Giuseppe Turani, la Repubblica 27/4/2008, pagina 26., 27 aprile 2008
Il piccolo disgelo di imprese e operai. la Repubblica, domenica 27 aprile Mentre tutti gli occhi sono puntati sulla politica, dal mondo reale arrivano segnali importanti, magari qualche volta anche un po´ complicati da decifrare
Il piccolo disgelo di imprese e operai. la Repubblica, domenica 27 aprile Mentre tutti gli occhi sono puntati sulla politica, dal mondo reale arrivano segnali importanti, magari qualche volta anche un po´ complicati da decifrare. E quindi bisogna procedere un po´ alla rinfusa, rinviando il momento della sintesi più avanti. Il primo segnale (al quale forse molti non hanno prestato molta attenzione) è che i conti della Fiat del primo trimestre 2008 sono stati buoni, nonostante questo sia un anno brutto dal punto di vista congiunturale. Il che significa che probabilmente il risanamento Fiat non è stato un´opera di magia, di specchi, del bravissimo amministratore delegato Marchionne, ma un lavoro di riorganizzazione industriale vero, autentico. E, visto che si tratta della più grande impresa italiana, non è male. Il secondo segnale arriva dalle assemblee per i vari bilanci aziendali, dove si sono visi tanti "piccolini" (azionisti) mettere in imbarazzo i grandi (compreso qualche erede di famiglia che appartiene alla storia industriale italiana). E anche questo non è un brutto segnale: se i grandi perdono l´abitudine di mettere nei loro consigli come amministratori indipendenti uno che magari è il loro commercialista di fiducia da 25 anni, bene. Di capitalismo domestico, casalingo, parrocchiale, abbiamo fatto ormai una certa indigestione. Ci piacerebbe adesso un capitalismo un po´ moderno, duro, con tante buone regole (fastidiose) per i grandi. Un altro segnale vicino a questo sta nel passaggio della Confindustria dalle mani di Luca Cordero di Montezemolo a quelle di Emma Marcegaglia. E non si tratta solo del fatto che gli industriali italiani hanno avuto il coraggio di scegliersi una signora (bella e tosta) come "capo", c´è anche il fatto che, con questo passaggio di consegne, il capitalismo delle Grandi Famiglie (o quel che ne resta) fa un passo indietro e dice a quelli del Quarto Capitalismo e del Nord Est: «Vedete un po´ voi che cosa si può fare». Non è un cambiamento da poco. Fino a Montezemolo in realtà il sistema delle Grandi Famiglie ha sempre tenuto la Confindustria "in casa", ritenendola uno strumento fondamentale nel dialogo con i politici. Ma, anche qui, mi sembra di capire, si cambia strategia. I Grandi giocheranno le loro partite in prima persona e Emma potrà portare avanti le questioni della parte "nuova" del capitalismo italiano, che finalmente trova diritto di parola e di rappresentanza. Insomma, anche se in ritardo e magari con qualche timidezza di troppo, il capitalismo italiano si rinnova. Ma stanno arrivando anche altri segnali da altre direzioni (e, forse, anche più importanti). Mi riferisco, ad esempio, agli operai delle grandi fabbriche (Mirafiori) che decidono di votare non tradizionalmente (e pigramente) a sinistra, ma che scelgono di andare verso la Lega di Bossi. Non so se questa sarà una scelta definitiva o comunque di medio periodo. Quello che per ora interessa notare è che c´è una rottura di abitudini consolidate, e ogni rottura (in questo nostro sistema ingessato) è benvenuta e ben accolta. Se si apre una discussione (anche seria e aspra) fra gli operai e i loro tradizionali rappresentanti politici, bene. E bene se capita che la Fiom-Cgil viene messa in minoranza dai lavoratori della Ferrari, che decidono di procedere lungo la propria strada. Il mondo sindacale non è fra i più vivaci e i più democratici (ha una sua tendenza verso le soluzioni oligarchiche): qualche buona scossa non può che fare bene. L´ultimo segnale che mi viene di citare in questa piccola e provvisoria rassegna è la netta scelta di tanta parte del Nord Est per la Lega di Bossi. E qui la cosa si complica perché in quelle regioni e in quelle città c´è la parte "nuova" del capitalismo italiano, quella che si muove di più, quella più post-fordista e quindi quella più interessante. Il fatto che quel pezzo di Italia abbia voltato le spalle alla politica tradizionale e abbia scelto di puntare su Bossi, probabilmente è appunto solo un segnale: siamo stufi di essere considerati quattro gatti che fanno del capitalismo selvaggio, buoni per pagare le tasse e basta. Non credo che sia una scelta strategica (anche perché è lo stesso Bossi il primo a non sapere che cosa fare per il capitalismo post-fordista). Si tratta solo di un segnale molto forte, che adesso è in attesa di un segnale di risposta (sempre che la politica si decida a capire che forse Verona è più importante di Tor Pignattara). Come si vede, l´insieme dei segnali che ho citato (ma altri se ne potrebbero trovare) non compone un quadro organico e chiaro, di facile interpretazione. Anzi, se proprio volessimo trovare una chiave di lettura, dovremmo dire che siamo in presenza di forze che divergono: un po´ tutti stanno abbandonando i loro tradizionali rappresentanti politici alla ricerca di qualcosa di diverso, di non sperimentato. E il fenomeno riguarda tutta la società italiana: dagli operai agli imprenditori. Forse è cominciato un piccolo disgelo. C´è solo da sperare che diventi grande. Molto grande. Giuseppe Turani