Moreno Pisto su Riders n. 4 - Dicembre 2007 Gennaio 2008, 28 aprile 2008
Stefano
Poche storie: Stefano Accorsi è a dir poco fortunato. I motivi? Almeno tre. Primo: vive a Parigi. Secondo: è un attore affermato che guadagna molto bene. Terzo: sta insieme a una delle donne più affascinanti che madre Natura abbia messo al mondo, Laetitia Casta. Lui, di questo, ne deve essere consapevole. Perché non fa niente, assolutamente niente per apparire la star italiana costretta a scappare all’estero ”per fare la spesa al supermercato senza essere fermato”. Quando arriva a Pigalle, nella zona rossa parigina dove ci siamo dati appuntamento, si intuisce che si è francesizzato a pieno. Pare che del look non gliene freghi molto: ha i capelli arruffati, un giaccone anni Ottanta e pantaloni larghi. Della moto invece gliene importa eccome. Dopo i saluti e un caffè di rito ci presenta orgoglioso la sua KTM 990 Adventure con tanto di lucchetto («A Parigi non si può vivere senza, te la rubano in un secondo») e di bauletto: «Serve per i viaggi; uno su tutti Bologna-Parigi da solo, dopo cinque minuti che c’ero sopra la guardo e le dico: ”E ora io e te stiamo insieme per almeno 10-12 ore”». Da lì a Place de La Concorde, set degli scatti di questo servizio, ci porta lui: il suo stile di guida è disciplinato, anche se ogni tanto si diverte ad aprire il gas in piena città e non si fa mancare qualche corsia preferenziale. Dopo lo shooting ci sediamo al bar dell’Hotel de Crillion e cominciamo l’intervista tra una spremuta d’arancia, un succo all’ananas e piselli al Wasabi. Dovevamo parlare solo di moto. Invece siamo finiti a discutere anche di politica, del rapporto tra Chiesa e pedofilia e, ovviamente, del terzo e decisivo motivo che lo rendono uno degli uomini più fortunati al mondo: Laetitia Casta. Allora, la prima moto? «Fantic Caballero a 14 anni. Un colpo di fulmine, ma non era un gran pezzo di motore. Ha avuto vita breve: si è riempito di sabbia. Troppa spiaggia. Non quella di Rimini e Riccione, non sono mai stato tipo da quei posti lì. Un po’ più su, in provincia di Ferrara. Il Caballero mi ha fatto capire la vera essenza della moto: essere totale. Se decido di girare a destra e trovo lo sterrato deve essere capace di farmi andare sullo sterrato, se giro a sinistra e trovo la strada, deve farmi andare sulla strada. La mia moto, qualsiasi terreno ci sia, me lo deve far percorrere». Dopo il Fantic? «Il mitico Sì, che mi ha accompagnato nelle nottate di nebbia a visibilità zero che facevo per tornare a casa, in campagna, dopo le serate del sabato a Bologna. Poi le disavventure scolastiche mi hanno costretto ad allontanarmi dalle due ruote. L’ho ritrovate con uno Zip Piaggio e poi, a 26 anni, con una Ducati Supersport 600». Moto da strada. «Infatti, era un po’ scomoda per i miei gusti. Così, poco dopo, mi sono preso una Yamaha XT600 e poi una Brutale: semplicemente meravigliosa, una linea copiatissima. Ma alla fine ho sentito il bisogno di tornare alla ”moto totale”. E a marzo ho preso questa KTM. Va benissimo sullo sterrato di montagna, in due, in autostrada è veloce. una vera moto totale». Non è un tipo da BMW insomma… «Il suo avantreno particolare (Telelever). Non mi convince del tutto. Io amo sentire la strada e la reazione della moto al fondo che cambia». Pro o contro gli scooter? «A Parigi è esploso il mercato dei 125. Chi li usa, spesso, sono persone che non hanno mai avuto una moto e che dicono: ”Io con la macchina divento pazzo, ho bisogno di avere un mezzo che mi consenta di fare come cazz me pare” (dice proprio così: come cazz me pare). Quindi sfogano tutta la frustrazione degli automobilisti e guidano come dei pazzi. Io trovo che chi ha la patente per la moto sia più prudente: per l’esperienza che ha della strada o solo perché è caduto almeno una volta o conosce qualcuno che è caduto. Faccio un esempio». Prego… «A Roma, l’unica volta che sono caduto è successo per distrazione. Stavo facendo un percorso che conosco a memoria. L’auto davanti ha frenato, io me ne sono accorto dopo e sono scivolato. Dietro di me c’era un motociclista che aveva capito tutto, ha rallentato e mi ha fatto da scudo per gli altri che stavano arrivando. Se non era un motociclista non so come sarebbe finita». Conseguenze? «Solo qualche sbucciatura». La cosa più folle fatta in moto? «Testacoda e sgommate sulla spiaggia, schizzate d’acqua ovunque. Sono anche caduto ora che ci penso, una di quelle cadute che ti puoi infilare lo sterzo nel fegato». Impennate? «Non ho mai imparato. Però sono stato nel circuito di Imola con una Ducati. La prima volta che ho toccato il ginocchio per terra è stato fighissimo. Ero davvero felice». Una volta ha ammesso di aver provato hashish e marijuana. Ha mai guidato sotto effetto di droghe? «No. Ma dopo aver bevuto sì. Immediatamente divento meno prudente, ho un senso di euforia che mi porta a dare più gas. Lascio andare di più la ruota dietro e arrivo in frenata sgommando un po’». Mentre guida cosa fa? «Rifletto, parlo, canto. Oppure ascolto la musica». i-Pod sotto il casco? «Sì. Subsonica, Capossela, Paolo Conte, Pino Daniele e i Radiohead, che continuano a essere un mio punto di riferimento». Ha vissuto a Bologna, a Roma e a Parigi: quali sono le differenze tra i vari tipi di motociclisti? «A Bologna sono tutti molto sereni mentre a Roma nessuno si stupisce se sali sul marciapiede. A Parigi, questa mattina, ho lasciato attraversare una signora che scendeva dall’autobus, lei mi ha guardato con un sorriso come a dire: ”Era il minimo…”. Il motociclista francese, però, non conosce stagioni: guida d’inverno come d’estate. una questione di mentalità. Qui, quando piove, la gente cammina senza ombrello. Si bagna, semplicemente». Qual è la prima cosa che guarda in una moto? «Il colpo d’occhio, la linea. La coniugazione tra aspetto estetico e praticità. E poi il calore che emana. La moto è sensualità. Un po’ come le donne: possono essere belle quanto ti pare, ma se non sono sensuali e non hanno personalità non mi attraggono». A proposito di donne, Laetitia guida? «Sta sempre dietro. Mi piace perché appena sale comincia a cantare. Quando smette significa che mi devo fermare per una pausa. Succede più o meno ogni ora e mezza». Il 20 febbraio, in Francia, esce il primo film che avete girato insieme (La Jeune fille et les loups, la ragazza e i lupi). Come è stato recitare con lei? «Facile, è andato tutto molto liscio». Non c’è stata la crisi post-film? «Sono dell’idea che un film può accentuare una crisi già esistente. Ma non la crea, se non c’era in partenza. Io e Laetitia siamo una coppia normale, che litighiamo e poi facciamo pace. Non siamo mai arrivati al punto di lasciarci». Ha sempre detto di conservare molte amicizie dall’adolescenza. Cosa hanno detto gli amici del bar quando è tornato e ha annunciato: «Sto insieme alla Casta»? (Ride). «Eh, qualche parolaccia è volata, ma erano insulti affettuosi. Sì, affettuosi è la parola giusta». Però continuate a non sposarvi, nonostante Orlando (il figlio di 15 mesi). «Quando ci sposeremo faremo un annuncio. Comunque se mi sposerò lo farò per una questione emotiva, non legale né tantomeno perché abbiamo un figlio». In Francia potete fare un Pacs. «In Italia no. Lo trovo assurdo». In Francia c’è Nicolas Sarkozy, è apprezzato anche da noi. «In Francia, sia a destra sia a sinistra, ci sono professionisti che lavorano per il bene del Paese. Da noi no». Non ha mai nascosto di essere di sinistra. «Sì, e dico che Romano Prodi è un grande statista. Come lo sarà Veltroni». Si sbilancia così tanto? «Secondo me Prodi ha un grande senso civico, è pragmatico e ha un profondo rispetto per le istituzioni. Sta cercando di rimettere in moto l’economia, pensa alle fasce più deboli. Non so come faccia a starsene lì con la sinistra estrema che lo provoca, Berlusconi che ogni giorno parla di spallata e i vari Mastella e Di Pietro. E poi è uno dei pochi politici italiani che va al di là della compiacenza, non fa come qualche populista di sinistra che dice cose solo per raccogliere voti». Nel suo campo anche lei non è popolarissimo tra i critici: dicono che non sa recitare. «Non ho niente da dire. un problema loro». A febbraio, in Italia, debutterà con uno spettacolo teatrale a cui crede molto. intitolato Il dubbio e parla del delicatissimo rapporto tra Chiesa e pedofilia… «Il protagonista è Padre Flynn, un prete accusato di pedofilia. Ma non si capirà se le accuse che gli vengono rivolte sono vere oppure no. un testo raffinato, struggente. La regia è di Sergio Castellitto. In Francia era di Roman Polanski». Il dubbio è un titolo rischioso. Sembra quasi che sia in dubbio la condanna della pedofilia. «No, nella maniera più assoluta. Il dubbio riguarda la colpevolezza del protagonista, non il giudizio sul reato. La pedofilia mi fa orrore». Che rapporto c’è secondo lei tra Chiesa e pedofilia? «Mio padre, da piccolo, frequentava una parrocchia con un prete che toccava i bambini. Mi ha raccontato che un giorno un altro prete è arrivato e gli ha tirato un pugno in faccia. Il perché lo sapevano tutti. Voglio dire: il problema della pedofilia, nella Chiesa, c’è da tempo». E la soluzione? «Si trova affrontando la questione. Le autorità ecclesiastiche non si possono nascondere dietro al diritto canonico. Se vengono dimostrate le molestie a un minore il colpevole deve pagare come se non fosse un uomo di Chiesa». Dopo una rappresentazione così forte cosa le piacerebbe fare? «Una commedia». Dall’impegno alla leggerezza. «Sì, con Stefania Sandrelli, e la regia di Paolo Virzì. Magari in moto. In effetti non ho mai recitato su una moto. Sarebbe anche l’ora».