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 2008  aprile 28 Lunedì calendario

Corriere della Sera, lunedì 28 aprile 2008 Natascha 2. Dicevano che l’orrore di Natascha Kampusch doveva diventare un film

Corriere della Sera, lunedì 28 aprile 2008 Natascha 2. Dicevano che l’orrore di Natascha Kampusch doveva diventare un film. Ma la cronaca non s’accontenta più di battere la finzione. Ora anticipa le repliche. Con un sequel che è anche peggio: sempre in Austria, sempre una ragazza che ritorna dal nulla. Ventiquattro anni dopo. La vittima è Elisabeth Fritzl, il carnefice suo papà. Che l’ha rapita quando lei aveva 18 anni, per ingravidarla sette volte. Che dal 1984 la teneva chiusa in una cantina, coi figli-nipoti. Senza che nessuno sapesse. Che nessuno dicesse. Natascha 2 spunta nove giorni fa, di sabato. Il primo a dubitare è il medico di turno al pronto soccorso di Amstetten, quieta cittadina che la storia ricorda solo per aver ospitato un sottolager di Mauthausen. Arriva una ragazza di 19 anni, Kerstin Fritzl. in coma. Senza traumi, a prima vista. Troppo malata, però. Incredibilmente deperita. Come se nessuno l’avesse mai curata. Il dottore capisce la gravità, spedisce subito la paziente in terapia intensiva. "Chi l’ha portata?", chiede alle infermiere. "Il nonno, Josef Fritzl: dice d’averla trovata semicosciente ". Dov’è? Sparito. Qualcosa non quadra. Bisogna parlare con quell’uomo, fare l’anamnesi, sapere chi è la madre della ragazza, capire di quando sono i primi sintomi... L’ospedale avverte la polizia, scene di caccia in Bassa Austria. Ci vuol poco perché la cartella clinica diventi un verbale: cercavano una cura, trovano un orrore. Josef ha 73 anni ma non è il nonno di Kerstin: è il padre. E Kerstin ha cinque fratelli, il più grande vent’anni, il più piccolo 5. Tre femmine e tre maschi. Tutti nati da Elisabeth, la desaparecida nel 1984, tutti figli dell’incesto. Alcuni non sono mai stati denunciati all’anagrafe. Schiavi. Imprigionati in uno scantinato di varie camere, senza finestre, sbarrati da una piccola porta nascosta nella parete d’un laboratorio, un codice segreto per azionare una serratura elettrica. Solo acqua, cibo, vestiti. "Tre di loro sembra non siano mai usciti di lì – dice un poliziotto ”. Sono dei vegetali, non hanno mai visto la luce del sole, non abbiamo neanche capito se sanno parlare". C’era anche un settimo figlio, un gemello, ma nel 1996 morì che aveva solo un mese e ci pensò Josef, il papà-nonno, a bruciarne il corpicino. Gruppo di famiglia in un inferno. Quando l’hanno trovata, Elisabeth era "gravemente disturbata ". Parole che non spiegano lo choc: questa Natascha 2, che oggi ha 42 anni, ha accettato di raccontare la sua storia a patto di non vedere mai più Josef e d’avere un futuro assicurato per i sei figli. Un racconto con molti lati da chiarire. "Un racconto credibile", sono sicuri psicologi e poliziotti: la prigione è stata trovata, l’aguzzino starebbe confessando qualcosa. La donna ha detto che suo padre la violenta da quand’era undicenne. Il 29 agosto 1984, drogata con un anestetico, fu ammanettata e rinchiusa. Qualche settimana d’allarme. Poi spuntò una lettera ("me ne sono andata, non cercatemi più") e la polizia, trattandosi d’una maggiorenne, incredibilmente lasciò perdere: "Probabilmente è finita in una setta religiosa", si disse. Era finita in un incubo. Obbligata a partorire sottoterra, dice, e a crescere i figli là dentro. Nella casetta di Amstetten c’era un’altra donna, Rosemarie, la mamma di Elisabeth. Che piangeva la sua ragazza sparita nel nulla e, dura da credere, sostiene di non essersi mai accorta di nulla. I primi tre figli-nipoti, due maschi e una femmina, in realtà sembra vivessero con lei e Josef. Come mai? Furono trovati in fasce davanti all’abitazione, ha raccontato Rosemarie, e suo marito l’avrebbe convinta ad adottarli, "perché sicuramente sono di Elisabeth, che non li può mantenere e ce li ha lasciati ". I tre infatti vanno a scuola, hanno il cognome dei nonni. Della ragazza murata viva e dei "vegetali", invece, pare che solo Josef sapesse. Se questa è la storia, lo diranno gli esami del Dna. E le confessioni. Qui non c’è solo una Natascha Kampusch, a raccontare come andò. C’è un’Austria che torna a specchiarsi nella sua indifferenza omertosa. E a chiedersi perché ancora qui, ancora così. Francesco Battistini