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 2008  aprile 30 Mercoledì calendario

No agli Ogm? Un lusso che ci costa troppo caro. Il Sole 24 Ore 30 aprile 2008 «Di fronte all’impennata dei prezzi, gli europei dovrebbero diventare più realisti sugli Ogm, perché i loro cuori possono anche essere a sinistra ma le loro tasche sono a destra»: dipendesse da Neil Parish, il conservatore inglese che presiede la commissione Agricoltura all’Europarlamento, l’Europa da tempo avrebbe fatto dietrofront

No agli Ogm? Un lusso che ci costa troppo caro. Il Sole 24 Ore 30 aprile 2008 «Di fronte all’impennata dei prezzi, gli europei dovrebbero diventare più realisti sugli Ogm, perché i loro cuori possono anche essere a sinistra ma le loro tasche sono a destra»: dipendesse da Neil Parish, il conservatore inglese che presiede la commissione Agricoltura all’Europarlamento, l’Europa da tempo avrebbe fatto dietrofront. Invece non è aria, perlomeno a breve. Anzi, chi aveva ceduto alle sirene Ogm sta tornando sui suoi passi. Nonostante gli astronomici rincari delle commodities e la penuria alimentare in giro per il mondo, nonostante i costi dell’import di mangimi mettano alle corde gli allevatori, nonostante i ritardi già accumulati dall’industria europea delle biotecnologie rispetto alla concorrenza non solo americana ma anche cinese, nonostante le crescenti pressioni della Wto, la questione degli organismi geneticamente modificati resta un tabù. Che spacca la Commissione europea e tormenta l’Unione dei 27 senza però che i Governi trovino il coraggio di sfidare gli umori di opinioni pubbliche decisamente ostili. L’ultimo sondaggio Eurobarometro dice che il 60% degli europei è assolutamente contro il cibo-Frankenstein, l’80% ne pretende la gestione con la massima cautela, solo il 20% è a favore. Non è un caso che, con un clamoroso voltafaccia, la Francia di Nicolas Sarkozy, la superpotenza agricola europea, all’inizio dell’anno sia passata dalla parte dei proibizionisti. E che la Romania, il maggior produttore europeo di soia biotech, si prepari a seguirla. «Gli Ogm consentono di produrre raccolti a costi più convenienti ma se si considerano i prezzi di mercato dei prodotti tradizionali e i costi per la biodiversità, è meglio puntare sui secondi», ha spiegato il ministro romeno Attila Korodi. Anche Ungheria e Italia sono sintonizzati su queste onde. Aperturisti sono invece inglesi, olandesi, danesi e scandinavi, con la Germania in una posizione mediana, pro-import ma assolutamente contro la coltivazione in Europa. Sono dieci anni che multinazionali come Monsanto, Pioneer e Syngenta tentano l’assalto ma sono dieci anni che il fortino europeo resiste. E questo nonostante la condanna della Wto che ha accolto le ragioni di Stati Uniti e Argentina: la moratoria europea per presunti danni alla salute non sarebbe infatti sufficientemente giustificata su basi scientifiche. Poco importa. Nel dubbio l’Unione continua a concedere le autorizzazioni con il contagocce e in tempi tripli rispetto agli Usa. Intanto però nel mondo i raccolti Ogm prolificano: l’anno scorso la produzione è cresciuta del 12% con un fatturato che dai 6 miliardi di dollari attuali arriverà a 8,4 nel 2011 e, secondo le stime della Basf, a 50 miliardi entro il 2025. Fino che punto ha senso tagliarsi fuori da questo enorme business in nome di una guerra di religione sempre più solitaria, per una causa non si sa fino a che punto giusta e non invece figlia di un pregiudizio cultural-ideologico? Per ora di sicuro c’è che, avendo perso alla Wto, dalla metà degli anni 90 per difendere le proprie posizioni e non importare carne agli ormoni ogni anno l’Europa paga imperturbabile agli Stati Uniti 120 milioni di dollari in dazi sui prodotti Ue che entrano sul mercato americano. Di altrettanto sicuro c’è che per le stesse ragioni, complice l’allergia agli Ogm, potrebbe presto ritrovarsi a versarne altri 600-900 milioni all’anno. Non solo. Dai polli ai maiali, tutti gli allevamenti europei sono nutriti con mangimi importati: da un anno, da quando gli Stati Uniti fanno coltivazioni Ogm, l’import per circa 3 milioni di tonnellate di derivati di mais arriva da Brasile e Argentina. Però il grosso del fabbisogno, 34 milioni di tonnellate annue di soia, viene ancora da produzione americana che l’anno prossimo si convertirà agli Ogm: ci saranno allora forniture alternative sul mercato mondiale stressato da penuria, cambiamenti climatici, quotazioni alle stelle, concorrenza delle coltivazioni di biofuel? E a che prezzo e fino a che punto sostenibili per gli allevatori europei? Senza contare che, con l’aumento dei raccolti Ogm nel mondo, sarà sempre più difficile avere la certezza di importazioni non contaminate. Comunque lo si guardi, per l’integralismo europeo si prepara una vita dura. Per ora però niente ripensamenti radicali. L’Unione non ha bisogno di ricorrere agli Ogm per incrementare i propri raccolti – sottolinea un esperto Ue del dossier – le basta riscoprire il vecchio modello di produzione intensiva, abbandonato ai tempi delle scandalose distorsioni della politica agricola comune. E poi l’industria agroalimentare non usa il biotech perché c’è l’obbligo dell’etichettatura, che provoca l’immediato rigetto da parte del consumatore europeo. Come è successo quando ci ha provato con cioccolato, biscotti e olio di mais. Al massimo, dunque, dietro l’angolo si annuncia un piccolo ritocco al principio della "tolleranza zero", con l’apertura alla presenza di uno 0,1-0,2% di Ogm nei prodotti importati (anche se l’industria dei mangimi preme per il 5% e quella alimentare per l’1%). «Più che dai rincari agricoli il consumatore europeo potrà essere convinto ad accettare gli Ogm quando la seconda generazione prometterà benefici alla salute. Le biotecnologie in medicina infatti sono accettate senza problemi» dice Paola Testori, direttore generale per la sanità e i consumatori alla Commissione Ue. Ma la pressione esterna aumenta. Presto l’Europa e i suoi cittadini potrebbero scoprire che la battaglia anti-Ogm è un lusso che non si possono più permettere. Adriana Cerretelli