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 2008  maggio 04 Domenica calendario

Che cosa c’è dietro al ricatto beduino all’Italia. Libero 4 maggio 2008 Va a finire che si farà prima a nostre spese l’auto strada in Libia per unire Tripoli al confine egiziano, di quando si finirà la Salerno-Reggio Calabria

Che cosa c’è dietro al ricatto beduino all’Italia. Libero 4 maggio 2008 Va a finire che si farà prima a nostre spese l’auto strada in Libia per unire Tripoli al confine egiziano, di quando si finirà la Salerno-Reggio Calabria. questo il succo dell’improvvisa levata di testa che la Libia riserva a Roberto Calderoli ministro - «ci sarebbero conseguenze catastrofiche» - rilanciate da un portavoce della Lega Araba, poi smentite dal suo vicesegretario generale, Ahmad ben Helly. Con tanto di intervento del ministro degli Esteri, Massimo D’Alema, invitato riservatamente da Gianni Letta a difendere le prerogative dell’Italia. D’Alema l’ha fatto, ma augurandosi anche zero forzature da parte italiana. E Berlusconi irritato, perché con Gheddafi. lui si è speso abbondantemente, nel precedente governo. Ma Gheddafi e la sua famiglia sono dei maestri, nell’arte del riaprire il libro delle doglianze ufficiali riservate all’Italia, per via del trapassato remoto coloniale. Per restare asolo all’ultimo decennio, nel luglio 1998 Lamberto Dini, ministro degli Esteri del centrosinistra, negoziò l’ennesimo "accordo finale di pacificazione" tra Roma e Tripoli, con la firma di una serie di impegni tra cui la costruzione di un ospedale a Bengasi, scuole e infrastrutture. Ma non l’autostrada - costo stimato 4 miliardi di euro - che Gheddafi ripiazzò prontamente come argomento irrisolto del contenzioso bilaterale appena il neoministro degli Esteri del’ap pena insediato governo Berlusconi, il tecnico Renato Ruggiero, commise l’errore di una sosta imprevista e impreparata a Tripoli, tornando a Roma dal Sudafrica. Berlusconi credette di risolvere il problema nell’ottobre 2003, appena la Libia era ufficalmente uscita dalla lista dei paesi terroristi e dall’embargo che su di essa gravava, per l’attentatio sui cieli di Lockerbie del 1988. E di nuovo Gheddafi gli tese una trappola facendogli trovare le foto dei libici impiccati dagli italiani. E si dovette arrivare all’aprile 2004, mentre la Libia aveva per reazione rispalancato il flusso degli immigrati clandestini che dalle sue coste provenendo da mezza Africa si riversavano verso le isole italiane, perché Berlusconi dovesse pazientemente ritessere col regime della Jahmayria le fila di un accordo complessivo. Un accordo nel quale l’Italia si è impegnata a realizzare tre campi per controllare gli immigrati clandestini lungo le piste interne libiche seguite dal flusso proveniente da Niger, Ghana e Mali, nonchè oltre cento voli charter per il loro rimpatrio, e molte altre cose, dai costi alimentari a quelli igienico-sanitari, alla fornitura alle forze marittime libiche di pattugliatori italiani con attrezzature elettroniche avanzate. Il consolato in fiamme L’autostrada sembrava sparita, dalla liste dei nuovi onerosi impegni chiesti al governo italiano. Macché, ecco che puntualmente torna prepotentemente ad affacciarvisi nel febbraio 2006, quando nelle ultime settimane del governo Berlusconi Tripoli si trova a dover fronteggiare il primo serio incidente con Roberto Calderoli. Il leader leghista in una trasmissione tv italiana fa affiorare sotto la camicia una maglietta di solidarietà verso le vignette danesi su Maometto che hanno scatenato le reazioni mondiali di tutto il fanatismo musulmano. Risultato: a Bengasi si verifica una via dimezzo tra una protesta pseudo-popolare organizzata in realtà dalle autorità contro il consolato italiano, e l’azione di qualche jihadista che abilmente ne approfitta. La situazione sfugge di mano. Il consolato brucia. Le forze di sicurezza furono costrette ad aprire il fuoco. Saltò a Tripoli il ministro dell’Interno, per altro in odore di eresia rispetto al clan Gheddafi. Calderoli si dimise dal governo, anche per intervento di Ciampi. La richiesta dell’autostrada divenne pregiudiziale, e massimo D’Alema se la ritrovò sul tavolo, incontrando Gheddafi nell’aprile 2007. Il rubinetto del gas Ma, in quell’incontro si strinsero ben altri impegni. Perché dall’inizio del 2007 proprio il figlio di Gheddafi che oggi ha risparato verso Calderoli, Saif al Islam el Gheddafi, è personalmente alla guida del grande progetto di rilancio economico del Paese, volto dichiaratamente a fare della Libia entro vent’anni la Dubai del Mediterraneo. Cosa che rende l’avvertimento al governo italiano particolarmente temibile, per così dire, soprattutto dal punto di vista economico finanziario. La Libia ha riserve che sono calcolate in una cifra che va oltre i 100 mila miliardi di metri cubi di gas, e a settembre 2007 le primarie 60 compagnie petrolifere di oltre 25 Paesi del mondo vennero ammesse a visionare 12 aree e 41 blocchi estrattivi, per la bellezza di circa 72.500 kmq. Il 9 dicembre 2007 a Tripoli sono state aperte le offerte e dichiarati i vincitori. E a ottobre 2007 Tripoli ha rinegoziato coll’italiana Eni il più importante accordo della storia del Paese, su un arco di 25 anni e per un importo dichiarato di ben 28 miliardi di euro. Non si è mai capito se l’autostrada da 2.000 km fosse parte non dichiarata dell’accordo: Tripoli dice di sì. Ma con l’entrata in funzione da fine 2006 del gasdotto di Mellitah realizzato dall’Eni e che trasporta mediamente dagli 8 ai 10 miliardi di metri cubi di gas ogni anno dalla Libia alla Sicilia di circa 580 km, la Libia è passata dal trentasettesimo al settimo posto come Paese fornitore dell’Italia. L’interscambio commerciale 2007 è valutabile in circa 15 miliardi di euro, di cuoi poco più di due di esportazioni nostre a Tripoli, e tutto il resto fatto di importazioni energetiche dalla Libia in Italia. Nell’enorme piano di investimenti pubblici annunciato un anno fa dal governo libico - a botte di 20 miliardi di euro l’anno, integralmente provenienti dalla royalties energetiche - c’è di tutto: ospedali, strade, aeroporti, scuole, desalinizzatori, ferrovie, centrali elettriche. Centinaia di compagnie mondiali sono in fila. Per l’Italia non c’è solo Eni, come abbiamo già detto. Ma Impregilo, Finmeccanica, Trevi, Pirelli, Iveco, e molte altre. Il turismo e le grandi compagnie di crociera come Costa MSC puntavano molto sui porti libici, ed ecco che Tripoli nel dicembre 2007 risfodera il coltello pretendendo il visto in doppia lingua, compreso l’arabo. I libici sono abituati a trattative estenuanti. Calderoli è solo una scusa. Ma Saif al islam va preso sul serio, perché governa appalti da decine di miliardi di euro, e un bel rubinettone di gas che, purtroppo, ci serve. A Berlusconi ora riprendere in mano la patata bollente. Con Gheddafi si è già scottato. Andiamoci piano, con l’autostrada libica, visto che non riusciamo ad averne in Italia. OSCAR GIANNINO