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 2008  maggio 08 Giovedì calendario

MILANO – E’

stata al suo fianco per mezzo secolo, ne ha condiviso ogni giornata, ascoltato ogni parola, aperto ogni lettera, risposto a ogni telefonata. Forse non sapeva tutto, ma molto, moltissimo, sì Vincenza Enea, storica segretaria di Giulio Andreotti fino al marzo 1993. Fidatissima, efficientissima, totalmente dedita al suo datore di lavoro, quell’ ometto curvo dalle orecchie a punta emblema e simbolo dei misteri, anche i meno confessabili, d’Italia. Lei lo chiamava «il capo», lui la ricambiava con «signora». Per tutti gli altri, per il resto del mondo fuori da quella stanza, Enea era detta l’"Ombra", colei che tutto vedeva, tutto sapeva, tutto taceva. L’enigma nell’ enigma, una sfinge al centro di un labirintico gioco di scatole cinesi.
«Una custode di segreti, uno scrigno, anzi una cassaforte», la definisce Piera Degli Esposti, che la interpreta ne Il Divo, attesissimo film di Paolo Sorrentino, protagonista nel ruolo del discusso uomo politico Toni Servillo, in gara il 23 maggio al Festival di Cannes e dal 28 nelle nostre sale distribuito dalla Lucky Red. «Vincenza è un personaggio affascinante quanto arduo da affrontare proprio per quella sua riservatezza leggendaria che così poco ha lasciato trapelare», aggiunge la talentuosa Piera, tra breve anche protagonista di un corto speciale, Lettera d’amore a Robert Mitchum, di Francesco Vaccaro, in uscita a giugno con il film brasiliano L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza.
«Quel che si sa della signora Enea – riprende Degli Esposti – è in gran parte per sentito dire, per qualche brandello di cronaca sfuggito al muro di silenzio che ha sempre circondato la sua vita. Opaca, in apparenza, come la sua figura goffa e massiccia. Per calarmi dentro i suoi panni, Sorrentino ha lavorato molto sul mio volto, niente trucco, i capelli grigi divisi da una riga laterale, occhiali dalla montatura pesante, come quelli di Andreotti. Insomma, una donna all’antica, un po’ contadina ».
Difatti era ciociara. «Sì, una terra di balie. E un po’ balia lo è stata davvero per lui. Fino all’ultimo giorno impegnata a proteggerlo da seccatori e ficcanaso, a risolvergli i problemi, a smistare interviste e udienze. Tutto senza mai azzardar giudizi». Ma in cuore suo qualche opinione se la sarà ben fatta... «Certo, ma se l’è tenuta per sé. Ormai sintonizzata sul cinismo del suo capo, pronta a giustificarlo in ogni caso. Anche al processo che vide il suo boss imputato per associazione mafiosa. "La politica pulita non esiste", era il suo motto».
Una dura. Come del resto conferma il suo passato: fascista militante, finita in carcere dopo la Liberazione. «Una donna con occhi e orecchi spalancati dove però tutto resta dentro. La sfida più difficile per me, che come carattere sono tutta l’opposto, è stata cercare di restituire quello sguardo penetrante che nulla però rimanda indietro. Uno sguardo che poteva aprire la porta fatidica a cui tutti bussavano o sbarrarla per sempre.
"Non arrivavi a lui se non passavi da lei", mi ha assicurato Aldo Tortorella ». In cambio Andreotti, l’indecifrabile, l’aveva eletta depositaria di inusuali confidenze. «Diciamo che non temeva che lei sapesse. E poi era inevitabile: Vincenza apriva tutta la posta, rispondeva al telefono privato, ascoltava conversazioni, vagliava messaggi. E’ stata molto più di una segretaria. Considerando il tempo trascorso insieme, in ufficio dall’alba a notte fonda, credo si potrebbe definirla "l’altra moglie" di Andreotti».
Tanto e tale attaccamento lascerebbe supporre quasi una sorta d’amore... «L’amore ha tanti volti. Escludendo versanti sentimentali, credo che sia difficile negare un legame d’affetto. Per Andreotti l’Enea rinunciò quasi a tutto. Pur sposata e con un figlio, che di recente mi ha scritto una gentile lettera, Vincenza antepose sempre il suo lavoro al suo privato. Tutto sacrificato all’altare del divo Giulio».
Quando Andreotti, promosso senatore a vita, lasciò gli incarichi istituzionali, sapendo che era malata, che l’Alzheimer aveva iniziato a intaccarne la memoria d’acciaio, la licenziò. Ma non ebbe il coraggio di farlo di persona e lei se un po’ ci restò male. Ma naturalmente non protestò. «Andò in pensione, non scrisse nè diari nè memoriali, non rilasciò interviste velenose – ricorda Piera ”. Alla fine Vincenza ha ricevuto molto meno di quel che ha dato. Una figura quasi introvabile in un mondo dove chiunque sia stato accanto al potere non resiste all’idea di denunciarne le malefatte in qualche libro "bomba". Lei invece tenne fede fino in fondo a quel suo stile asciutto, senza emozioni. Al resto pensò l’Alzheimer, quasi una "malattia professionale" nel suo caso, metafora estrema del cancellare segreti, di suggellare silenzi».
Giuseppina Manin