Alessandra Gorini, Tuttoscienze 30/4/2008, pagina V, 30 aprile 2008
Viaggio nella mente di John Nash. Tuttoscienze, mercoledì 30 aprile 2008 quasi un paradosso: gloriosamente insignito del premio Nobel per l’economia per la formulazione di una teoria del comportamento razionale, oggi universalmente conosciuta come l’«Equilibrio di Nash», ma ingloriosamente rinchiuso per anni in ospedali psichiatrici, dove, prima che un matematico, si credeva l’imperatore della Groenlandia
Viaggio nella mente di John Nash. Tuttoscienze, mercoledì 30 aprile 2008 quasi un paradosso: gloriosamente insignito del premio Nobel per l’economia per la formulazione di una teoria del comportamento razionale, oggi universalmente conosciuta come l’«Equilibrio di Nash», ma ingloriosamente rinchiuso per anni in ospedali psichiatrici, dove, prima che un matematico, si credeva l’imperatore della Groenlandia. questa la tragica, e straordinaria, storia di John Forbes Nash Junior, matematico e schizofrenico. A circa 20 anni dalla scomparsa dei sintomi più invalidanti e a 14 dalla consegna del Nobel, Nash è una star. Per il secondo anno di seguito, il suo intervento al Festival della matematica di Roma ha richiamato migliaia di spettatori, tutti (morbosamente) curiosi di incontrare il folle genio dei numeri, prima malato e poi risanato, protagonista del famoso film «A Beautiful Mind». Anch’io ero tra i curiosi, con l’aggravante di essere una studiosa della mente, che non vedeva l’ora di osservarlo da vicino per scoprire il vero John Nash, spogliato delle vesti del bel Russell Crowe, che - a detta del matematico - gli assomiglia ben poco. «Non mi identifico in lui, siamo troppo diversi - confessa - e non soltanto dal punto di vista fisico. Lui è un attore e si comporta da attore, io invece sono un matematico. Non possiamo assomigliarci». E prosegue: «Anche se non rispecchia la realtà, penso che ”A Beautiful Mind” sia un film di grande successo, perché ha incassato molto». La spiegazione è logica, fin troppo, forse per noi che siamo abituati a fare ragionamenti «corrotti» dall’emotività. Quell’emotività che, almeno in quel momento, non si percepiva dalle sue parole. Il figlio Johnny L’ho conosciuto una mattina, a colazione, da poco atterrato a Roma con la moglie Alicia e il figlio Johnny, ragazzone cinquantenne dai modi bruschi che finge di non accorgersi neppure della nostra presenza. Di quella grave forma di schizofrenia apparentemente non c’è traccia. Scopre che sono una psicologa e, quasi per giustificare lo strano comportamento del figlio, mi racconta delle cure a cui è sottoposto, dal momento che purtroppo soffre della sua stessa malattia, e fa un breve accenno a quando anche lui «rispondeva alle voci». I suoi discorsi sono lucidi e lineari ed è come se tutto nella sua mente seguisse un percorso matematico, in cui nulla può e deve trovarsi fuori posto. Gli confesso che incontrarlo era uno dei miei più grandi desideri: resta impassibile. Tutto prosegue bene, fino a che il personale dell’albergo non gli comunica che prima di mezzogiorno la sua stanza non sarà disponibile, e gliene offre una provvisoria. Il volto di Nash si fa scuro, la voce imperiosa, e con aggressività trattenuta dalla buona educazione risponde che preferirebbe avere la sua camera in quel momento. La stessa aggressività con cui Johnny, qualche minuto prima, si è rivolto alla madre, chiedendole dei soldi per poter cominciare la sua vacanza romana. Alla colazione è seguita una cena, un viaggio sull’Eurostar Roma-Milano, e una visita al Cenacolo di Leonardo. Ogni minuto trascorso al suo fianco rivelava qualche particolare in più del suo affascinante e bizzarro modo di essere. Le parole biascicate del primo incontro non erano che un modo per esprimere la sua timidezza davanti a facce sconosciute, che forse non sapevano nascondere la loro curiosità, perché con il passare delle ore diventavano più sicure, più scandite. Durante la cena il primo sorriso, rilassato e divertito. La mattina seguente è stata la volta dell’Eurostar. La folla del Festival della Matematica è svanita, nessuno più lo insegue per chiedergli un autografo. Nash appare più a suo agio, meno insicuro, ma continua a non nascondere quel suo modo di affrontare la vita come se fosse una successione di rigide regole e di problemi che non ammettono una soluzione incerta. Ha una struttura di pensiero estremamente rigida. Geniale, ma rigida. A Milano, arrivati in prossimità del Cenacolo, padre e figlio scendono dalla macchina, ma si fermano entrambi paralizzati da un pensiero paranoico che li fa temere che l’autista fugga con i loro bagagli. Come si assomigliano in certi momenti, il padre guarito (?) e il figlio malato (!). Poco dopo mi rendo conto delle sue grandi potenzialità mnestiche ben superiori alla media, quando, dopo aver osservato per pochi istanti una raffigurazione con i nomi degli apostoli, me li ripete senza esitazione e nell’ordine corretto, davanti al capolavoro di Leonardo. L’«Ultima Cena» lo colpisce, ma, mostrandomi la fotografia sul suo passaporto, commenta: «Se fra cent’anni vorranno dipingere il mio volto, non sbaglieranno. Invece Leonardo se li è inventati gli apostoli». L’emozione si svela Salutandoli, do loro un piccolo pensiero e improvvisamente l’imperturbabilità si trasforma in emozione. Nash non sa come ringraziare, è impreparato. Questa volta non c’è calcolo matematico che tenga e la risposta giusta non si può ricavare da una fredda analisi della realtà. Impacciato, sussurra qualche parola, cercando approvazione nello sguardo della moglie, come un bambino che ha paura di sbagliare. Per eliminare l’imbarazzo, gli chiedo dove passeranno la notte, e tutto torna come prima: risposte matematicamente certe e ragionamenti logicamente impeccabili. L’autista, intanto, non è fuggito con i bagagli. John e Johnny sono tranquilli. La schizofrenia è una patologia complessa e dall’esito fortemente eterogeneo. Con buone probabilità Nash ha sofferto di una forma cosiddetta paranoide, caratterizzata dalla presenza di allucinazioni e deliri, ma da un profilo cognitivo relativamente nella norma. E’ possibile che il suo straordinario livello intellettivo abbia contribuito al superamento della fase acuta della malattia, come spesso accade nelle patologie psichiche. possibile anche che questa sia una delle transitorie fasi di remissione che ciclicamente si alternano alle fasi acute. Quel che è certo è che oggi Nash non riceve più il sussidio di disoccupazione con cui è campato per anni; non è più il «fantasma» di Princeton, anche se la rigidità di pensiero, l’irritabilità, la sospettosità, la chiusura in se stesso, la discutibile affettività fanno pensare a una remissione parziale più che a una guarigione miracolosa. E nella schizofrenia nessuno sa se una remissione durerà per sempre, perché la schizofrenia non è un gioco il cui esito possa essere stabilito a priori, neppure dalla più brillante delle menti matematiche. Un velo di tristezza C’è, però, una cosa che risulta in ogni istante più evidente e la si percepisce più dai gesti e dagli sguardi che dalle parole: è un velo di tristezza che ricopre i suoi occhi, quando parla di Johnny, la luce che si illumina quando osserva una fotografia del matrimonio con Alicia, la timidezza con cui mi ringrazia. E’ una vicinanza emotiva che emerge con l’alleviarsi della patologia. E chissà che non sia stato proprio il distacco dalle emozioni che gli ha aperto la strada al Nobel, permettendogli di capire qual è il comportamento razionale più vantaggioso nell’interazione con i propri simili. Comunque sia, al termine di questo magnifico incontro con una mente davvero straordinaria non possiamo che augurarci che colui che ha trovato l’equilibrio nella Teoria dei Giochi trovi anche l’equilibrio della vita, e riesca a mantenerlo. Alessandra Gorini