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 2008  aprile 28 Lunedì calendario

Enrico

«Io quando ero piccolo avevo cinque sogni. Avere i capelli lunghi, e l’ho avuti. Andare in campeggio, e ci sono andato. Fare l’attore internazionale, e lo sono. Avere un figlio entro i 30 anni, e l’ho fatto a 29. E avere una BMW 1000 rossa, perché la prima moto che mi ha provocato un sussulto al cuore era proprio una BMW rossa». Come il palermitano Enrico Lo Verso, 44 anni il 18 gennaio, uno dei protagonisti del film Milano-Palermo Il ritorno, sia riuscito a realizzare anche l’ultimo desiderio è una storia meravigliosa. La racconta a Riders in un ristorante romano mentre mangiamo pesce alla griglia, calamari e cicoria in padella al ristorante Biondo Tevere, lo stesso in cui fu girato il film Bellissima con Anna Magnani e in cui Pier Paolo Pasolini consumò la sua ultima cena prima di essere ammazzato. Questa non è un’intervista.  un racconto intervallato da qualche domanda. Perché quando parla della sua moto Enrico Lo Verso è incontenibile. Irrefrenabile. «Avevo sempre usato Vespe» spiega. «Da ragazzino ci facevo acrobazie, cambi di guida davanti-dietro e da Vespa a Vespa. Una me l’hanno pure rubata, in realtà credo che sia stata venduta dalla persona a cui l’avevo prestata. Poi ho preso una TS di seconda mano, che conservo ancora. Solo una volta avevo provato una Guzzi 500: fui pessimo, mi sentivo rigido. Non ho mai più guidato una moto fino a quando, 15 anni fa, il fratello di Elena, la donna che sarebbe diventata la mia compagna, mi disse: ”Devo vendere la moto”. E io: ”Che modello è?”. E lui: ”BMW”. E io: ”Che cilindrata”. E lui: ”Mille”. E io: ”Che colore?”. E lui: ”Rosso”. E io: ”La prendo”». Il destino non poteva essere più gentile, delicato, sorprendente. «Mi chiese se la sapevo guidare. Risposi che non importava. La pagai sei milioni di lire senza neanche vederla. Me la portò lui da Milano a Roma. Era la BMW K 100. Quando sono salito abbiamo cominciato a danzare». Che tipo di ballo era? «Una danza elegante. Era un valzer. Nel tango c’è chi comanda, noi eravamo complici». I balli indimenticabili? «Due. Durante le riprese di Tre giorni di anarchia, tra Enna e Ragusa, quando mi sono girato la mia Sicilia in moto. E un viaggio da Roma alla Repubblica Ceca dove mi aspettavano per un film. L’appuntamento era il mercoledì. La domenica mi viene la voglia di arrivarci in moto e parto. Avevo le ruote lisce, ma era estate. Penso: ”Quando torno le cambio”. Invece per due giorni piove. E così per due giorni ho evitato di frenare bruscamente. Tre chilometri prima cercavo di prevedere se ci fosse stata una curva o se dovevo frenare. Questo è il bello della moto. Tra le auto e le due ruote c’è la stessa differenza che vedo tra cinema e teatro». Cioé? «In teatro non puoi dare niente per scontato. Se sbagli il pubblico se ne accorge. Devi essere sempre concentrato. Poi in sella, nei viaggi lunghi, vedi cambiare l’architettura rurale, la gente. Antropologicamente la moto è fantastica: noti i dettagli. In Croazia, con Elena, stavo per fare due frontali perché ero troppo preso dal paesaggio. Ma è stata l’unica volta che ho rischiato un incidente».  vero che per contratto gli attori non possono salire in moto? «Sì, ma è una cazzata. Quando sono andato in Repubblica Ceca quelli della produzione mi chiamavano a casa. Io facevo dire da Elena che ero uscito per non raccontare la verità. Pensa che il giorno prima di iniziare le riprese di Milano-Palermo ho subito un tamponamento. E con che mezzo ero? In auto». E il primo viaggio? «Da Roma a Caserta. Elena era incinta di sei mesi ed è andata in treno. Al ritorno è venuta con me». Praticamente, quindi, il figlio è nato sulle due ruote. Adesso Giacomo ha 14 anni e pretende il motorino. Ma il padre non è tanto d’accordo. Come fa un genitore che fuma a dire al proprio ragazzo di non fumare? « un’altra cosa. Non immagina quante volte Giacomo si sia addormentato sulla BMW... Lo andavo a prendere a scuola, mettevo una copertina sul serbatoio e quando arrivavamo a casa dormiva. Ma se deve guidare lui è un altro discorso: là fuori è una giungla, la città è pericolissima». Ma se ha detto che faceva le gimkane con la Vespa, che cambiavate guida in corsa... «Lo facevamo in un parcheggio, non per strada. E le velocità oggi sono diverse. Adesso per ammazzare una persona non c’è bisogno del porto d’armi, basta non mettere una freccia. Anche se una volta a Giacomo ho dato il brutto esempio. Eravamo in ritardo. Gli ho detto: ”Tieniti”. All’arrivo mi fa: ”Papà, tu guidi anche così?”». La risposta è no (tranne eccezioni). Noi ci siamo montati con Enrico Lo Verso. E la sua guida è calma, rilassatissima. Dice: «Quando vado a cambiare le gomme mi prendono in giro: ”Ma tu vai solo sulla strada dritta?”». Qualche pazzia l’avrai pure fatta, insomma? «Prima di conoscere Elena, giocando a dama, mi sono scolato una bottiglia di whisky. Poi ho accompagnato un’amica a casa attraversando tutta Roma. Ero completamente ubriaco ma andavo pianissimo: mi rendevo conto di avere i tempi di reazione rallentati». Dopo 15 anni non ha voglia di tradire la K 100? «Come minimo le devo ancora un viaggio: da Pachino, il punto più a sud della Sicilia, a Capo Nord in due mesi. Appena avrò un giugno e un luglio liberi parto. Sono già d’accordo con un po’ di amici. L’andata la facciamo in linea retta. Il ritorno, costa per costa. Il mio meccanico, comunque, mi dice sempre di non venderla mai. E poi, quando ho detto a mio figlio che quasi quasi volevo cambiarla con una BMW nuova, mi ha folgorato: ”No, tienila. Questa la prendo io quando sarò grande”». A Giacomo ha trasmesso uno dei suoi sogni insomma... «Il motorino, infatti, alla fine glielo comprerò. Prima però deve fare pratica con me».