Renato Franco, Corriere della Sera 3/5/2008, 3 maggio 2008
MILANO – E’
stato per mesi un set blindatissimo. E Matteo Garrone, regista di Gomorra, dal best seller di Saviano di oltre un milione di copie, ha voluto per due anni diventare invisibile. Si materializzerà a Cannes dove è stato invitato per primo in concorso e già si dice che sarà il candidato italiano ai prossimi Oscar. Sui ciak c’era un titolo falso ( Tre storie brevi) per evitare curiosità: e comunque la scena dell’ esecuzione di una donna è subito finita su YouTube, ripresa col telefonino.
«Era il segreto di Pulcinella, ma non c’è stato nulla di ostile, anzi molta collaborazione dalla gente. Sono passato illeso nel campo di battaglia», dice l’autore; che finalmente svela i segreti del film sulla camorra prodotto da Domenico Procacci, nelle sale dal 16 maggio distribuito da 01 Rai.
«Il primo lavoro, anche doloroso, di scelta – spiega Garrone – è stato per sottrazione: selezionare dalle molte storie e dai molti personaggi che con grande libertà espressiva lo scrittore ha messo nel suo libro-affresco. Sembrava un limite, invece si è rivelato un vantaggio. Si potevano girare 10 film, come il Decalogo, per onorare tutti i temi. Magari qualcuno lo farà, so che gli americani sono molto interessati. Io ho visto la storia dalla base, dal microcosmo del territorio, ora loro potrebbero vederla nel respiro di business internazionale».
Garrone ha battuto tutti sul tempo, grazie a Procacci che ha comprato i diritti sulle bozze in tempi non sospetti. «Ci lavoro da due anni con gli sceneggiatori – Chiti, Gaudioso, Braucci – e con Saviano stesso, che ora, visto il film, mi pare soddisfatto». Sono 5 episodi con protagonisti e comprimari che si intrecciano e assumono nuovo rilievo drammatico: «Li abbiamo fatti vivere, rispettando anima e atmosfera, in un film corale, come per l’America di Altman, l’Italia del Rossellini di
Paisà, rendendoci complementari al libro. E’ come se lo raddoppiassimo, ogni luogo ha una sua storia e i personaggi assumono una forza inedita».
Girato nel Napoletano, da Secondigliano a Scampìa, a Caserta, il film affronta temi attualissimi ma non nuovi al cinema di impegno: «Penso a Rosi, ovviamente, ma anche a Scorsese. Racconto lo spaccio di droga all’aperto più grande del mondo e le dinamiche dei clan in guerra dopo un armistizio di anni. Ho girato molte scene violente, strazianti, ma quella che mi ha più commosso riguarda due ragazzini, amici da sempre ma costretti a separarsi perché affiliati a due cosche diverse. Massimo comun divisore del film è proprio questo, un’umanità condizionata da un sistema, dall’ingranaggio che ti schiaccia e di fronte a cui non puoi ribellarti».
Vite violente, vite vendute, vite difficili. «Ma non pensate a un film di denuncia tradizionale con la classica divisione tra bene e male, tra buoni e cattivi, perché in realtà le cose sono più complicate e i confini più confusi. Mi interessa l’aspetto umano di queste persone, le loro contraddizioni: oggi i boss della camorra sono belli, curati e l’estetica del corpo, la cura della pelle abbronzata sono in netto contrasto con la ferocia con cui diventano killer. Non a caso la scena più atroce è quella della strage al solarium, che oggi ha sostituito il barbiere». Storie che toccano argomenti di tutti i giorni: «Servillo è lo stakeholder che traffica per lo smaltimento dei rifiuti tossici . Ma noi lo vediamo anche in gondola, mentre va a incontrare gli imprenditori del Nord Est».
Altri tipi: il ragioniere della camorra che si sente in pericolo, non più protetto, sniffa odore di morte e non sa ora a chi portare i soldi; un ragazzino che subisce il fascino del clan e si arruola nello smercio di droga. «E poi la storia, girata nel Vesuviano, di Pasquale il sarto e del rapporto con la mano d’opera in nero, coi cinesi. Infine due personaggi più donchisciotteschi, che vivono in diretto rapporto con l’immaginario del cinema, parlano come Pacino-Scarface ma si trovano poi a fare i conti con la realtà». E le donne? «Una, che si trova in dissidio con marito e padre da un lato e figlio dall’altra. Accanto a Servillo, a Imparato, a Cantalupo, c’è Maria Nazionale, la cantante che a Napoli è una star, fa fermare il traffico».
Il suo sguardo qual è? «Ho cercato di mantenerlo neutro, invisibile, sono uno che non può e non vuole dar giudizi. Un modo di girare sobrio, da reportage, senza alcuna prodezza tecnica né compiacimenti, senza nulla che non appartenga al film da vicino, neppure un commento musicale. Ma dentro ribolle delle emozioni che sono state mie, giorno dopo giorno».
Vecchio realismo da western tribale? «Vediamo cose mai viste. Era il modo per far vivere un libro che ovunque, in 33 edizioni, ha colpito per la sua crudezza. Ma attenzione: ero sempre io a creare questa realtà-fiction».
Diverso dal cinema delle sfide e delle mani sulla città? «Oggi c’è la dimensione fashion...». Ma Garrone è convinto che la storia di Gomorra non finisca qui: il libro è andato in tutto il mondo «perché la tematica ha questa dimensione e sono sicuro che sorprenderà. Può piacere o meno, ma di sicuro stupisce». Si prende coscienza col film? «Discorso complesso, è la realtà che fa impressione». Quindi va a Cannes contento? «Sereno. Ho lavorato con onestà, è un film che può dividere e credo sia utile. Vado a Cannes con molti dei miei attori, è stata una bella esperienza per tutti».
Maurizio Porro