Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2008  maggio 03 Sabato calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 5 MAGGIO 2008. 16

milioni di affamati in più nel mondo. Sarebbe questo, secondo il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, il costo di ogni aumento dell’1% sul ”costo del cibo”. Se le cose stessero veramente così, saremmo alla vigilia di una strage di proporzioni storiche. [1] Maurizio Ricci: «Il prezzo del grano è triplicato nell’ultimo anno e mezzo e riso e granturco ci sono vicini. A livello mondiale, ci vuole ormai quasi il doppio dei soldi di un anno e mezzo fa per mangiare la stessa quantità di cibo». [2] «Senza interventi di emergenza rischiamo che la fame e le proteste sociali si diffondano su una scala senza precedenti», ha detto la settimana scorsa Ban Ki Moon, segretario generale delle Nazioni Unite, al termine di un summit di 27 organismi tra cui la Fao, la Banca mondiale, il Fondo monetario, il Wto e il Pam (Programma alimentare mondiale). [3]

In Egitto 12 mila persone sono state arrestate perché vendevano farina al mercato nero. Massimo Gaggi: «Nelle Filippine, in preda a una crisi alimentare gravissima, il governo minaccia di condannare all’ergastolo chi si accaparra il riso per rivenderlo, poi, a prezzi maggiorati. Ovunque – dall’Africa al Pakistan, dalla Thailandia al Messico - i cereali, nuovo oro dei campi, vengono protetti come un bene prezioso: nell’imminenza del raccolto, i terreni sono sorvegliati da guardie armate». [4] Il rincaro dei generi alimentari è dovuto a un recente, favoloso trionfo dell’umanità. Moises Naim: «Mai prima d’ora tanta gente ha potuto permettersi di mangiare tre volte al giorno. Il Brasile, il Vietnam, la Turchia, la Cina e l’India sono solo alcuni dei Paesi dove milioni di persone hanno oggi la possibilità di nutrirsi meglio, quantitativamente e qualitativamente». [5]

Stiamo vivendo un periodo unico nella storia, in cui un miliardo di persone passa dalla povertà al benessere e vuole cambiare la propria alimentazione. Fred Seamon, vice-direttore del Chicago Mercantile Exchange: «In questa situazione di passaggio, tra il 2000 e il 2007 c’è stato un solo anno in cui nel mondo si è prodotto più frumento di quanto si sia consumato. Per due anni la domanda e l’offerta sono andate in pareggio. E per ben cinque anni abbiamo consumato più di quanto abbiamo prodotto, intaccando le scorte». [6] Paul Krugman: «Dobbiamo prima di ogni altra cosa tener conto dell’’avanzare” della massa di cinesi che consumano carne, ovvero del crescente numero di individui delle economie emergenti che per la prima volta sono abbastanza ricchi da potersi nutrire come gli occidentali». [7]

Nel 1965, ogni cinese mangiava in media - fra pollo, maiale e manzo - 9 chili di carne l’anno. Nel 2005 sfiorava i 56 chili l’anno, la metà di un americano. Maurizio Ricci: «Nel 2006, il mondo ha prodotto 276 milioni di tonnellate di carni, rosse o bianche. Secondo le previsioni della Fao, fra dieci anni, soprattutto per far fronte ai nuovi appetiti della classe media dei paesi emergenti, ce ne vorranno 70-80 milioni di tonnellate in più. Visto che, negli ultimi 50 anni, la produzione mondiale è quadruplicata, questa prospettiva non dovrebbe spaventare. E, invece, è impossibile liberarsene con una scrollata di spalle, perché i margini di aumento si sono drasticamente ridotti. qui che la crisi in incubazione della carne si incrocia nuovamente, dopo l’effetto-prezzi, con quella dei cereali. Perché ambedue competono per risorse ormai scarse: terra e acqua». [8]

Ci vogliono 9 chili di cereali per produrre un chilo di maiale. Ricci: «Per un chilo di manzo, occorrono 18 chili di cereali. Per dirla in un altro modo, considerato il foraggio, produrre un chilo di proteine animali comporta l’impiego di 8 volte l’estensione di terra necessaria per produrre un chilo di proteine vegetali. Ed è ancora peggio per l’acqua. Rispetto al 1950, la disponibilità di acqua è diminuita del 40 per cento nei paesi industrializzati e del 60-70 per cento in quelli in via di sviluppo. Ma destinarla all’allevamento significa sottrarne una quantità proporzionalmente enorme alla coltivazione di cereali. Ci vuole un metro cubo d’acqua per avere un chilo di riso. Per un chilo di manzo ce ne vogliono 12,6 metri cubi. In Cina, le proteine animali costituiscono solo il 16 per cento della dieta, ma produrle consuma la metà dell’acqua per uso agricolo». [8]

Tra le cause dell’aumento di prezzo dei cereali ci sono anche i biocombustibili. Pascal Acot, ricercatore presso il Centre National de la Recherche Scientifique: «Aver premuto sul tasto dei biocombustibili ha impresso un’accelerazione netta all’andamento dei prezzi dei cereali. Dal punto di vista ecologico è stata una scelta a dir poco discutibile. Forzare il ciclo del mais usando pesticidi, irrigazione e trattori significa spendere molta energia e molto petrolio, in alcuni casi più energia e più petrolio di quanto si riesca a ottenere in cambio attraverso il processo di conversione di questi prodotti all’uso energetico. Per non parlare poi dei risultati in termini di inquinamento...». [9] Il sociologo Jean Ziegler: « giusto promuovere l’uso dei biocarburanti, a condizione che siano prodotti con residui vegetali come i trucioli di legno o gli scarti della canna da zucchero utilizzati in Brasile. Ma il processo di lavorazione di questi materiali è molto complesso e costoso. Difficilmente, quindi, queste benzine alternative potranno diffondersi molto». [10]

A inizio gennaio il riso (sfama oltre 2,5 miliardi di persone nel mondo) veniva venduto sui mercati mondiali a 380 dollari la tonnellata. A fine marzo il prezzo era salito a 760 dollari. Ad inizio aprile ha sfondato quota mille. Federico Rampini: «Una febbre inflazionistica incontrollabile, che nessuno aveva visto arrivare». [11] Patrick Artus – capoeconomista del gruppo Natixis: «Negli ultimi mesi i fondi speculativi si sono tuffati in questo mare, approfittando delle forti variazioni dei prezzi causate dallo squilibrio tra domanda e offerta. Così, ”stupidamente”, come direbbe Trichet, hanno creato un’immensa bolla speculativa». [12]

Un tempo c’erano grandi aziende agricole, come la Ferruzzi, che avevano un forte controllo del mercato. Pat Arbor, principe degli agenti di Borsa di Chicago, dove si fanno i prezzi dei prodotti agricoli di tutto il mondo: «Oggi sono arrivati i fondi pensione che investono fino al 4-5 per cento del loro portafoglio in materie prime agricole, per non parlare di quelli di Dubai, di Singapore, di Hong Kong. E questa pioggia di miliardi di dollari sul mercato alimentare crea instabilità dei prezzi». Scott Irwin, economista della University of Illinois: «Negli ultimi sei mesi la causa più importante dell’aumento dei prezzi è l’arrivo di nuovi investitori che puntano sulle merci dell’agricoltura per garantire i propri capitali dal rischio inflazione». [6]

 anche questa una ”coda” perversa della crisi bancaria americana. Rampini: «Con il crollo di fiducia nel mercato del credito, la fuga dai titoli obbligazionari, la caduta del dollaro, le materie prime diventano il bene-rifugio per eccellenza su cui si riversano i capitali internazionali. Ma la speculazione stavolta è saltata su un treno già in corsa. Esaspera un fenomeno reale, non è lei la vera causa di questa crisi. Il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti ha lanciato l’allarme: ”Le riserve mondiali di riso sono cadute ai minimi storici da 25 anni”. Nell’era di Internet e dei telefonini queste notizie volano alla velocità della luce. Raggiungono le campagne più remote della Tailandia, primo produttore mondiale di riso. I contadini tailandesi hanno smesso di portare i raccolti al mercato, accumulano le scorte in attesa che le quotazioni salgano ancora, sempre più in alto». [11]

Diversi Paesi, per esempio Argentina, Egitto e Vietnam, hanno bloccato le loro esportazioni di cereali e riso per soddisfare la domanda interna. Vittorio Malagutti: «Queste decisioni finiscono per contribuire all’aumento dei prezzi perché diminuisce la disponibilità di materie prime agricole sui mercati internazionali». Ziegler: «Questi paesi hanno tutto il diritto di imporre queste misure per ridurre le conseguenze della crisi mondiale sui propri cittadini. Ricordiamoci che molto spesso è la fame a causare le rivoluzioni. A mio parere i blocchi all’export sono giustificati anche se causano un ulteriore aumento dei prezzi internazionali. Non tocca certo a questi paesi farsi carico del problema». [10]

Se avessimo un tempo normalmente buono, nei prossimi due anni il prezzo del grano potrebbe scendere un bel po’. Vic Lespinasse, esperto del Chicago Board of Trade: «La soia e il granturco resteranno dove sono per via dell’etanolo e del biodiesel. Ma se il tempo sarà brutto, saliranno ancora». Enrico Pedemonte: «Nel mondo non ci sono sufficienti riserve per affrontare le emergenze e, se qualcosa va storto, il gioco della tombola che ogni giorno si replica al Chicago Board of Trade farà ulteriormente schizzare gli indici e molta gente non avrà da mangiare». [6]

Alla fine si torna sempre alla necessità di aumentare la produzione. Gaggi: «Ma in giro per il mondo di terreni coltivabili ce ne sono rimasti ben pochi. Per questo il presidente della World Bank, Robert Zoellick, chiede ai Paesi più colpiti di avviare una nuova ”green revolution”, capace di incrementare in misura significativa le rese per ettaro coltivato. Musica per i sostenitori degli Ogm: fin qui il mondo si è diviso in due, con l’Europa fermamente contraria alla loro diffusione. Ma con la fame che si riaffaccia e l’industria chimica che prepara molecole di seconda generazione, capaci di far crescere i cereali anche in condizioni di siccità, tutto cambia». [4] Mario Capanna (presidente Fondazione diritti genetici): «L’Onu documenta come, con le attuali tecnologie (dunque senza Ogm), si può produrre cibo per sfamare 10 miliardi di persone, quasi il doppio delle attuali». [13]