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 2008  aprile 29 Martedì calendario

ALESSANDRO ALVIANI

BERLINO
In 24 anni non ha mai notato nulla di anormale nel comportamento del marito. Non si è mai chiesta perché scomparisse nelle ore serali o passasse tanto tempo nella cantina del loro appartamento. Né ha mai provato a scendere personalmente quelle scale. Lo scantinato è tabù, le aveva detto il marito, Josef Fritzl, e lei, Rosemarie, gli aveva dato retta passivamente. Nessuna domanda, nessun sospetto, nessuna allusione. Aveva persino accettato, nel 1984, l’inspiegabile scomparsa di una figlia diciottenne, Elisabeth, e la richiesta di non cercarla, contenuta nelle lettere apparentemente inviate dalla ragazza.
Sotto gli occhi di Rosemarie, 68 anni, si è svolto quello che gli inquirenti hanno definito «uno dei peggiori crimini nella storia dell’Austria». E lei non si è mai accorta di nulla. Questo, almeno, è quello che ha raccontato alla polizia. La figlia Elisabeth è stata rinchiusa con la forza dal padre nel 1984 in quello scantinato rimasto per tutti tabù. Ammanettata, picchiata, violentata. Madre senza volerlo di sette bambini, uno dei quali morto poco dopo il parto e bruciato da Josef nella caldaia dell’abitazione. Quarantaduenne dal volto pallido e dai capelli bianchissimi, in condizioni psichiche e fisiche precarie.
Ormai la polizia non ha più dubbi sul suo racconto. Anche se i risultati dell’esame del Dna non si conoscono ancora, l’uomo, che oggi ha 73 anni, ha già confessato di aver abusato di lei e di essere il padre dei ragazzi. Josef avrebbe agito da solo (non ci sono indizi che fanno pensare a complici, hanno detto ieri gli inquirenti in conferenza stampa) e sarebbe riuscito a ingannare tutti: vicini di casa, parenti, inquilini, ma soprattutto Rosemarie, la donna da cui quell’uomo descritto come dinamico, ma anche dispotico e autoritario, ha avuto altri sei figli oltre a Elisabeth.
Josef, del resto, sarebbe sempre riuscito a fugare ogni dubbio, costruendosi una doppia vita perfetta. Per non dare nell’occhio, si sarebbe procurato i vestiti e il cibo per i tre ragazzi rinchiusi nella cantina non a Amstetten ma in una località vicina. Sotto la sua abitazione ha creato un carcere in cui era l’unico a poter entrare. La piccola porta bianca in cemento armato che dava accesso alla cantina era nascosta dietro alcuni scaffali e dotata di un motore elettrico. Per aprirla, bisognava comporre un codice segreto su un comando a distanza che l’uomo portava sempre con sé. Per Elisabeth e i tre figli non esisteva nessuna possibilità di fuga. Dentro, superato un corridoio strettissimo lungo cinque metri, poche stanze prive di finestre, distribuite su una superficie di 60 metri quadrati. Qualche letto, un minuscolo bagno, un angolo cottura, un televisore con un videoregistratore e una radio, unico collegamento col mondo esterno. proprio a quel vecchio televisore che Elisabeth deve la sua salvezza. Dopo che la primogenita, Kerstin, era stata portata in ospedale perché gravemente malata, la polizia ha iniziato a cercare la madre, anche attraverso i media austriaci. Seguendo una trasmissione tv Elisabeth ha scoperto che Kerstin aveva bisogno di lei e ha convinto Josef a farsi portare in clinica. Lì è finito il suo martirio. Natascha Kampusch, anche lei per anni prigioniera di un uomo in uno scantinato, le ha offerto il suo aiuto: un contatto diretto e un aiuto finanziario.

LA STAMPA 29/4/2008
BRUNO VENTAVOLI
Non c’è un graffio, né una macchia sulla casa dove Josef Fritzl ha segregato la figlia. Eppure oltre quella superficie illibata il buon padre di famiglia l’ha stuprata per 24 anni senza che nessuno se ne accorgesse. E quante volte è accaduto, nella Felix Austria, che dietro l’apparente perfezione covassero fantasmi, nevrosi, follie. Non a caso, proprio qui, nel centro della Duplice Monarchia, Freud rimestò nei penetrali dell’animo umano, scoprendo ferite nascoste, sempre pronte a riaprirsi, a suppurare. Qualche lustro prima l’emerito neurologo Richard von Krafft-Ebing compilò la prima gigantesca enciclopedia delle perversioni sessuali. Centinaia di casi, di rispettabili cittadini e madri di famiglia, sfilavano nella sua clinica per confessarsi. Si spogliavano delle vesti puritane, dei gradi militari, degli incarichi civili, per dire che vagheggiavano di accoppiarsi con cadaveri o di fustigare prostitute, e impeccabili maestri dell’impero confessavano passioni pedofile per gli allievi, ben prima che arrivasse YouTube.
Proprio qua è nato il termine «sadomasochismo», in omaggio a Sacher-Masoch, aristocratico d’antico lignaggio, scrittore di raffinate atmosfere, sincero teorico della massima tolleranza verso ebrei e minoranze, che provava piacere a farsi maltrattare dall’amata moglie Wanda. E Felix Salten? Oltre a «Bambi», scrisse «Josephine Mutzenbacher», storia di una ragazzina che comincia a prostituirsi a 13 anni e fa del proprio corpo uno straordinario strumento di ascesa sociale, sfruttando ogni vizio maschile.
E quando Vienna smette di essere la capitale della Restaurazione, la pista da ballo dei valzer lungo il Danubio blu, diventa il laboratorio delle arti e delle inquietudini nevro-erotiche della modernità. Nei ghirigori della Secessione, negli abbracci scarniti di Schiele, affiora l’insanabile tragedia dell’amore, la sua contiguità con la morte e la pazzia. Compaiono assassini seriali che traducono in omicidi sessuali la dissoluzione dei regni millenari. Il Moosbrugger di Musil, per esempio. O il meno conosciuto, ma più straordinario, ungherese Béla Kiss, che eliminò decine di donne e riuscì a sfuggire alla giustizia di mezza Europa (e forse d’America) con la beffarda intelligenza di un Arsenio Lupin.
I moderni romanzi di Bernhard, della Bachmann, di Handke scorticano l’Austria infelix del dopoguerra, mettendo a nudo le nuove, eterne, aberrazioni. Il benessere, la raccolta differenziata dei rifiuti, lo sci, l’ecologia perfetta delle città, sono solo una cappa asfissiante. Basta intrufolarsi nei focolari borghesi, tutto trine e porcellane, per trovare in famiglia violenza, atrocità, sopraffazione. La «Pianista» di Elfriede Jelinek, annientata da una madre possessiva, scivola nel sadomasochismo senza limiti. Ulrich Seidl, straordinario cineasta, filma in «Canicola» storie di ordinario orrore viennese. Anche qui dimore perfette, giardini irrigati, ma dietro le pareti di nudo cemento corpi sfatti di uomini e donne che sfiorano in un sesso dolente, estremo, malato, l’amaro mistero del vivere: una madre che ha perso la figlia si getta in amplessi degradanti e casuali, un uomo si tormenta i genitali cantando l’inno nazionale.
Serial killer e perversioni non sono, ovviamente, prerogativa austriaca. Ma solo lì s’accordano con valzer, jodel, orologi a cucù. E solo lì, forse, la follia, riesce a covare segreta per anni, per decenni, con la stessa silenziosa, burocratica, perseveranza che ha reso leggendario l’impero asburgico. In quel Josef Friztl che ha generato sette figli con la moglie, e sette figli con la figlia che stuprava, c’è qualcosa di mostruosamente Biedermeier. Di mostruosamente e unicamente austriaco.