Luca Valdiserri, Corriere della Sera 7/5/2008, pagina 49., 7 maggio 2008
Senza lo stadio non c’è futuro. Corriere della Sera, mercoledì 7 maggio 2008 La Premier League inglese, secondo un recente studio della Deloitte, incassa il 40% in più del suo primo competitor calcistico, la serie A
Senza lo stadio non c’è futuro. Corriere della Sera, mercoledì 7 maggio 2008 La Premier League inglese, secondo un recente studio della Deloitte, incassa il 40% in più del suo primo competitor calcistico, la serie A. Nel 2006-2007 Manchester United, Chelsea, Arsenal e Liverpool hanno ottenuto ricavi per 1.061 milioni di euro; Milan, Inter, Roma e Juventus 724. Il motore che più marca la differenza tra i due campionati è lo stadio di proprietà dei club. Il nuovo stadio dell’Arsenal è l’esempio migliore per capire: il vecchio Highbury, nel 2006, ha portato ricavi per 192 milioni di euro; il nuovo Emirates (inaugurato il 22 luglio 2006) ne ha portati 264 nel 2007. Settantadue milioni che possono essere incamerati e/o investiti sul mercato. Ogni anno, non una tantum. Parlare di stadio, nel caso dell’Arsenal, è riduttivo. Nella zona di Ashburton Grove, in una ex area industriale abbandonata, è nata una sorta di Arsenal Town che si estende su 24 ettari: lo stadio (60.062 posti tutti a sedere), 3 mila nuove case, bar, ristoranti, una multisala cinematografica. Nella zona di Highbury, invece, sono in costruzione 700 appartamenti di lusso e 12 mila mq commerciali. Il progetto del nuovo stadio e dintorni è costato 487 milioni di euro e ha portato a un forte indebitamento dell’Arsenal, che non ha esitato a vendere due pezzi pregiati come Vieira e Henry. L’importante è avere poi la competenza per comprare al loro posto Fabregas e Adebayor. Le fonti di entrata copriranno velocemente il debito. La Emirates, per dare il proprio nome allo stadio, ha stipulato un contratto per 15 anni che vale 100 milioni di sterline. Tra le squadre italiane si è portata avanti soltanto la Juventus, che ha iniziato i lavori per il nuovo stadio Delle Alpi, di proprietà della società bianconera, e ha già siglato una partnership commerciale con Sportfive: un contratto da 75 milioni di euro, sotto forma di minimo garantito, finalizzato allo sfruttamento commerciale dell’impianto (cessione dei diritti sul nome, co-gestione al 50% dei palchi vip, creazione di una tribuna corporate per gestire pubbliche relazioni di alto profilo). Progetto immediato, raddoppiare i ricavi da stadio. Peccato che quelli attuali arrivino al 5%, mentre quelli dell’Arsenal sono del 51%. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare. Ma ci sono investitori interessati a entrare nel business dei nuovi stadi italiani? Tullio Camiglieri, fondatore di Open Gate Italia, società di public affairs, è sicuro di sì: «Abbiamo sottoposto i nostri progetti a due fondi americani che sono molto interessati a investire in stadi e infrastrutture sportive in Italia. Non capiscono perché la nazione campione del mondo non abbia impianti all’altezza. Negli States, anche in presenza di un campionato di calcio di seconda fascia, gli stadi di proprietà sono un grandissimo affare, che produce reddito». Gli stadi di proprietà, in sintesi, garantiscono da subito tre grandissimi risultati: 1) solidità finanziaria perché evitano la pericolosa dipendenza dei bilanci dai diritti tv; 2) maggior sicurezza degli impianti; 3) fidelizzazione del pubblico e sfruttamento del merchandising. Il museo del Barcellona, biglietto d’ingresso a 8,50 euro, che salgono a 13 per il tour completo dello stadio, è il museo più visitato di tutta la Catalogna. Secondo il sito del Barça gli ingressi sono 1.200.000 all’anno. Fatti. Business. Il resto sono chiacchiere. Luca Valdiserri