La Stampa 3/5/2008, 3 maggio 2008
ANNA SANDRI
VERONA
Le macchine del reparto rianimazione dell’ospedale Borgo Trento di Verona tengono in vita - sempre più necessarie, ogni minuto più inutili - Nicola Tommasoli. I suoi parametri vitali sono irrimediabilmente compromessi, i suoi 29 anni vicini alla fine: la sua colpa, aver detto «no» alla richiesta di una sigaretta avanzata da cinque coetanei incrociati dopo la mezzanotte nel pieno centro di Verona, in via Leoni. Forti dell’alcol e del branco, dicono i carabinieri, i cinque non cercavano una sigaretta ma solo un pretesto per menare le mani. Lo hanno trovato incrociando tre amici che, come loro, tornavano dalla festa del Primo Maggio, più lucidi e sicuramente tranquilli. La richiesta, un pretesto; la risposta, una miccia.
I cinque, tutti italiani, forse solo di qualche anno più giovani di Nicola e dei suoi compagni, si sono accaniti sui tre. Calci, pugni. Nicola è caduto a terra, e questo gli è stato fatale: perché i calci che avevano già colpito all’addome e alle gambe fino a far crollare lui e a mettere fuori gioco gli amici, hanno raggiunto la testa. Una, due, cinque volte. Quando il ragazzo ha smesso anche di dimenarsi e urlare di dolore, raccontano disperati i testimoni, i cinque hanno recuperato qualcosa di simile alla lucidità; hanno capito che cercando una scazzottata avevano scatenato una tragedia, e sono fuggiti.
Inseguirli è stato impossibile: i due amici di Nicola non erano feriti ma erano comunque malconci, l’urgenza in quel momento era chiamare soccorsi. Intorno non c’era nessuno che potesse dargli una mano.
E così la città che ha fatto della sicurezza un’ossessione si è risvegliata nel dramma: le condizioni di Tommasoli sono apparse subito più che gravi, disperate. Da ieri notte i genitori non hanno mai lasciato il corridoio davanti alla Rianimazione; accanto a loro ci sono i due amici del figlio e i loro genitori. Le tre famiglie sono legate da anni da una grande amicizia. Della vittima, disegnatore tecnico, residente a Negrar a pochi chilometri dal centro dove invece abitano gli amici, dicono che è un ragazzo tranquillo; passatempi sani, il lavoro, la famiglia. Mai una sera da ubriaco, mai una rissa in tutta la vita. Uno che non avrebbe dato un pugno nemmeno se lo avessero provocato. Dall’aggressione non ha saputo difendersi.
I carabinieri del Comando provinciale di Verona indagano; hanno in mano le testimonianze dei due amici di Nicola, sanno che gli aggressori sono italiani, intorno ai 25 anni di età; dal modo di parlare, di vestire, dal codice non scritto attraverso il quale i ragazzi si riconoscono tra loro, vengono descritti come «normali». Al pari di quelli, molto più giovani, che lo scorso inverno avevano messo in piedi, proprio a Verona, una baby gang che terrorizzava gli adolescenti rapinandoli di giubbotti e cellulari in pieno centro, anche su quella stessa strada dove Nicola è andato incontro alla fine.
Le indagini sembrano difficili: quei cinque ragazzi, per la descrizione, potrebbero essere chiunque in una città ricca, attenta all’esteriorità, che nelle ronde notturne non cerca facce come le loro per accertarsi che tutto vada bene.
Si sono resi conto che stavano facendo di tutto per commettere un omicidio? Perché questo è il timore: che Nicola non possa tornare indietro dallo stato di coma in cui è precipitato. Non è irreversibile, dicono i medici; ma per la loro esperienza sanno che quando il cervello è tanto offeso la strada va in una sola direzione.
Nella tarda serata di ieri circolava con insistenza la voce che ai genitori fosse già stata chiesta l’autorizzazione all’espianto degli organi, ma non ha trovato conferma tra i responsabili dell’indagine.
Un vago identikit, le voci che potrebbero essere riconosciute, dettagli dell’abbigliamento: questo è tutto quanto hanno in mano i carabinieri, che con gli stessi fragili elementi erano riusciti però, nei mesi scorsi, a inchiodare uno per uno i piccoli rapinatori della baby gang. Lo stesso metodo investigativo potrà dare risultati anche in questo caso?
Il sindaco Flavio Tosi ha appena chiesto rinforzi di polizia e carabinieri per rendere ancora più sicura la città; ma sembra consapevole lui stesso che se dietro l’angolo incroci la follia, non esiste ronda legale o improvvisata che ti possa aiutare.
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GIUSEPPE SALVAGGIULO
E ora che un ragazzo viene pestato a morte in pieno centro nella sua città, e non da un rom ma da cinque connazionali, che dice Flavio Tosi, sindaco leghista di Verona dal pugno duro?
«Dico che è gravissimo, inaudito: un rissa per futili motivi, una sigaretta...».
Eppure capita. E non nella Roma del buonismo veltronian-rutelliano, ma nella Verona leghista della tolleranza zero.
«Un momento, distinguiamo. Roma pullula di campi nomadi, qui non ce n’è nemmeno uno: appena arriva una segnalazione, interveniamo. Questo è un episodio anomalo, accaduto in pieno centro e per opera di ragazzi italiani. Succede una volta su un milione, a prescindere dal controllo del territorio, non fa storia».
E che cosa fa storia?
«La criminalità: gli scippi, i furti in casa, le rapine. Ormai in Italia chiunque si sente in grado di fare ciò che vuole perché la possibilità di finire in galera è nulla. Tra sconti di pena, benefici di legge, misure alternative, si sa che le maglie della legge sono larghissime. La sensazione di impunità è totale».
Ora al governo ci andate voi.
«Ecco, paradossalmente bisogna prendere esempio dalla Romania».
Dalla Romania? Ho capito bene?
«Paradossalmente, dico... Anche se lì c’è poco da rubare, perché non hanno grandi ricchezze, hanno leggi penali severissime. Molto più di noi».
Proviamo a prendere esempio.
«La magistratura deve usare tutte le armi che ha, concedendo i benefici penali solo in casi eccezionali. Poi bisogna intervenire in Parlamento, abolendo tutte le leggi che li prevedono in modo indiscriminato. Per certi reati, vanno proprio esclusi».
Pensa a qualche legge in particolare?
«La Simeoni-Saraceni (sull’affidamento ai servizi sociali in alternativa al carcere, ndr) è la prima da abolire».
La legge ex Cirielli che riduce i tempi della prescrizione, quella votata dal centrodestra?
«Beh, se proprio dobbiamo trovare un aspetto positivo in quella legge, è l’aumento delle pene per i recidivi. Ma se proprio dobbiamo trovarne uno, eh...».
E la parte sulla prescrizione ridotta?
«Se non riduci anche i tempi dei processi, l’unico effetto è di far uscire i delinquenti».
Ha appena lanciato gli «assistenti civici» per controllare la città. Di che si tratta?
«Le chiamano ronde, ma non è corretto. Sono volontari disarmati sotto l’egida del Comune. Saranno in strada soprattutto di sera. Se c’è un problema, con un cellulare chiameranno la forza pubblica. Abbiamo stanziato 50 mila euro, partiranno dopo l’estate».
Avrebbero potuto evitare l’episodio dell’altra notte?
«Non penso, saranno per lo più in periferia. E poi, come detto, quell’episodio non fa testo. il sintomo di una società degenerata e del clima di impunità».
Per i sindaci chiederà al governo più poteri?
«Certo, le ordinanze non bastano e le multe non servono a niente, gli sbandati le ignorano. Il capo della polizia locale deve diventare come lo sceriffo in America: se ferma un ubriaco o comunque uno molesto, lo mette un giorno in galera».
In galera, così?
«Io non dico dieci anni in galera, l’importante è che ci vadano».