La Stampa 3/5/2008, 3 maggio 2008
OSVALDO GUERRIERI
INVIATO A SIRACUSA
Il colpo d’occhio è impressionante. La cavea bianco-calce del Teatro Greco si prolunga in un altro bianco, quello circolare dell’orchestra, sul cui fondo la scena si offre con una monumentalità severa. una facciata sghemba, trafitta da finestre e aperture, con una scala praticabile che ne percorre tutta l’inclinazione. Nel suo stile tra il costruttivista e il piacentiniano, ricorda certi edifici dell’Eur a Roma, oppure il Palazzo delle Esposizioni a Milano. «Trenta metri di larghezza per 25 d’altezza», informa con ammirazione un tecnico. Accanto al palazzaccio, si eleva una torre intorno alla quale si attorciglia un’altra scala, ma elicoidale.
In questo luogo abbagliante di giorno e ghiacciato già dopo il tramonto, Pietro Carriglio prova per il festival dell’Istituto nazionale del Dramma antico l’Orestiade di Eschilo nella traduzione di Pier Paolo Pasolini. In questo spazio volutamente non eroico, pensato come una piazza urbana sfuggita ai vincoli del tempo, il regista-scenografo-costumista dirige un gruppo d’attori che farebbero la gioia di qualunque teatro: Galatea Ranzi, Elisabetta Pozzi, Luca Lazzareschi, Maurizio Donadoni, Giulio Brogi, Stefano Santospago e naturalmente molti altri, tutti di rango.
Dunque, dopo quasi cinquant’anni, cioè dopo la messinscena del 1960 firmata e interpretata da Vittorio Gassman, la trilogia che Pasolini ribattezzò Orestiade torna a Siracusa a partire da giovedì prossimo, con recite fino al 22 giugno. Sarà molto più di uno spettacolo. Sarà un grido civile, una rivolta morale della Sicilia che reclama giustizia e urla contro il crimine, contro il pizzo, contro la garrota di tutte le mafie. Non a caso, alla fine di ogni rappresentazione, al centro dell’orchestra arriverà una personalità del mondo civile o culturale per scandire il suo «basta!». Alla recita inaugurale interverrà il procuratore antimafia di Palermo, Piero Grasso. Leggerà un brano dal saggio Eschilo e Atene di George Thomson e al termine tutte le imbarcazioni del porto faranno urlare all’unisono le loro sirene. Se non bastasse, informa il sovrintendente Fernando Balestra, i commercianti che dichiareranno di non pagare il pizzo riceveranno una statua dell’Inda di grandi proporzioni, che collocheranno all’ingresso dei loro negozi. In questo modo formeranno una sorta di corsia virtuosa che porterà direttamente al teatro. la scommessa di quest’anno. la sfida civile che s’intreccia con la sfida artistica, costituita da una visione al femminile della trilogia di Oreste di cui fanno parte Agamennone, Coefore e Eumenidi. Spiega Carriglio: «Nel ”60, Gassman interpretava Agamennone e Oreste, cioè padre e figlio. Oggi accade la stessa cosa, ma al femminile. Galatea Ranzi darà il volto a Clitennestra e a Elettra, cioè a madre e figlia. Sarà lei, in effetti, la protagonista dell’opera, poiché in Eschilo è lei il motore della trilogia. Clitennestra è la forza della parola. Solo quando lei si estingue appare Atena».
Appare cioè Elisabetta Pozzi. L’attrice entra in scena soltanto nelle Eumenidi. La vediamo scendere dalle vertiginose scale mentre pronuncia il suo memorabile editto: «Cittadini di Atene, ascoltate ciò che ho deciso, voi che per primi al mondo giudicate un delitto. Da ora in poi, per sempre, questo popolo avrà diritto a questa sua assemblea». la nascita del primo tribunale della storia. La comunità arcaica si trasforma in società civile. Dalla vendetta privata si passa alla giustizia. Commentava Pasolini: «Nessuna vicenda, nessuna morte, nessuna angoscia delle tragedie dà una commozione più profonda e assoluta di questa pagina». Commenta Carriglio: «Quando dalla società civile siciliana viene espressa con forza la necessità di lasciarsi alle spalle l’immagine di una terra connivente con la mafia, di una Sicilia che paga il pizzo, si sente forte il bisogno di costruire un percorso comune verso la legalità».
Ecco, la tensione è questa. Al suono dei sassofoni che eseguono a vista le musiche di Matteo d’Amico, Carriglio e i suoi attori si accaniscono su battute e movimenti, evitando i classicismi, l’eloquenza, le tentazioni neoclassiche. Non indossano ancora i costumi. Lo faranno soltanto negli ultimi giorni. Per ora sono necessari cappotti e ancora cappotti, cuffie di lana, giri di sciarpe intorno al collo. Lavorare a Siracusa, per loro, è come valicare le Alpi.
PASOLINI
Come tradurre? Io possedevo già un «italiano»: ed era naturalmente quello delle Ceneri di Gramsci (con qualche punta espressiva soravvissuta da L’usignolo della chiesa cattolica); sapevo (per istinto) che avrei potuto farne uso. Naturalmente la timidezza di fronte a un grande testo non è poca: una timidezza che si presenta sotto l’aspetto linguistico dell’inibizione da tradurre /. La tendenza linguistica generale è stata a modificare continuamente i toni sublimi in toni civili: una disperata correzione di ogni tentazione classicista. Da ciò un avvicinamento alla prosa, all’allocuzione bassa, ragionante. Il greco di Eschilo non mi pare una lingua né eletta né espressiva: è estremamente strumentale. Talvolta fino a una magrezza elementare e rigida: a una sintassi priva degli aloni e degli echi che il classicismo romantico ci ha abituati a percepire, quale continua allusività del testo classico a una classicità paradigmatica, storicamente astratta.
In realtà la lingua di Eschilo, come ogni lingua, è allusiva, sì: ma la sua allusività è verso un ragionamento tutt’altro che mitico e per definizione poetico, è verso un conglobamento di idee molto concreto e storicamente verificabile. Il significato delle tragedie di Oreste è solo, esclusivamente, politico. Clitennestra, Agamennone, Egisto, Oreste, Apollo, Atena, oltre che essere figure umanamente piene, contraddittorie, ricche, potentemente indefinite / sono soprattutto - nel senso che così stanno soprattutto a cuore all’autore - dei simboli: o degli strumenti per esprimere scenicamente delle idee, dei concetti, insomma, in una parola, per esprimere quella che oggi chiamiamo una ideologia.
Dalla Nota a «L’Orestiade», Einaudi