Vittorio Sabbadin, La Stampa 3/5/2008, 3 maggio 2008
VITTORIO SABADIN
CORRISPONDENTE DA LONDRA
L’ultima volta che i laburisti sono andati così male in un’elezione in Inghilterra, il capo del partito era Harold Wilson, i Beatles cantavano «All you need is love» e i figli dei fiori affollavano l’isola di Wight. Gordon Brown era un teenager e il leader conservatore David Cameron, che lo ha sconfitto, aveva un anno. Nessuno si aspettava che nelle elezioni locali che hanno riguardato 159 «councils» in Inghilterra e nel Galles i laburisti sarebbero andati bene, ma certo era difficile pensare che la batosta sarebbe stata di queste dimensioni e avrebbe superato il punto più basso, raggiunto quarant’anni fa dal partito.
I Laburisti hanno perso 331 seggi e 9 governi locali, precipitando, se si fosse votato per il governo nazionale, al terzo posto con un misero 24 per cento, dietro i Liberal democratici (25 per cento). I Conservatori hanno guadagnato 256 seggi e 12 «councils», ottenendo una vittoria dal fortissimo valore simbolico nella città di Londra, dove il loro candidato Boris Johnson - pur descritto come inaffidabile e clownesco - ha sconfitto il sindaco uscente Ken Livingstone. Secondo gli analisti, una perdita di 200 seggi sarebbe stata brutta per Brown, una di 300 è drammatica.
Quello inviato dagli elettori inglesi non è il solito segnale minaccioso che si manda nelle elezioni locali al governo in carica. Il disagio della gente è reale e, com’è avvenuto in altri Paesi (Italia in testa), non è stato capito dalla sinistra al governo. I temi sensibili sono gli stessi dovunque: l’immigrazione incontrollata «che aumenta la delinquenza e toglie posti di lavoro», la criminalità urbana crescente, il degrado delle strade sporche e dei trasporti dovuto ai tagli di bilancio, la crisi economica globale, l’esasperazione delle famiglie per la crescita dei costi del cibo e dell’energia, mentre compagnie petrolifere come Shell o BP realizzano profitti di 3 milioni di sterline (4,3 milioni di euro) all’ora. Il tutto mentre al governo c’è un tale Gordon Brown che nessuno ha votato e che è stato incoronato da Tony Blair, come se la carica di primo ministro fosse una questione dinastica. La decisione presa poco tempo fa di abolire l’aliquota del 10 per cento per i redditi più bassi, e revocata all’ultimo momento, non ha contribuito alla sua popolarità.
Brown ha ammesso di avere passato «una brutta e deludente nottata». «Ma - ha aggiunto - ho imparato la lezione. Il mio compito è ascoltare e guidare e lo farò. La situazione economica non ha aiutato il Labour, ma gli inglesi devono essere sicuri che il governo li guiderà in queste difficili circostanze. Il valore di una leadership non si misura nei momenti di successo, ma nelle circostanze più difficili».
David Cameron, il quarantunenne leader dei Conservatori, ha mostrato la moderazione per la quale è famoso anche nel celebrare la vittoria: «Il voto non è solo contro Gordon Brown, ma è anche un voto di fiducia per noi. La gente vede un partito cambiato in meglio, unito, con un forte gruppo di leader. Sempre più persone ci osservano e hanno fiducia in noi per la soluzione dei problemi che li preoccupano di più: migliorare le scuole e gli ospedali, combattere la criminalità nelle strade».
Il premier si sforzerà ora di lanciare messaggi positivi. Nei suoi commenti al voto ha più volte ripetuto che sono necessari interventi a sostegno delle famiglie. Ma difficilmente riuscirà a convincere il proprio partito di essere ancora l’uomo giusto per le elezioni nazionali del 2010. David Miliband, il suo giovane e brillante ministro degli Esteri, è stato il primo ieri a dargli pieno appoggio, e sarà probabilmente anche il primo dal quale Brown dovrà presto guardarsi.
vittorio.sabadin@lastampa.it
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C’è anche un elemento generazionale dietro la clamorosa vittoria dei conservatori nelle elezioni locali inglesi? Probabilmente sì. In Italia, come in Francia, come in Spagna, come a Londra, l’età dei candidati sembra orami contare più dei loro programmi politici. La saggezza e l’esperienza della maturità non sono più considerate un valore: gli anziani - sembra pensare la gente - sono quelli che ci hanno portato a questa situazione disastrosa, i giovani sono quelli che finalmente ci tireranno fuori dai guai.
Bastava accendere ieri la televisione e guardare i notiziari della Bbc o di Sky per rendersi conto della differenza esistente tra gli esponenti del governo di Gordon Brown e i leader dei partiti che lo hanno sconfitto: un premier (nato nel 1951) sempre più imbarazzato, triste e rugoso, messo in difficoltà da una nuova generazione di quarantenni, come il capo dei Conservatori David Cameron (1966) o quello dei liberal democratici Nick Clegg (1967), o come Boris Johnson (1964), tutti accomunati da eccellenti studi, ottime famiglie di provenienza, un po’ di marijuana e cocaina nascosta tra i libri all’università e altre scappatelle giovanili, mai abbastanza gravi da rovinare una carriera.
La forza di questa nuova generazione non sta tanto nelle convinzioni personali e nella visione politica, ma nella capacità di sembrare gente normale, con tutti i pregi e i difetti del cittadino comune. Gli elettori probabilmente ricordavano poco dei programmi liberal democratici di Clegg, ma la sua intervista di qualche settimana fa al magazine «GQ» la ricordano ancora tutti: Nicholas aveva ammesso di avere dormito con almeno trenta donne, scatenando più reazioni, commenti ed editoriali che se avesse annunciato di voler abolire per sempre le tasse. Le donne lo hanno ovviamente accusato di trattarle come oggetti, gli uomini di avere esagerato, ma il sentimento prevalente è risultato alla fine l’invidia.
Il leader quarantunenne dei conservatori, David Cameron, rischiò l’espulsione da Eton per avere fumato marijuana poco prima di un esame. Ammise la colpa e fu graziato, ma dovette sottoporsi al «Georgic», una punizione che consiste nel riscrivere un testo latino di 500 righe. Diretto discendente di re Guglielmo IV e di una cortigiana, Cameron è dunque cugino di quinto grado della regina Elisabetta, nel cui nome esercita il ruolo di capo dell’opposizione. A Oxford, dove si è laureato in filosofia, politica ed economia, risultando uno dei migliori studenti del suo corso, faceva parte dell’allegra brigata del Bullingdon Club, un esclusivo circolo-ristorante nel quale si può essere solo invitati e che ha costruito la propria reputazione su memorabili bevute, cibo straordinario e conti salatissimi. I soci del Bullington sono famosi per andare in pub e ristoranti di second’ordine, noleggiare una stanza privata e sfasciare tutto. Esisteva una foto di Cameron al Bullington in compagnia di Boris Johnson (anche lui affiliato e dichiarato consumatore di droga), entrambi in tight, ma è stata ritirata dalla circolazione.
Dopo gli eccessi giovanili, Cameron è diventato il prototipo del ragazzo perbene, moderato, sempre a posto e responsabile. Visti i risultati del voto, non si è messo a urlare in tutti i telegiornali che Brown deve andarsene, ma ha detto: «Voglio che i conservatori diano dimostrazione che possono realizzare i cambiamenti che la gente chiede. E’ a questo obiettivo che dedicherò nelle prossime settimane le mie forze e quelle del mio partito».
L’altra stella dei Tories è George Oliver Osborne, nato nel 1971 e attuale ministro ombra delle Finanze. Discendente da un’ottima famiglia, è il primogenito del baronetto Sir Peter. I genitori gli imposero il nome di Gideon, che cambiò a 13 anni per un più comodo George. Anche lui, a Oxford, è stato membro del Bullingdon Club (che sembra essere, tra una bevuta e l’altra, la vera fucina dei conservatori) e, ovviamente, anche lui è stato coinvolto in una storia di droga - smentita con forza - dopo che il «Sunday Mirror» ha pubblicato una foto nella quale lo si vede seduto di fronte a una striscia di polvere bianca.
Di fronte a Cameron e Osborne, sembra un vecchietto William Jefferson Hague, nato nel 1961 ma diventato leader del partito nel 1997 a 36 anni, sconfiggendo gli anziani Kenneth Clarke e Michael Howard. Meno sottile e moderato dei suoi giovani colleghi, è diventato famoso per un discorso - che Umberto Bossi e il sindaco di Roma Alemanno sottoscriverebbero - nel quale ha definito l’Inghilterra «una terra straniera».
Di fronte a questo battaglione giovane e motivato, Brown non ha molte forze fresche da schierare in campo. L’unico è il ministro degli Esteri David Miliband, nato nel 1965, molto apprezzato dovunque, figlio di un teorico marxista e primo membro di un governo britannico ad aprire un blog su Internet. Miliband è il principale candidato a sostituire Gordon Brown nella guida del partito laburista e dovrà forse essere lui a creare la squadra che dovrà preparare la rivincita. E nel nuovo team, c’è da scommetterci, non ci saranno più capelli bianchi.