e hanno trovato al loro posto chini sui banconi una ventina di operai cinesi.
«Quelli sono più veloci e non si ammalano mai, voi non ci servite più» si sono sentite dire. O per essere più precisi: siccome i cinesi non erano abbastanza, c’erano una decina di posti vacanti. Sono stati assegnati a chi – tra le operaie rimaste a spasso – ha tenuto testa all’indiavolato ritmo di lavoro degli asiatici al termine di un test senza appello.
Adesso i cancelli della Emme Esse sono presidiati dalle operaie senza lavoro e dai sindacati che ostacolano l’entrata e l’uscita della merce. Ma piaccia o no, la fabbrica del terzo millennio è anche questa.
L’inizio della storia lo racconta Mirio Spaggiari, dirigente della Emme Esse: «Qui riceviamo abiti acquistati all’estero, il personale deve mettere i vestiti sulle grucce e infilarli nelle buste di cellophane. Per queste mansioni ci rivolgiamo a cooperative di lavoro». Contratto di facchinaggio, 800-1.000 euro al mese: le cooperative cambiano, ma le lavoratrici sono sempre le stesse da anni, la metà italiane, le altre marocchine, ghanesi o dell’Est Europa. «A noi non interessa – prosegue – se la cooperativa a cui diamo l’appalto utilizza dieci o cinquanta persone; controlliamo soltanto se chi entra in fabbrica è in regola con i contributi e con il permesso di soggiorno. L’importante è che il lavoro venga svolto nei tempi previsti. Se così non avviene, lo diamo a qualcun altro. L’ispettorato del lavoro è stato qui anche in questi giorni e ha trovato tutto in regola».
Non è sempre andata così: in un verbale del 19 novembre 2007 gli ispettori rilevano che alla Emme Esse il ruolo delle cooperative è di facciata. «L’autonomia della cooperativa nella gestione e nello svolgimento dei lavori – dice il documento – è assente in quanto la sua è semplicemente una fase del ciclo produttivo» e perciò «il contratto di appalto difetta dei requisiti di legge e si configura come una prestazione irregolare di manodopera ». Nonostante l’altolà, il ricorso a lavoratrici esterne prosegue e si arriva al gennaio del 2008, quando le operaie vengono prese in carico dalla cooperativa Osma Lift di Sesto San Giovanni. «Ma quelle erano sempre in ritardo al lavoro – si lamenta Roberto Lautieri, titolare di quest’ultima società – e ogni giorno c’era qualcuna che restava a casa.
E quelle che venivano in fabbrica, le mani le facevano andare poco. Così il 30 aprile abbiamo rinunciato all’appalto. Adesso metterò in liquidazione la cooperativa e tornerò a fare l’operaio come ho sempre fatto, lavorando senza lamentarmi. Perché oggi, se ci tieni al posto, devi solo impegnarti e rigare dritto». L’appalto viene così affidato a un’altra cooperativa, la Global Service di Milano, che però la manodopera se la procura da sola. «Noi dobbiamo rispettare i tempi che ci vengono imposti – dichiara Carlo Maggiulli, dirigente della Global Service – per questo abbiamo portato qui una ventina di cinesi. I risultati si sono visti subito: prima venivano lavorati 12 mila pezzi al giorno, ora siamo già saliti a 15 e anche a 17 mila». Ma nessuno si premura di avvertire le operaie della società fattasi da parte. «Non una lettera, non una telefonata – conferma Francesco Mazzola, sindacalista dei tessili Cgil di Mantova – le donne sono venute in fabbrica il 2 maggio e hanno trovato i cinesi già al lavoro. Un bel modo di trattare le persone».
Una decina di loro è stata ripescata al termine di una selezione. «Abbiamo preso quelle che si sono dimostrate capaci di tenere il ritmo di lavoro dei cinesi – conferma Maggiulli ”. una questione di attitudini professionali, di capacità. Oggi il mondo va così, non lo abbiamo mica inventato noi». Quelle che non stanno al passo con i tempi, come le mondine anziane di «Riso amaro», vengono messe alla porta. E da lì non si sono più mosse, visto che la Emme Esse adesso è costantemente picchettata. Ieri è arrivato davanti ai cancelli anche il sindaco di Borgoforte, Gianfranco Allegretti, che ha tentato una mediazione: «Non vorrei che si avviasse una battaglia infinita. Cerchiamo un percorso che limiti i danni» prova a dire.
 una parola: il sindacato, pur impegnandosi a trovare una collocazione alle donne in altre fabbriche, ha deciso di fare della battaglia alla Emme Esse una sorta di bandiera. «Sapete quante situazioni come questa ci sono in giro? Non ce l’abbiamo con le cooperative – dice il sindacalista ”, ma con gli imprenditori che non rispettano le regole, ci rivolgeremo al giudice del lavoro». E Spaggiari replica: «Io sto subendo dei danni. Se va avanti così lascio a casa anche i cinesi e porto tutti in tribunale ».
In tutto questo bailamme, Elizabeth, operaia africana, ieri ha compiuto venti anni. Un bicchiere di Coca Cola, due biscotti divisi con le colleghe fuori del cancello della Emme Esse. C’è poco da festeggiare.
Claudio Del Frate