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 2008  maggio 07 Mercoledì calendario

In difesa si vince L’espresso, 7 maggio 2008 La crisi finanziaria statunitense non colpisce tutti i settori dell’economia

In difesa si vince L’espresso, 7 maggio 2008 La crisi finanziaria statunitense non colpisce tutti i settori dell’economia. Anzi, ce ne sono alcuni che non potrebbero cavarsela meglio. Si prenda ad esempio la difesa, i cui titoli negli ultimi cinque anni hanno registrato un aumento medio del 150 per cento. Sarà pure vero, come sostengono il Nobel Joseph Stiglitz e l’esperta finanziaria della Harvard University Linda Blimes, che gli Stati Uniti in Iraq perderanno 3 mila miliardi di dollari, ma dall’avventura bellica mediorientale le aziende della difesa emergono indubbiamente vittoriose. Cai von Rumohr, analista del settore difesa della Cowen & Co., un fondo di investimento di Boston, ritiene che i titoli della difesa siano una scelta obbligata. Non solo perché offrono un facile rifugio contro le avversità del mercato, ma anche perché negli ultimi 27 anni hanno prodotto profitti che hanno regolarmente superato quelli dello S&P 500. Secondo il Center for Responsive Politics, un think tank di Washington, l’opinione di von Rumohr trova un certo consenso anche tra i congressisti Usa, visto che 151 di loro hanno investito quasi 200 milioni di dollari in aziende come la Raytheon, la Northrop Grumman e la Lockheed Martin. L’investimento gli ha reso 62 milioni di dollari in meno di due anni e, esprimendo il loro evidente compiacimento, i parlamentari statunitensi tra il 2004 e il 2006 hanno aumentato il loro coinvolgimento del 5 per cento. "Altro che S&P 500, negli ultimi otto anni abbiamo registrato una crescita gigantesca", afferma Scott Sacknoff manager dello Spade Defense Index, un indice che misura l’andamento del settore difesa, "e, dati gli impegni bellici del nostro Paese, questo trend rimarrà invariato fino alla fine del 2018". Il boom della difesa è sostenuto da stanziamenti governativi per le spese militari che solo nel 2008 hanno superato i 600 miliardi di dollari ed è di carattere generale. Non sono infatti solo le grandi aziende come Boeing, General Dynamics, Honeywell, e Bae Systems, che producono armi pesanti e sistemi bellici complessi, che se ne stanno avvantaggiando. Anche le compagnie più piccole come la Alliant Techsystems e la Harris Corporation si stanno arricchendo. La prima, che produce i proiettili usati dalle truppe americane, dal 2001 ha registrato tre frazionamenti del titolo, mentre la seconda, che produce le radio in dotazione alle unità americane in Iraq e Afghanistan, ha visto il suo titolo triplicare dall’inizio della guerra. Ma il caso più eclatante è probabilmente quello della L3. Fondata 11 anni fa da due soci, Frank Lanza e Robert LaPenza, con un finanziamento della Lehman Brothers - da qui L3 - è cresciuta del 350 per cento ed è diventata la sesta azienda del settore. Assorbendo inizialmente 11 piccole aziende messe in vendita dalla Lockheed, che era a sua volta impegnata nell’acquisizione della Martin Marietta, Lanza e LaPenza sono riusciti a creare in poco più di un decennio un’impresa che fattura 14,4 miliardi di dollari l’anno e le cui commesse spaziano dai sistemi di sorveglianza elettronica ai servizi di traduzione e di pronto soccorso per l’esercito. Della ricaduta bellica Usa si stanno avvantaggiando anche le aziende europee. soprattutto quelle che hanno cercato di americanizzarsi acquistando compagnie locali o aprendo stabilimenti negli Stati Uniti. "Parliamo della Bae Systems, della Finmeccanica e della Eads", spiega von Rumohr:"Forti della crescita dell’euro, acquisiscono aziende che si trovano in una situazione finanziaria difficile. E più si rafforza l’euro e più crescono le acquisizioni". Così aziende come la Cubic, che produce sistemi di addestramento, la AAI e la Aeroviroment, che producono droni per ricognizioni militari, potrebbero in breve finire nel portafoglio delle multinazionali di Eurolandia. Paolo Pontoniere