Il Sole 24 Ore 4 maggio 2008, Giacomo Vaciago, 4 maggio 2008
Tre bolle e un solo rimedio: il dollaro. Il Sole 24 Ore 4 maggio 2008 Dal 1637, quando scoppiò la famosa bolla dei "bulbi dei tulipani" abbiamo imparato tante cose sulle bolle speculative: non siamo stupiti se ogni tanto se ne forma una, e sappiamo anche che non durano a lungo: di solito nel giro di qualche anno ogni bolla cessa di crescere e poi rapidamente si sgonfia
Tre bolle e un solo rimedio: il dollaro. Il Sole 24 Ore 4 maggio 2008 Dal 1637, quando scoppiò la famosa bolla dei "bulbi dei tulipani" abbiamo imparato tante cose sulle bolle speculative: non siamo stupiti se ogni tanto se ne forma una, e sappiamo anche che non durano a lungo: di solito nel giro di qualche anno ogni bolla cessa di crescere e poi rapidamente si sgonfia. Il fatto che negli ultimi dieci anni ve ne siano state addirittura tre - contando anche quella attualmente in corso - merita però una riflessione più generale: come mai si sta passando da una bolla all’altra, quasi senza soluzione di continuità? Dieci anni fa, eravamo in pieno boom della "new economy", con l’indice Nasdaq dei titoli tecnologici che cresceva senza sosta. Avendola definita «esuberanza irrazionale», la Federal Reserve di Alan Greenspan non aveva ritenuto di fare alcunché per fermare quel sogno di arricchimento di tanti. Fu anzi spiegato in lavori scientifici dall’attuale presidente della Fed (allora solo noto accademico), Benjamin Bernanke, che le Banche centrali non dovrebbero occuparsi dei prezzi delle attività patrimoniali, ma solo dei prezzi dei beni di consumo: è questa l’inflazione che conta e che si vuole resti modesta. Una volta sgonfiata la bolla della new economy, poco dopo è partita una nuova bolla che riguarda invece l’economia più "old" possibile: l’edilizia residenziale. la volta del boom del credito, concesso anche a chi normalmente non potrebbe comprarsi casa se ciò non fosse sostenuto dal continuo aumento del valore dell’immobile. Come la prima anche la seconda bolla (detta del credito "subprime") ha il suo centro negli Stati Uniti, ma si diffonde un po’ in tutto il mondo attraverso la finanza che è ormai davvero globale. Ancora non si è sgonfiata completamente la bolla immobiliare che ne è già partita una nuova (la terza in meno di dieci anni) quella attuale, detta anche "Food and energy", dai due settori che ne sono protagonisti. Anche in questo caso, all’origine dell’aumento dei prezzi stanno fattori fondamentali veri, cioè collegati a una domanda finale che è effettivamente in aumento. Lo era anche la tecnologia informatica dieci anni fa; e lo era la domanda di case cinque anni dopo. Lo è l’aumentata richiesta - cui infatti si accompagna anche un’aumentata offerta di energia e di alimentari. Ma come sempre accade in questi casi, i prezzi quando la bolla si fa sostenuta acquistano vita propria e continuano a crescere... solo perché sono già molto cresciuti. Più che il consumo finale - che tenderebbe a ridursi all’aumentare del prezzo - quella che aumenta è la richiesta speculativa, cioè una componente della domanda che risponde positivamente all’aumentare del prezzo finché si prevede che la tendenza possa continuare. Venendo ai fatti di oggi, cosa hanno in comune il cibo e l’energia? A ben guardare, ciò che hanno in comune sono soprattutto due fattori reali e due aspetti finanziari. I fattori reali - che sono anche quelli più enfatizzati da chi crede (o ha interesse a far credere) che la bolla durerà ancora a lungo, anzi non sia affatto una bolla, ma un fenomeno strutturale - riguardano anzitutto la crescente domanda di energia e di cibo da parte dei Paesi emergenti con una rapida crescita economica. Non a caso, negli anni scorsi abbiamo riscoperto i Principi sulla popolazione di Robert T. Malthus (1798), sul contrasto tra la crescente popolazione della Terra e risorse naturali finite. Il secondo fattore reale che collega cibo ed energia è ovviamente l’esistenza di incentivi alla coltivazione di prodotti agricoli che servono poi come combustibili. Tutta la catena alimentare va in fibrillazione se la domanda di una sua parte gode di incentivi fiscali. L’errore di incentivare la domanda, invece dell’offerta cioè delle rendite dei terreni, dovrebbe essere corretto negli Stati Uniti e non esteso all’Europa. I due fattori finanziari da sottolineare non sono meno importanti. Riguardano anzitutto la debolezza del dollaro americano - che è la moneta usata come "numerario" (quella cioè in cui sono misurati i prezzi) e come mezzo di pagamento, sia sul mercato dell’energia, sia sul mercato dei prodotti alimentari. Il secondo fattore è il ritorno a condizioni monetarie decisamente espansive, con i tassi americani tornati ai livelli molto bassi cui stavano quando le due precedenti bolle si erano formate. Sembra quasi paradossale ma dopo dieci anni è forse giunto il momento di dedicare un po’ più di attenzione a questo aspetto: il "colpevole" sembra infatti essere il successo delle Banche centrali nel tenere bassa l’inflazione, misurata dai prezzi al consumo (a maggior ragione se si guarda all’inflazione "core", che esclude alimentari ed energia, come appunto fa la Fed). Poca inflazione con molta liquidità e i tassi d’interesse bassi significano più alti prezzi delle attività patrimoniali. Da tutto ciò risultano due conclusioni. Anzitutto, che il dollaro debole, e atteso a restare debole, sta causando abbastanza guai e merita interventi correttivi. Gli europei finora lamentano solo che la debolezza del dollaro e quindi la forza dell’euro sta danneggiando i profitti delle loro esportazioni. Ma il loro argomento principale dovrebbe essere un altro: il dollaro debole contribuisce ad affamare il mondo... In secondo luogo, merita sottolineare che le ragioni per escludere alimentari ed energia dalla misura dell’inflazione-obiettivo, usata dalla Fed, non sono più rilevanti oggi o sono addirittura da rovesciare. Si sta infatti accettando che l’inflazione spinta da combustibili e alimentari determini tassi d’interesse "reali" sempre più negativi, al contrario del principio condiviso (detto "principio di Taylor" dagli economisti) secondo il quale quando l’inflazione cresce i tassi d’interesse reali devono aumentare. Dopo dieci anni è venuto il momento di riflettere sui guasti provocati da politiche monetarie troppo espansive. Giacomo Vaciago