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 2008  aprile 29 Martedì calendario

PAGLIA Gianfranco

PAGLIA Gianfranco Sesto San Giovanni (Milano) 17 luglio 1970. Politico. Nel 2008 eletto alla Camera (Pdl, quota An), nell’agosto 2010 passò col gruppo Futuro e Libertà fondato da Gianfranco Fini dopo l’uscita dal Pdl • «Gianfranco Paglia ha 23 anni: è in Somalia come paracadutista con la missione Ibis voluta dall’Onu dopo la caduta del regime di Siad Barre, quella in cui troverà la morte Ilaria Alpi. In un’imboscata, una granata squarcia uno dei blindati italiani: il sottotenente Paglia esce dal suo mezzo e riesce a portare in salvo quattro soldati prima di essere colpito. Il bilancio dell’attentato è tragico: tre morti e 23 feriti. Paglia è uno di quelli. Una pallottola l’ha colpito alla colonna vertebrale: non potrà più muovere le braccia e le gambe. Ma il sottotenente non si arrende. Va in una clinica svizzera, inizia la riabilitazione, si sposta, va in un istituto in Russia, si sottopone ad altri esercizi, riprende l’uso delle braccia. Ad assisterlo, l’intera sua famiglia, la fidanzata che successivamente diventerà sua moglie, un amico d’infanzia che lascia il lavoro e diventa il suo fisioterapista personale. Quando le sue condizioni fisiche glielo permettono, anche se su una sedia a rotelle, torna fra i paracadutisti riprendendo a partecipare alle missioni di pace: Bosnia, Kossovo, Iraq, Libano. [...] 15 anni dopo, due figli nati dal suo matrimonio, la casa a Casertavecchia in mezzo al verde della campagna, una forza d’animo nascosta dietro una sostanziale serenità ma premiata con la Medaglia d’oro, il capitano Paglia si appresta a entrare in parlamento, appena eletto a Napoli nelle liste del Pdl, in quota An. Su questa storia, una vicenda che nella sua banalità appare incredibile, Raifiction [...] finito di girare un film tv, Le ali, con la regia di Andrea Porporati. [...] A pensare di trarre un film da questa storia è stata Gabriella Buontempo della Good-time alla quale era stata riferita da un amico comune: “Le missioni di pace in Italia sono tuttora un tema controverso: mi pareva giusto farle raccontare, per una volta, da uno come Paglia che ci crede fino in fondo”. Inizialmente perplesso è stato invece il regista Andrea Porporati, sceneggiatore di alcune Piovre nonché autore al cinema di Il dolce e l’amaro [...] “Mi ha convinto la semplicità con cui Paglia parla di se stesso, del suo atto di eroismo, della lunga riabilitazione, della volontà di tornare a far parte dei paracadutisti, primo parà italiano a essere reintegrato nonostante la gravissima invalidità”. La scelta di candidarsi lo ha sorpreso: “Nessuno di noi se l’aspettava. Sono rimasto senza parole, non solo perché politicamente non la condivido affatto, ma perché potrebbe attribuire al film un segno propagandistico che non è nelle mie intenzioni”. Porporati spiega che, al di là della vicenda personale di Paglia, quel che l’ha interessato è stato poter mostrare il lungo cammino verso la riablitazione: l’efficienza tecnica che però nega la speranza della clinica svizzera; l’improvvisazione povera dell’istituto russo voluto da un acrobata cui era capitato di spezzarsi la colonna vertebrale; l’universo assai poco esplorato del paracadutismo aperto, grazie a una nuova tecnologia, anche a chi non ha più l’uso delle gambe. “Paglia, per esempio, ha potuto ancora una volta sospendersi in volo con l’aiuto della campionessa Barbara Brighetti che l’ha allenato. L’ha voluto fare perché, volando, s’è sentito per un momento uguale agli altri in quanto nell’aria, finalmente, le gambe non servono a niente”. Da qui il titolo Le ali. Ali materiali per librarsi nel cielo e ali spirituali per non farsi piegare dall’esistenza. [...] “[...] Sono uno come tanti. Mi avevano detto che non avrei più potuto muovermi. Non ci ho creduto. È tutto [...] Di candidarmi me l’ha chiesto Fini che conosco da molto tempo. Ho detto: proviamoci! Se riuscirò a far sentire in Parlamento la voce delle Forze armate e quella dei portatori di handicap resterò, altrimenti tornerò nell’Esercito dove sto benissimo. Certo non faccio il passacarte: non è nel mio carattere. Fini lo sa. E per dimettermi non aspetterò di aver maturato il vitalizio: detesto approfittare [...]”» (Simonetta Robiony, “La Stampa” 29/4/2008).