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 2008  maggio 03 Sabato calendario

Non è vero che i russi tradizionalmente preferiscano l’interlocutore tedesco a quello polacco. Al di là della breve e inconcludente parentesi della seconda metà degli anni ’20, che vide regnare fra Repubblica di Weimar e l’Urss lo «spirito di Rapallo», non ci sono state molte altre occasioni in cui la classe dirigente sovietica ha preferito i tedeschi ai polacchi

Non è vero che i russi tradizionalmente preferiscano l’interlocutore tedesco a quello polacco. Al di là della breve e inconcludente parentesi della seconda metà degli anni ’20, che vide regnare fra Repubblica di Weimar e l’Urss lo «spirito di Rapallo», non ci sono state molte altre occasioni in cui la classe dirigente sovietica ha preferito i tedeschi ai polacchi. Tale spirito, infatti, si espletò nei durissimi anni del primo dopoguerra, quando Germania e Russia erano le potenze più deboli e isolate e bisognose l’una dell’altra. Per il resto, i rapporti fra i due Paesi nella prima metà del Novecento sono stati caratterizzati da inimicizia e diffidenza, oltre che da un certo mutuo rispetto fondato sulla paura, soprattutto da parte russa. Tanto per fare un esempio, agli albori della Guerra Fredda, uno Stalin certamente non ansioso di rispettare i diritti dei popoli slavi sotto il suo dominio, acconsentì a diverse concessioni territoriali alla Polonia pur di non dare un pretesto agli occidentali per avviare il riarmo della Germania occidentale, ai suoi occhi ancora capace di rinascere e di costituire una minaccia assai più pericolosa di un Paese satellite cui Nato e Stati Uniti in particolare, non sembravano troppo interessati. Giulio Prosperi giulio.prosperi@email.it Caro Prosperi, S i racconta che in un salotto di Pietroburgo, durante una conversazione sulla dinastia dei Romanov, il poeta Aleksandr Pushkin ordinò una bottiglia di vino e sei bicchieri. Riempì di vino il primo bicchiere e disse ai suoi amici che quello era il sangue russo di Pietro il Grande. Riempì di vino la metà del secondo bicchiere, aggiunse mezzo bicchiere d’acqua e disse che quello era il sangue di Anna, figlia di Pietro e della donna baltica, Caterina Skavronsky, che l’imperatore aveva sposato in seconde nozze. Riempì di vino un quarto del terzo bicchiere, aggiunse tre quarti d’acqua e disse che quello era il sangue di Pietro III, figlio di Anna e di Carlo Federico, duca di Holstein-Gottorp. Riempì di vino un ottavo del quarto bicchiere, aggiunse l’acqua e disse che quello era il sangue di Paolo I, figlio di Pietro III e di Caterina, principessa di Anhalt-Zerbst. Quando arrivò al sesto bicchiere (il sangue del futuro Alessandro III), il vino rappresentava un trentaduesimo del contenuto. Ottant’anni dopo, nel 1915, l’ambasciatore di Francia Maurice Paléologue proseguì l’esperimento di Pushkin e annotò nei suoi diari che il sangue russo dello zarevic Alessio, figlio di Nicola II, era la duecentocinquantaseiesima parte del bicchiere. Incidentalmente, tutti i coniugi degli eredi al trono di Russia furono, con una sola eccezione (Maria, principessa di Danimarca, moglie di Alessandro II), principesse e principi tedeschi. Questa consanguineità non fu casuale. Per più di due secoli la Germania fu il Paese modello a cui tutti i riformatori russi ispirarono le loro idee e le loro politiche. Dalla Germania i russi importarono l’organizzazione della pubblica amministrazione, dell’istruzione universitaria, della ricerca scientifica, delle forze armate e degli studi musicali. L’industrializzazione del Paese, negli ultimi decenni dell’Ottocento, avvenne con industriali, tecnici e, spesso, capitali tedeschi. I padrini e i numi tutelari di quasi tutti i grandi movimenti rivoluzionari e sociali russi furono tedeschi, da Karl Marx a Friedrich Engels, da Eduard Bernstein a Rosa Luxemburg. La prima lingua di lavoro della Terza Internazionale fu il tedesco. La collaborazione russo-tedesca del primo dopoguerra, dopo il Trattato di Rapallo, fu la naturale continuazione dei fitti rapporti economici che i due Paesi avevano intrecciato sino alla vigilia del conflitto. Il Primo piano quinquennale, lanciato da Stalin nel 1929, non avrebbe prodotto straordinari risultati se non avesse avuto il contributo determinante dell’industria tedesca. Esistono periodi nei quali i due Paesi si combattono ferocemente. Ma non appena depongono le armi, Russia e Germania si rimettono a lavorare insieme con grande naturalezza. Così accadde dopo la Grande guerra, dopo il patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto 1939, dopo la visita del cancelliere Adenauer a Mosca nel 1955. Chiunque sia l’inquilino del Cremlino, la Germania è quasi sempre il maggiore partner economico della Russia. L’amicizia fra il cancelliere Schröder e il presidente Putin e il grande gasdotto del Mare del Nord dimostrano che i due Paesi, quando non cercano di distruggersi a vicenda, sono fatti per intendersi. Sergio Romano