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 2008  maggio 08 Giovedì calendario

No english, no Premier. La Stampa, giovedì 8 maggio 2008 Non basterà più essere il tacco di Dio, padroneggiare la veronica, il cucchiaio o la palombella

No english, no Premier. La Stampa, giovedì 8 maggio 2008 Non basterà più essere il tacco di Dio, padroneggiare la veronica, il cucchiaio o la palombella. E nemmeno essere rapidi nello smarcarsi o micidiali nel tiro. Da ottobre, nessun extracomunitario potrà giocare nella Premier League britannica se non sarà in grado di capire e parlare la lingua di Shakespeare in modo per lo meno decente, il che vuol dire maneggiare le espressioni colloquiali più comuni, saper parlare del tempo come delle proprie esperienze personali secondo il «basic-user standard». Tutti i nuovi acquisti privi di passaporto europeo, oltre alla consuete visite mediche, dovranno superare un esame di inglese. Sennò non potranno essere tesserati. Come dire «no english, no party». Anzi, niente partita. Ecco la conseguenza più plateale delle nuove misure per il controllo dei flussi migratori che il governo laburista ha deciso di introdurre a partire dall’autunno, un pacchetto che fa storcere parecchi nasi nei quartieri alti della Commissione Ue. Londra ha deciso la mossa per limitare il numero degli ingressi, mettendo nel mirino tutti i lavoratori di alta qualità, top manager, tecnici specializzati e pure calciatori. Sostiene che la norma potrà ridurre di ventimila unità l’anno il numero dei nuovi residenti nel regno. Bruxelles teme che la decisione scateni una serie infinita e dolorosa di ricorsi. Un esempio? Se un calciatore cileno viene contattato e poi gli viene preferito un altro - mettiamo un canadese - per ragioni linguistiche, si può andare in Corte a Strasburgo, con ogni possibilità vincere la causa per discriminazione, visto che la scelta deve avvenire sulla base della sua capacità di fare o non prendere goal, e nient’altro. Il mondo dei club britannici è in subbuglio, e la lista dei campioni in attività che non passerebbe il test per il permesso di soggiorno è lunga. La popolano il famigerato coreano del Manchester United Ji-Sung Park che si ostina a rompere la barriera del «Gud Molning». Ma c’è anche il compagno argentino Carlos Tevez oppure il brasiliano dell’Arsenal, Denilson. Tutta gente che se scrivesse coi piedi lo farebbe magari bene, ma quando deve esprimersi in un idioma straniero è costretta a una brutale rissa col dizionario. E già gli è andata di lusso. Inizialmente il governo britannico voleva imporre il General Certificate of Secondary Education (Gsce), il diploma che normalmente viene riconosciuto agli studenti della scuola secondaria di età compresa fra i 14 e i 16 anni. Alla fine deve essere prevalso il buon senso e l’asticella è stata abbassata. Ora il requisito è «l’abilità di capire e usare espressioni della vita di tutti i giorni, di presentarsi, di porre delle domane elementari e di essere in grado rispondere». Il ministro dell’Immigrazione Liam Byrne è lapidario: «Mi spiace, ma dovranno imparare la nostra lingua». Anche i calciatori? «Anche loro. Mi pare guadagnino abbastanza per pagarsi delle lezioni private», ha tagliato corto il laburista. La Commissione Ue ha molti dubbi. Certo la questione non intacca la libera circolazione dei cittadini europei, ma può creare parecchi grattacapi legali. Cosa succederebbe se uno ingaggia un messicano che gioca già in campionato europeo? E cosa potrebbe dire un senegalese nel vedersi scavalcare da uno statunitense per ragioni che nulla hanno a che fare col il calcio? Brutta storia, tanto brutta da far impallidire chi ricorda le battaglie legali che hanno portato all’abolizione delle quote nazionali seguita alla sentenza Bosman nel 1995. «Si vedrà», dicono le fonti comunitarie, pronte a sottolineare che ogni stato Ue ha diritto a introdurre le norme stringenti che desidera, ma anche a proporre una scommessa che probabilmente vincerebbero. «Chi vieterebbe a un Ronaldo di scendere in campo coi Reds per ragioni linguistiche? - si chiedono -. Al momento buono gli farebbe passare comunque l’esame». Una soluzione all’italiana. Per di più senza catenaccio. Marco Zatterin