Nòva 1 maggio 2008, STEFANO CARRER, 1 maggio 2008
Sono TRA NOI. Nòva 1 maggio 2008 Robot contro immigrati. la partita del secolo, che è già iniziata e caratterizzerà i prossimi decenni, in un Giappone dove il calo e l’invecchiamento della popolazione non lasciano alternative: o milioni di immigrati, per lo più da Cina e Sudest asiatico, o milioni di robot, molti dei quali umanoidi, in grado di sostituire o affiancare il lavoro umano ed entrare come componente normale del paesaggio sociale senza intaccarne la sostanziale coesione etnico-linguistico-culturale
Sono TRA NOI. Nòva 1 maggio 2008 Robot contro immigrati. la partita del secolo, che è già iniziata e caratterizzerà i prossimi decenni, in un Giappone dove il calo e l’invecchiamento della popolazione non lasciano alternative: o milioni di immigrati, per lo più da Cina e Sudest asiatico, o milioni di robot, molti dei quali umanoidi, in grado di sostituire o affiancare il lavoro umano ed entrare come componente normale del paesaggio sociale senza intaccarne la sostanziale coesione etnico-linguistico-culturale. Le preferenze del Governo di Tokyo sono chiare, e l’ultimo studio del "think thank" Machine Industry Memorial Foundation (Mimf) ha portato sollievo all’opinione pubblica conservatrice: la tesi è che entro il 2025 i robot potranno svolgere i compiti di 3,52 milioni di persone, ossia permettere al Paese di fare a meno di un numero simile di immigrati. Le stime ufficiali indicano che nel 2025 ci potrà essere una carenza di manodopera per 4,47 milioni di posti: secondo il Mimf, oltre l’80% di questo vuoto potrà essere colmato dalla "popolarizzazione" dei robot avanzati: 1,41 milioni di immigrati in meno nei servizi generali (dalle consegne alle pulizie), 450mila nell’agricoltura, 970mila nell’assistenza medico-infermieristica. In più, i robot consentiranno a ogni famiglia di "risparmiare" 74 minuti al giorno aumentando il tempo libero, con l’effetto collaterale di consentire a un maggiore numero di donne (giapponesi) di avere una occupazione esterna. Aggiungendo ulteriori recuperi di produttività dalla robotizzazione industriale, più un vasto utilizzo dei pensionati che vogliono ancora lavorare, e il cerchio si chiuderebbe: l’"armonia" della società nipponica potrà preservarsi dallo spettro multietnico. «Al momento i robot possono svolgere compiti relativamente semplici e c’è ancora un gap tra invenzione e commerciabilità a causa degli alti prezzi, ma è certo che in futuro la robotica svolgerà un ruolo fondamentale nell’aumentare la produttività dei servizi, problema numero uno dell’economia: la nuova generazione di robot sarà non tanto industriale, ma funzionale», afferma Shu Ishiguro, leader e "business producer" del Robot laboratory/Future life design di Osaka, al centro di un "cluster" di centinaia di aziende che, in collaborazione con le università e i colossi regionali come Matsushita, Sharp e Sanyo, fanno del Kansai (l’area intorno a Osaka) la punta avanzata della nazione del settore in cui è impegnata a consolidare una leadership mondiale. La città sta sviluppando il suo principale progetto di rinnovamento urbano (7 miliardi di dollari per l’area a nord della stazione ferroviaria) intorno a una "Knowledge Capital Zone" che intende attrarre competenze da tutto il mondo e diventare il luogo privilegiato di sperimentazione sociale della macchina-uomo. C’è il robot centralinista, il "receptionist", il guardiano, l’infermiere di base, l’assistente ai portatori di handicap di vario tipo, il baby-sitter che intrattiene i bambini, l’insegnante di lingue che riconosce quando l’allievo si distrae, il sostituto interattivo dell’animale da compagnia e così via. Dall’anno prossimo dovrebbe trovare un utilizzo esteso «Lady Bird», sviluppata dalla Dear Robo Kansai: una grossa coccinella che pulirà i servizi igienici e ovvierà alla carenza vocazionale di "obasan", le donne di mezza età che, nei gabinetti o nelle terme giapponesi, sono state finora una presenza stabile anche nelle sezioni maschili. RoboCup, una competizione internazionale di robotica, è stata lanciata una decina di anni fa da Minoru Asada dell’Osaka University ed è diventata una palestra privilegiata di sviluppo per l’engineering e l’intelligenza artificiale, suddividendosi anche in sottogare come RocoCupRescue (assistenza ai disastri) e RoboCupJunior (educazione e intrattenimento bambini). Per il quarto anno consecutivo, il TeamOsaka ha vinto la RoboCup Humanoid League di calcio. Nobuo Yamato, Ceo della Vstone, mostra con orgoglio il suo «Vision4G» che tira stangate e («cosa più difficile») si lancia in spettacolari parate. Il che lascia anche inquieti, visto che questi umanoidi sanno individuare i nemici e attaccarli, metafora e preconizzazione di sempre più vaste applicazioni militari (oltre quelle già esistenti) e di insolubili dilemmi etici sulle responsabilità penali e civili connesse all’intelligenza artificiale. I robot giapponesi, umanoidi e non, sono tutti inquadrabili nella categoria del "kawaii", un tratto tipico della cultura nipponica per cui l’oggetto deve strappare un «Che carino!» e, quindi, fin da subito, incorporare una carica emozionale e spesso rinviare a personaggi delle "Anime" e del mondo virtual-televisivo in genere. La Softbank, per esempio, sta introducendo sul mercato il PhoneBraver, telefonino umanoide con un volto e con braccia e gambe (staccabili), che può riconoscere le abitudini dell’utente e inviare messaggi consequenziali («Ehi, in questi giorni la stai chiamando proprio spesso, ne?»). A Fukuoka la catena di supermercati Aeon ha introdotto un robot umanoide per intrattenere i bambini – li sa identificare per nome e scambia varie battute – mentre le mamme fanno la spesa: in futuro, Aeon, in collaborazione con la Tmusk, prepara robot in grado di fare da guida ai consumatori tra gli scaffali e riempire i carrelli a comando vocale. L’altra particolarità sistemica è «la mancanza delle remore proprie della cultura cristiana verso l’umanoide e le relative associazioni emozionali», afferma Massimiliano Zecca, da 5 anni al laboratorio RoboCasa (tra l’Università Waseda e la S. Anna di Pisa), dove i progetti si stanno ampliando – coinvolgendo altre università italiane – fino a utilizzare il «robot come una sorta di cavia da laboratorio e piattaforma di studio per l’analisi e l’interpretazione delle emozioni umane». Un altro laboratorio congiunto, sulla robotica cognitiva, è in Corea, a Seul, sorto dalla collaborazione tra Paolo Dario (S. Anna) e Oh Sang-Rok del Korean Institute of Science and Technology. Secondo Oh, «i giapponesi sono più avanzati nell’industria dei componenti e dei materiali, ma la Corea guida il fronte delle comunicazioni mobili, la cui interazione con la tecnologia robotica sarà la chiave delle loro funzioni sociali future». E cita il caso del gestore Sk Telecom, che offre già come servizio standard il collegamento mobile a un robot-aspirapolvere al quale si può comandare a distanza di girare i locali di casa, per controllare visivamente che sia tutto in perfetto ordine. Anche questa funzione innocua evoca possibili applicazioni da Grande Fratello. Quello orwelliano, non quello casereccio-televisivo. STEFANO CARRER