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 2008  maggio 03 Sabato calendario

VITTORIO ZUCCONI

WASHINGTON
dal nostro inviato
La guerra dei fagioli ha un nome terribile - Enola - come il B29 che polverizzò Hiroshima, e l´aspetto innocuo di un baccello giallo sparato come un´arma letale nella guerra mondiale tra ricchi e poveri. L´"Enola bean" è un fagiolo qualsiasi, coltivato estensivamente, nei secoli dei secoli, da generazioni di contadini nei campi messicani, dai quali un americano lo prelevò, lo trapiantò in Colorado, lo ribattezzò con il nome della moglie, la signora Enola, e lo brevettò come se avesse inventato lui i fagioli. Da allora, e fino alla sentenza dei tribunali americani di questa settimana che lo hanno spogliato del brevetto, per ogni chilo di fagioli gialli ovunque prodotti e venduti, lui incassava 12 centesimi in diritti, per milioni di dollari, oltre 200 milioni all´anno. Si chiama "biopirateria" e produce più ricchezze rubate di quante i pirati delle Tortugas avessero mai potuto sognare abbordando galeoni nei Caraibi. Si sente fare una cifra, 3 miliardi di euro.
L´uomo che inventò i fagioli si chiama Larry Proctor e non ha fatto nulla che in questi anni i giganti multinazionali della farmacologia e dell´industria alimentare non abbiano fatto e non facciano. Dopo una visita in Messico, dove il legume nativo proprio del nuovo continente è un pilastro quotidiano dell´alimentazione, si riportò a casa nel 1995 una pianticella di questa varietà di Phaseolus vulgaris, del fagiolo. La trapiantò negli Stati Uniti, selezionò i baccelli per rendere uniforme e gradevole il colore giallo e ottenne dallo US Patent Office il brevetto esclusivo ventennale sul materiale genetico della pianta. E poi si sedette ad aspettare che le royalties, i diritti, piovessero sulla sua società, la PodNers. Fino al ricorso legale fatto dalla Fao, il braccio agro alimentare dell´Onu, e alla sentenza che ha restituito ai campesinos messicani il diritto di produrre liberamente i loro Phaseolos vulgares, senza pagare commissioni alla PodNers.
Ma è stata soltanto una piccola vittoria in una guerra che tra ricerche farmacologiche sulle piante, organismi geneticamente modificati, antiparassitari naturali e, sempre più, controllo della produzione alimentare nel tempo della possibile carestia planetaria, si sta quietamente combattendo sotto il clamore delle guerre ideologiche o religiose. Nelle foreste della pioggia e nelle giungle dell´America Centrale e Meridionale, nel sud est asiatico, nelle pianure alluvionali dell´India come in Africa, ovunque la varietà biologica della fauna sia ancora ricchissima, le multinazionali dell´agrobusiness e dei farmaci cercano molecole, principi attivi, possibili medicinali in fiorellini, scorze, pianticelle che la tradizione locale, i millenni di sciamanismo, di stregoni, di medicine men, di rimedi caserecci e trattati fra religione e scienza, sanno utilizzare. E quando, dopo anni di sperimentazione e di tentativi sintetizzano, in un caso su diecimila, una molecola sintetica efficace in terapie, come la "vincristina" ricavata dalla pervinca rosa del Madagascar e utilizzata nei protocolli per combattere la leucemia, ottengono il brevetto esclusivo, senza che alla nazione, alla gente, alle culture locali venga un solo centesimo di utile. La Ely Lilly che ottenere la patent sulla molecola derivata dalla pervinca, rifiutò qualsiasi forma di pagamento al Madagascar.
Un saccheggio globale non soltanto di risorse, ma di conoscenza, come invocano i gruppi indiani che si stanno organizzando per impedire non soltanto la "biopirateria", ma la razzia di conoscenze mediche tradizionali. Le ricerche condotte dalle case farmaceutiche hanno dimostrato che la sperimentazione su fiori e piante è una lunga e costosa lotteria con marginali risultato. Ma se si incrociano i test alla cieca con i testi sacri, le tradizioni sciamaniche, le terapie tramandate dagli anziani, le probabilità di centrare un bersaglio e ottenere un risultato utile scendono da un´astronomica una per diecimila a una probabilità su mille, aumentando quindi di dieci volte l´ipotesi di ricavare un prodotto commerciale.
Le piante, la flora, la diversità biologica, è stato ed è lo scrigno ancora largamente inesplorato, delle farmacologia.
Dalla corteccia di salice, ben nota ai medicine men Sioux che la usavano come analgesico e anti-infiammatorio senza conoscere l´esistenza di quell´acido acetilsalicilico poi chiamato aspirina, al potente antitumorale tamoxifen ricavato dall´albero di tasso, nelle foreste amazzoniche come nelle giungle africane ci potrebbe essere la risposta ancora sconosciuta alle domanda di terapie. Le società farmaceutiche si difendono citando i costi immensi, soltanto negli Usa 10 miliardi di dollari, pagati per condurre migliaia di inutili esperimenti nella speranza di centrare un bersaglio al buio. La Fao, come le ormai numerose organizzazioni non governative che cercando di combattere la "biopirateria" dei forti nei forzieri dei deboli ("bio prospezione", preferiscono chiamarla i forti) pretenderebbero che almeno una porzione dei profitti mietuti sui fiorellini malgasci o sulle cortecce amazzoniche andassero alle popolazioni locali, soprattutto quando il saccheggio, come avviene in India, si estende alle culture e ai testi tradizionali che non possono essere chiamati naturali.
Tra medicina e alimentazione, tra fame e malattia, il potenziale di arricchimento, per chi riuscisse a controllare e brevettare il genoma di legumi come i fagioli messicani, farebbe impallidire i profitti succhiati dai giacimenti di petrolio, comunque destinati a esaurirsi o a essere sostituiti, come sempre nella storia umana, da altre forme di energia. Giuristi, facoltà di giurisprudenza, agenzie dell´Onu come della Unione Europea, si stanno arrovellando su questo nuovo fronte dell´eterna guerra per controllare le risorse, un fronte che la ormai inevitabile modificazione genetica di coltivazioni come quella del riso, per renderlo resistente ai parassiti, ha allargato all´infinito. Chi avrà in mano i fagioli, il riso, il grano avrà in mano il mondo, come neppure la bomba trasportata dall´Enola su Hiroshima seppe offrire.
Uno studio condotto dalla Duke University, una delle massime negli Stati Uniti, si è chiesto se sia legittimo e accettabile imporre brevetti su coltivazioni come quella dei fagioli messicani la risposta dei tribunali è stata per la prima volta, nel caso del signor Proctor e del suo fagiolo giallo, negativa. Ma soltanto perché quella tinta giallina più uniforme non giustificava la pretesa che fosse un prodotto davvero nuovo. La domanda rimane senza risposta e per cercarla fino in fondo, un´associazione americana, la ActionAid, ha lanciato un´azione legale sulle patatine fritte. Hanno chiesto, provocatoriamente, l´esclusiva sulle patatine fritte, sostenendo che, se la patata è, per ora, di tutti, l´idea di farla a fettine, salarla e friggerla non è mai stata brevettata, da quando fu inventata a Bruxelles, due secoli or sono. La McDonald´s, come ieri i contadini messicani, trema.