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 2008  aprile 30 Mercoledì calendario

Il serpente che umilia la Grande Muraglia. Tuttoscienze, mercoledì 30 aprile 2008 Dici «Serpente Rosso» e per un esclusivo gruppo di archeologi dici tutto: loro si divertono a ricordare che è più antico della Grande Muraglia delle cartoline, costruita dalla dinastia Ming tra XIV e XVII secolo, e più esteso del Vallo di Adriano e di Antonino messi insieme

Il serpente che umilia la Grande Muraglia. Tuttoscienze, mercoledì 30 aprile 2008 Dici «Serpente Rosso» e per un esclusivo gruppo di archeologi dici tutto: loro si divertono a ricordare che è più antico della Grande Muraglia delle cartoline, costruita dalla dinastia Ming tra XIV e XVII secolo, e più esteso del Vallo di Adriano e di Antonino messi insieme. E’ un capolavoro d’architettura militare e civile e non ha eguali tra la fetta di mondo che si allunga dall’Europa centrale alla Cina. E’ non solo una meraviglia assoluta dell’Iran, ma è soprattutto un colpo secco all’orgoglio degli storici eurocentrici. «I nostri scavi stanno sfidando le concezioni tradizionali: mentre l’Impero Romano d’Occidente stava collassando e quello d’Oriente vacillava, l’Impero Sasanide realizzava un monumento di una scala superiore a quella di qualunque opera in Europa». Chi parla con stupore è Eberhard Sauer, professore di Storia Classica all’Università di Edimburgo, che sulla rivista «Current Archaeology» ha raccontato le sue esplorazioni, spinto dalle tre domande-base di ogni reporter: chi, quando e perché? Il «Serpente Rosso» - noto anche come Muraglia di Gorgan - è uno degli ingombranti misteri dell’archeologia, da quando, nel ”99, l’iraniano Jebrael Nokandeh ha cominciato a studiarlo, portandolo all’attenzione delle accademie d’Europa e d’America. Finora non sono state trovate iscrizioni rivelatrici, mucchi di monete e nemmeno oggetti databili con ragionevole certezza. E anche la sua estensione resta ambigua come un miraggio: 200 chilometri, ma probabilmente di più, lungo un tracciato che si estende dal Mar Caspio (vicino alla città di Gumishan) alle pendici dei monti Elburz, a Sud del Caucaso. Adesso il team di Sauer (con Tony Wilkinson e Hamid Omrani Rekavandi) sta indagando la natura del «Serpente» a partire dal suo colore. E’ rosso, perché composto da milioni di mattoni standardizzati: 37 centimetri di diametro sul lato Ovest e 40 su quello Est, con uno spessore di otto oppure 11. A distanze regolari sono state individuate le tracce di numerose fornaci che li hanno prodotti e una, circondata da un’elegante arcata, ha funzionato da perfetta capsula temporale. Sotto una serie di strati protettivi di terra sono emersi i primi indizi: secondo la luminescenza ottica, che ha analizzato i sedimenti di carbone di legna, il periodo è quello decisivo tra il V e il VI secolo d.C., quando il pendolo della storia abbandona Roma e torna nelle steppe d’Oriente. Sbagliava, quindi, chi aveva immaginato che la Muraglia fosse nata da uno dei gesti di grandeur di Alessandro Magno. L’ordinata sequenza di muri, camminamenti, forti e fossati, affiancati da una rete di canali e da un’acquedotto, è invece uno dei simboli più tardi dell’immenso impero asiatico che si allargò dalla Cappadocia alle porte dell’India e umiliò ripetutamente i romani, sconfiggendo Gordiano III e Filippo l’Arabo e, nel 260, costringendo Valeriano alla prigionia. Prima di soccombere all’invasione islamica i sasanidi si impegnarono anche in una serie di campagne a Est contro gli Unni e - spiega Sauer - le fonti parlano di un sovrano, di nome Peroz, vissuto tra il 459 e il 484, che fu costretto a combattere proprio a Gorgan (oggi ribattezzata Gonbad-e Kavus, nella provincia nordorientale del Golestan): è la zona che dà il nome al «Serpente Rosso», che passa anche di lì. I nuovi scavi, accoppiati alle rilevazioni satellitari, suggeriscono ora una nuova ipotesi. Forse l’opera aveva una doppia natura: barriera anti-Unni, capace di ospitare 30 mila soldati, e allo stesso tempo magnete civilizzatore per attirare comunità di contadini e allevatori. Ma gli indizi più ghiotti restano ancora sepolti, oltre l’immaginazione eccitata degli archeologi. Gabriele Beccaria