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 2008  maggio 03 Sabato calendario

PAOLO BERIZZI

ROMA - Il missile libico arriva in Italia alle 19.47, rimbalzato dall´agenzia di stampa Jana e cioè il megafono ufficiale del governo di Tripoli. «Se Calderoli ridiventasse ministro del prossimo governo Berlusconi si avrebbero ripercussioni catastrofiche nelle relazioni tra l´Italia e la Libia». Così Saif El Islam Gheddafi, figlio del leader libico Muammar Gheddafi. Nella sua news analysis non proprio diplomatica, l´erede del "colonnello" inizia precisando che l´eventuale decisione di Silvio Berlusconi di rinominare ministro l´esponente leghista è «un affare interno che riguarda l´Italia». Ma subito dopo va all´affondo, rimarcando «la gravità di questa questione». A far da contorno alle esternazioni di Gheddafi jr è una nota della stessa agenzia Jana, che senza mezzi termini definisce Calderoli «il vero assassino dei cittadini libici morti» a Bengasi il 17 febbraio 2006. Nella città libica una manifestazione di protesta divampò contro il consolato italiano in seguito a uno show dell´allora ministro per le Riforme, il quale, durante un´intervista al Tg1, si aprì la camicia e mostrò una maglietta con la riproduzione di una vignetta anti-islamica (una delle caricature di Maometto pubblicate sul quotidiano danese "Jyllands Posten"). La polizia libica reagì all´assalto con violenza e sparò contro i manifestanti uccidendo 11 persone e ferendone altre 25. «La crisi - si legge nel testo di Jana - è stata allora circoscritta, causando anche le dimissioni del ministro italiano. Ma ora giungono voci sulla possibilità di ricandidare nuovamente quel ministro, il vero assassino - appunto - dei cittadini libici».
Saif El Islam ha ribadito il concetto. E ha acceso il fuoco delle polemiche. Se il diretto interessato, Calderoli - designato ministro per l´attuazione del programma di governo (con delega alle riforme) - sceglie ora la linea della diplomazia («la scelta della squadra di governo spetta a Silvio Berlusconi che ha avuto mandato dal popolo che è sovrano, partendo proprio dalle indicazioni che quel popolo gli ha fornito»), da altri rappresentanti leghisti arrivano parole più robuste: «Non accettiamo provocazioni e minacce dalla gang di Tripoli, ovvero i registi delle invasioni delle coste meridionali del nostro paese - ha tuonato l´europarlamentare Mario Borghezio - Per fortuna in questo governo ci sono dei veri crociati come i leghisti in grado di combattere il pericolo del terrorismo jihadaista e i suoi palesi e occulti sostenitori come i libici». «Parole farneticanti e in libertà», le definisce Roberto Cota, capogruppo in pectore della Lega alla Camera, mentre Gian Paolo Gobbo, sindaco di Treviso, si augura che «Gheddafi jr venga censurato dal padre». «Non vorrei - dice ironicamente Giacomo Stucchi, altro deputato lumbard - «che adesso arrivasse anche Raul Castro a porre veti a qualche altro ministro o a Fini presidente della Camera». Commenti irritati anche dall´opposizione. «Diktat inaccettabili», dice Enrico Gasbarra del Pd. E Luca Volonte´ dell´Udc: «L´Italia non è sotto tutela di nessuno, tantomeno della Libia».

VINCENZO NIGRO
ROMA - La «Rivoluzione verde» di Mohammad Gheddafi contro le bandiere verdi della Lega. Il governo di Silvio Berlusconi non è ancora nato, ma già dall´estero arrivano i primi problemi: un deja vu dello scontro Italia-Islam che, l´avevamo quasi dimenticato, fu una delle costanti negative della politica estera del secondo governo Berlusconi. Ieri l´ambasciatore libico a Roma, Hafez Gaddur, ha letto e rilanciato il comunicato con cui Saif Gheddafi condanna la possibilità di rivedere Calderoli ministro: anche per lui è stato un tuffo nel passato, quello del periodo peggiore nei rapporti fra mondo arabo e Italia.
Ieri sera alla Farnesina un brivido è corso lungo la schiena di molti diplomatici, quelli che in questi anni hanno lavorato a ricucire i rapporti col mondo islamico, guidati da un ministro degli Esteri (D´Alema) che anzi è stato accusato di simpatie eccessive anche per i movimenti islamici più imbarazzanti, Hamas e Hezbollah. A cavallo fra due governi, il ministero degli Esteri per il momento approfitta della pausa week-end, illudendosi che l´attacco di Saif El Islam, sicuramente teleguidato dal padre colonnello, possa essere contenuto nelle prossime 48 ore. «Il vero problema è che noi crediamo che la scelta libica sia una delle tipiche mosse di Gheddafi per mettere in difficoltà un partner con cui negozia su più tavoli», dice un diplomatico italiano: «In questo modo Gheddafi costringe il governo Berlusconi sulla difensiva prima ancora che il governo sia nato». E per mille motivi Berlusconi sarà costretto a reagire con grandissima cautela: una ragione per tutte è il fatto che il 30 per cento del petrolio consumato in Italia arriva direttamente dalla Libia, per non parlare del gas, nei nuovi gasdotti in costruzione e dei nuovi contratti in gestazione. «Ma da quest´episodio può venire una spinta anti-italiana in buona parte del mondo arabo», dice un altro diplomatico, «e questo sarebbe un problema ulteriore».
Roberto Calderoli si presentò in televisione il 15 febbraio del 2006, aprì la camicia e fece vedere una maglietta con stampate le vignette «blasfeme», Maometto con turbante a forma di bomba a mano. Erano i mesi delle vignette anti-islamiche pubblicate dai giornali danesi, il mondo arabo era in fiamme contro la piccola Danimarca. Dopo la comparsata di Calderoli, una folla il 17 febbraio attaccò il consolato italiano a Bengasi. Ci furono 11 morti, molti poliziotti rimasero feriti: in verità Bengasi da sempre è stata una città calda per il regime libico, le tribù e le cabile di Bengasi da sempre sono in rotta di collisione con Tripoli e le tribù della regione della capitale.
Le vignette furono un pretesto per qualcosa che era innanzitutto contro il colonnello. Gheddafi, costretto a reprimere nel sangue l´assalto al consolato italiano, non poté fare a meno di rilanciare attaccando il governo Berlusconi, chiedendo riservatamente e pubblicamente un segnale forte, le dimissioni di Roberto Calderoli. Che arrivarono, anche perché la Libia oltre a negare petrolio e commerci all´Italia è anche in grado di fare un´altra cosa, aprire il rubinetto dell´immigrazione clandestina che dall´Africa sub-sahariana attraversa il deserto, si imbarca proprio sulle coste libiche e finisce per sbarcare a Lampedusa.
A Roma molte ambasciate arabe sono in attesa, pronte a cogliere ogni minimo segnale di antipatia che dalla Lega dilaghi verso le altre componenti della maggioranza e del governo. Tutti gli ambasciatori hanno ripescato dai cassetti le parole di Silvio Berlusconi, il 25 settembre del 2001 a Berlino. Berlusconi durante una conferenza stampa, al termine di un ragionamento condotto con apparente equilibrio, disse che «noi occidentali dobbiamo essere consapevoli della superiorità della nostra civiltà, che costituisce un sistema di valori e di principi che ha dato luogo al benessere e che garantisce il rispetto dei diritti umani e religiosi. Cosa che non c´è nei paesi islamici». Poi aggiunse che certo «l´Occidente continuerà a conquistare popoli, l´ha già fatto con il mondo comunista e l´ha fatto con i paesi arabi moderati». E comunque «non dobbiamo mettere le due civiltà sullo stesso piano: la libertà non è patrimonio della civiltà islamica». La Lega sottoscriverebbe ancora oggi, parola per parola. Il mondo arabo è pronto invece a nuove accuse e nuove proteste, e il caso Calderoli potrebbe essere solo un pretesto.