Antonio Scurati, La Stampa 1/5/2008, 1 maggio 2008
In un tardo pomeriggio del 1938, mentre qualche montagna più in là altri apprendisti stregoni si preparavano a negromanzie ben più malefiche ottenebrandosi con antiche pozioni a base di luppoli fermentati, nei laboratori della Sandoz di Basilea, il dottor Albert Hofmann stava effettuando ricerche sugli alcaloidi, nel tentativo di ricavarne dei farmaci
In un tardo pomeriggio del 1938, mentre qualche montagna più in là altri apprendisti stregoni si preparavano a negromanzie ben più malefiche ottenebrandosi con antiche pozioni a base di luppoli fermentati, nei laboratori della Sandoz di Basilea, il dottor Albert Hofmann stava effettuando ricerche sugli alcaloidi, nel tentativo di ricavarne dei farmaci. Fu così che venne sintetizzata una sostanza basata sull’acido lisergico denominata in breve Lsd. Rimase dimenticata e inutilizzata per qualche anno, finché sulle mani del chimico che la maneggiava non ne rimase appiccicata, per caso, una minuscola quantità. Erano solo pochi microgrammi. Ma bastarono. Fu così che Albert Hofmann ingerì per la prima volta una dose di Lsd. Il principio psicoattivo della sostanza dovette certamente averlo scosso, ma, nello stesso tempo, terribilmente attratto. Tre giorni dopo, infatti, Hofmann assunse deliberatamente una quantità limitata di Lsd per testarlo su se stesso. E’ così il viaggio cominciò. Anzi, il trip, come lo definirà un’intera generazione. Hofmann, primo di una lunghissima serie di viaggiatori oltre le porte della percezione, scopre che l’allucinogeno è forse in grado di mettere in contatto con zone primordiali e sconosciute. L’Lsd può diventare cioè una sorta di pozione magica in grado di gettare un ponte tra la tecnica moderna della chimica sperimentale e i mondi arcaici e tenebrosi della coscienza religiosa. Non a caso, tra i primi intellettuali a volerne provare su di sé gli effetti sarà proprio Ernst Jünger. Nel volume «Avvicinamenti» Jünger descriverà le sensazioni che gli si rivelarono nel corso dell’esperimento. Durante lo stato d’alterazione, l’autore di «Al muro del tempo» nota come gli oggetti, pur mantenendo le loro qualità, appaiono intensificati. Si entra in un nuovo livello della realtà, dove è sufficiente esser stati una volta sola per «poter mutare l’uomo in modo tale che resta celato a lui stesso». Nella seconda metà degli Anni Cinquanta sarà, invece, Aldous Huxley il più illustre testimone dell’efficacia psicotomimetica dell’Lsd. Lo scrittore annota tutto quanto nel libro di culto «Le porte della percezione» (da cui prenderà il nome il complesso dei «Doors»). Mentre è vegliato dalla moglie, che lo osserva come farebbe uno scienziato con la sua cavia umana ma, allo stesso tempo, aleggia su di lui come una specie di angelo custode in grado di trarlo, all’occorrenza, fuori dall’abisso mortale, Huxley, sotto l’effetto della droga, giunge a ritenere che gli si sia rivelato lo stadio finale della dissoluzione dell’io. L’essere umano si trova, allora, a dover fronteggiare «l’oscura cognizione che tutto è nel terrore, che il Terrore è davvero ciascuno di noi». L’Lsd sembra celare misteriosi poteri. Perfino la Cia se ne interessa, proprio nel periodo in cui si raffinano le tecniche del condizionamento mentale e del lavaggio del cervello. Su tutt’altro versante, intanto, i poeti beat si convincono che grazie all’Lsd la coscienza può espandersi in direzioni ignote. Sulla collina di «Twin Peaks» (luogo che darà, non a caso, il nome alla celebre serie televisiva di David Lynch), nei dintorni di San Francisco, si diffonde l’uso dell’allucinogeno per scopi iniziatici, come poi raccontato da Roger Corman nel film «Il serpente di fuoco». A quest’altezza la ricerca metodica si confonde con il culto. L’Lsd diventa per Timothy Leary, profeta della rivoluzione psichedelica, un sacramento da impartire agli adepti del suo tecno-ashram. S’ipotizza che questa sostanza dovesse essere presente nelle religioni misteriche della Grecia, che sia in grado di svelare l’essenza stessa del sacro. Ipotesi fantasiose, ma che popolarono di miti la cultura psichedelica californiana. Una cultura che abbraccerà tutti i campi dell’arte, colta e popolare, senza risparmiare nessun mezzo espressivo, dalla letteratura (Burroughs, Ballard, Dick), al cinema (Kubrick, oltre al già citato Lynch) al fumetto (basti pensare che l’Lsd compare perfino nella serie dell’«Uomo Ragno»). I suoi riflessi più creativi si irradiarono, forse soprattutto nella musica. Lunghissimo sarebbe, infatti, l’elenco di cantanti e musicisti che trovarono ispirazione nei viaggi a base di allucinogeni: da Bob Dylan a Syd Barrett, a John Coltrane ai Beatles (accusati di incitare all’uso della sostanza con la canzone «Lucy in the Sky with Diamonds»). Forse, però, fu il grido di White Rabbit, dei Jefferson Airplane, sospeso tra il delirio, la beffa e il desiderio irrazionale di liberazione, a sintetizzare meglio di ogni altro il messaggio della cultura psichedelica collegata all’Lsd: «Feed your head!». Nutri la testa. Il sogno verrà infranto quando i «viaggi» acidi si riveleranno pericolosi e, talvolta, senza ritorno. Ma, al di là della sua indubbia pericolosità, resta l’immaginario della cultura lisergica, l’altezza delle sue aspirazioni, l’ambizione delle sue trasgressioni. I viaggi a base di Lsd, mossi da un prepotente impulso metafisico, facevano rotta verso approdi posti ben oltre le colonne d’Ercole della quotidianità risaputa. Cercavano ancora un mondo sconosciuto, una patria straniera e dimenticata. Le droghe oggi in uso ci promettono soltanto un aiuto sintetico nel nostro sforzo, sempre più improbo, di adattamento alla realtà così come la conosciamo. Sono droghe da soma. Se confrontato con le droghe odierne, fondate sull’ottimizzazione delle prestazioni, il sogno deviato della psichedelica era ancora in grado di sussurrarci la lingua del mito. Ed è anche per questo che auguriamo volentieri al dott. Hofmann, campato cent’anni a dispetto di tutto, la fortuna dei naviganti. Buon ultimo viaggio, vecchio Albert.