Repubblica 1 maggio 2008, TITO BOERI, 1 maggio 2008
La sinistra e il mestiere del sindacato. Repubblica 1 maggio 2008 Due anni fa il primo maggio veniva celebrato subito dopo la vittoria, seppur di misura, del centrosinistra alle elezioni politiche
La sinistra e il mestiere del sindacato. Repubblica 1 maggio 2008 Due anni fa il primo maggio veniva celebrato subito dopo la vittoria, seppur di misura, del centrosinistra alle elezioni politiche. Due ex sindacalisti, Franco Marini e Fausto Bertinotti, erano appena stati chiamati a ricoprire, rispettivamente, la seconda e la terza carica dello Stato. Oggi quel Primo Maggio sembra lontano anni luce. Il centrosinistra è reduce da una cocente sconfitta elettorale. Fausto Bertinotti non è stato neanche rieletto, mentre il sindacato attraversa una profonda crisi di consenso, di leadership e di identità. Forse il naufragio è iniziato proprio due anni fa nella mancata separazione fra rappresentanza politica e rappresentanza sindacale. Il Governo Prodi è stato paralizzato dal gioco al rilancio fra sindacato e vecchia sinistra nel chiedere interventi che contrapponevano il lavoro dipendente al lavoro autonomo e nel proporre di utilizzare l´extragettito per alimentare nuove spese anziché per tenere la pressione fiscale inalterata, come era stato promesso agli elettori. Non c´è stato il conflitto sociale senza riforme del secondo Governo Berlusconi, ma non ci sono state neanche le riforme, pure promesse in campagna elettorale, che avrebbero dovuto offrire tutele minime e una chance in più a chi non ce l´avesse fatta nella sempre più serrata concorrenza internazionale. Non c´è stato il reddito minimo per chi è senza lavoro, ma neanche il salario minimo (intervento a costo zero per le casse dello Stato) per ridurre la povertà tra chi lavora. Il sindacato italiano, unico in Europa, ha intravvisto in questo strumento una diminuzione del proprio ruolo. Chi si aspettava dalla sinistra sicurezza sociale ha così finito per guardare altrove, a chi offre a queste ansie diffuse e comprensibili le risposte sbagliate. Anche al sindacato non ha fatto bene in questi anni avere dei leader con un´agenda politica in mente. Nove segretari confederali su dieci sono finiti in politica. un modo di svilire il mestiere del sindacalista, di assimilarlo a quello sempre meno popolare (per usare un eufemismo) del politico. Ci vorrebbero invece gruppi dirigenti che pensino solo a rappresentare gli interessi dei lavoratori anziché a prepararsi per qualche carica pubblica. Sono due mestieri diversi. Entrambi molto importanti in democrazia, ma profondamente diversi. C´è bisogno di una netta separazione delle carriere di politici e sindacalisti per migliorare la qualità della nostra classe politica e del nostro sindacato. Un partito politico a vocazione maggioritaria deve ambire a rappresentare tutti i cittadini, non solo in quanto lavoratori, ma anche come consumatori. Il sindacato è, per definizione, rappresentante di interessi di parte. Quando perde nel giro di 30 anni quasi metà dei propri iscritti, quando la sua base è sempre più concentrata tra il pubblico impiego e i settori protetti dalla concorrenza, quando finisce per essere il più vecchio sindacato d´Europa, diventa portavoce di interessi ancora più specifici. Sono interessi così materiali e circoscritti che hanno ormai perso qualsiasi copertura di natura ideologica. Per questo l´appartenenza al sindacato orienta sempre meno la scelta politica. Il sindacato porta sempre meno voti ai partiti di centrosinistra. Quando viene percepito come il loro azionista di maggioranza, addirittura i voti li fa perdere, anche nel mondo del lavoro. Perché nelle piccole imprese o ai confini tra lavoro autonomo e subordinato, si finisce spesso per avere paura del sindacato. Quando il sindacato era forte, i lavoratori delle tante microimprese italiane potevano ottenere incrementi salariali minacciando i propri datori di lavoro di portare il sindacato in azienda. Oggi questa minaccia non è credibile. Mentre le pressioni competitive, i rischi di mercato si concentrano sugli impieghi non presidiati dal sindacato, che anziché comprimere le differenze, le accentua. Il futuro del sindacato si gioca proprio nella sua capacità di tornare ad unire il mondo del lavoro, nel suo saper dare risposte alla questione salariale. Deve riuscire a riformare la contrattazione, superando i veti incrociati che lo hanno portato a mantenere in vigore assetti che oggi condannano la maggioranza dei lavoratori ad avere un contratto scaduto. Solo legando più strettamente salari e produttività, come propongono Cisl e Uil, si può far partecipare i lavoratori ai profitti e contribuire a fare uscire l´Italia dalla stagnazione. Ha ragione la Cgil a legare la riforma della contrattazione alla definizione di regole sulla rappresentanza dei lavoratori. obiettivamente difficile contrattare quando ci sono 9 diverse sigle sindacali sedute allo stesso tavolo, come nel caso della trattativa su Alitalia. Le elezioni delle rappresentanze serviranno ai sindacati anche a spostare il baricentro della propria iniziativa sui luoghi di lavoro, dove la lotta contro gli incidenti sul lavoro risulta più efficace. Sarà, dunque, un primo maggio meno festoso di quello di due anni fa. Ma può sancire il raggiungimento di un accordo molto importante fra i sindacati per riformare la contrattazione e migliorare, con le elezioni delle rappresentanze sindacali, la nostra democrazia. TITO BOERI