Sergio Romano, Corriere della Sera 27/4/2008, 27 aprile 2008
Due sindaci di sinistra – Sergio Cofferati e Massimo Cacciari – propongono la nascita di un Partito democratico del Nord
Due sindaci di sinistra – Sergio Cofferati e Massimo Cacciari – propongono la nascita di un Partito democratico del Nord. Walter Veltroni sostiene invece che il partito debba continuare ad avere carattere nazionale. Altri osservano che esistono in Italia, come in diverse nazioni europee, partiti regionali (la Lega, l’Svp della provincia di Bolzano e l’Union Valdôtaine) che mandano i loro rappresentanti al Parlamento nazionale. Ma non esistono e non dovrebbero esistere partiti nazionali che si spogliano delle loro funzioni in una parte del Paese per lasciarle a un partito fratello. Non è esatto. Come viene ricordato in occasione di ogni elezione tedesca vi sono nella Repubblica Federale di Germania due Democrazie cristiane: la Cdu nazionale di Angela Merkel e la Csu bavarese. Nei 59 anni passati dalla costituzione dello Stato tedesco le due Dc si sono spesso punzecchiate, soprattutto quando il leader del partito bavarese era Franz Josef Strauss, personaggio sanguigno, intemperante, controverso e tuttavia ciecamente amato dai suoi elettori. Complessivamente però la collaborazione ha funzionato e ha regalato al Paese, insieme ad altri fattori, governi lunghi e stabili. Perché non dovrebbe accadere anche in Italia? Prima di rispondere alla domanda, tuttavia, occorre ricordare le ragioni per cui i bavaresi hanno la loro Dc, diversa da quella del resto del Paese. La Baviera fu per molto tempo, dopo la Prussia, il più importante regno germanico e conservò alcune caratteristiche della sovranità (il re, la presenza di un corpo diplomatico straniero nella sua capitale) sino al 1918. Si potrebbe sostenere quindi che l’esistenza di due partiti democristiani in Germania rifletta le particolari circostanze dell’unificazione tedesca. Mentre il Piemonte sconfisse gli Stati preunitari e li cancellò dalla carta geografica, Bismarck persuase i sovrani tedeschi a unirsi sotto il primato della Prussia in una sorta di confederazione. Una situazione simile avrebbe potuto verificarsi anche da noi se il re di Napoli o il Granduca di Toscana avessero accettato il primato dei Savoia, ma conservato contemporaneamente un ruolo, sia pure minore, nell’ambito del nuovo Stato italiano. Avremmo avuto alla Camera dei deputati, probabilmente, una corrente dei liberali napoletani o toscani, uniti da un patto di collaborazione con i rappresentanti liberali del resto della penisola. Non li abbiamo avuti perché il Risorgimento rinunciò alla prospettiva confederale e imboccò risolutamente la strada francese dell’Italia «una e indivisibile». Non basta. Il partito del Nord, se esistesse, rappresenterebbe una regione – la Padania – che non ha mai avuto, se non per brevissimi periodi, una configurazione statale. Il Pd del Nord appare quindi, a prima vista, ingiustificato e privo di qualsiasi legittimità storica. Eppure, il fatto che a qualcuno sia passato per la mente di avanzare una tale proposta è indice delle condizioni in cui è oggi lo Stato italiano. Alcuni esponenti del Pd hanno capito che la Lega non è facilmente classificabile con le solite categorie tradizionali (destra e sinistra) della politica nazionale. Vuole rappresentare gli interessi del Nord e riesce ad attrarre voti provenienti da ceti sociali diversi. D ue sindaci di sinistra – Sergio Cofferati e Massimo Cacciari – propongono la nascita di un Partito democratico del Nord. Walter Veltroni sostiene invece che il partito debba continuare ad avere carattere nazionale. Altri osservano che esistono in Italia, come in diverse nazioni europee, partiti regionali (la Lega, l’Svp della provincia di Bolzano e l’Union Valdôtaine) che mandano i loro rappresentanti al Parlamento nazionale. Ma non esistono e non dovrebbero esistere partiti nazionali che si spogliano delle loro funzioni in una parte del Paese per lasciarle a un partito fratello. Non è esatto. Come viene ricordato in occasione di ogni elezione tedesca vi sono nella Repubblica Federale di Germania due Democrazie cristiane: la Cdu nazionale di Angela Merkel e la Csu bavarese. Nei 59 anni passati dalla costituzione dello Stato tedesco le due Dc si sono spesso punzecchiate, soprattutto quando il leader del partito bavarese era Franz Josef Strauss, personaggio sanguigno, intemperante, controverso e tuttavia ciecamente amato dai suoi elettori. Complessivamente però la collaborazione ha funzionato e ha regalato al Paese, insieme ad altri fattori, governi lunghi e stabili. Perché non dovrebbe accadere anche in Italia? Prima di rispondere alla domanda, tuttavia, occorre ricordare le ragioni per cui i bavaresi hanno la loro Dc, diversa da quella del resto del Paese. La Baviera fu per molto tempo, dopo la Prussia, il più importante regno germanico e conservò alcune caratteristiche della sovranità (il re, la presenza di un corpo diplomatico straniero nella sua capitale) sino al 1918. Si potrebbe sostenere quindi che l’esistenza di due partiti democristiani in Germania rifletta le particolari circostanze dell’unificazione tedesca. Mentre il Piemonte sconfisse gli Stati preunitari e li cancellò dalla carta geografica, Bismarck persuase i sovrani tedeschi a unirsi sotto il primato della Prussia in una sorta di confederazione. Una situazione simile avrebbe potuto verificarsi anche da noi se il re di Napoli o il Granduca di Toscana avessero accettato il primato dei Savoia, ma conservato contemporaneamente un ruolo, sia pure minore, nell’ambito del nuovo Stato italiano. Avremmo avuto alla Camera dei deputati, probabilmente, una corrente dei liberali napoletani o toscani, uniti da un patto di collaborazione con i rappresentanti liberali del resto della penisola. Non li abbiamo avuti perché il Risorgimento rinunciò alla prospettiva confederale e imboccò risolutamente la strada francese dell’Italia «una e indivisibile». Non basta. Il partito del Nord, se esistesse, rappresenterebbe una regione – la Padania – che non ha mai avuto, se non per brevissimi periodi, una configurazione statale. Il Pd del Nord appare quindi, a prima vista, ingiustificato e privo di qualsiasi legittimità storica. Eppure, il fatto che a qualcuno sia passato per la mente di avanzare una tale proposta è indice delle condizioni in cui è oggi lo Stato italiano. Alcuni esponenti del Pd hanno capito che la Lega non è facilmente classificabile con le solite categorie tradizionali (destra e sinistra) della politica nazionale. Vuole rappresentare gli interessi del Nord e riesce ad attrarre voti provenienti da ceti sociali diversi. D ue sindaci di sinistra – Sergio Cofferati e Massimo Cacciari – propongono la nascita di un Partito democratico del Nord. Walter Veltroni sostiene invece che il partito debba continuare ad avere carattere nazionale. Altri osservano che esistono in Italia, come in diverse nazioni europee, partiti regionali (la Lega, l’Svp della provincia di Bolzano e l’Union Valdôtaine) che mandano i loro rappresentanti al Parlamento nazionale. Ma non esistono e non dovrebbero esistere partiti nazionali che si spogliano delle loro funzioni in una parte del Paese per lasciarle a un partito fratello. Non è esatto. Come viene ricordato in occasione di ogni elezione tedesca vi sono nella Repubblica Federale di Germania due Democrazie cristiane: la Cdu nazionale di Angela Merkel e la Csu bavarese. Nei 59 anni passati dalla costituzione dello Stato tedesco le due Dc si sono spesso punzecchiate, soprattutto quando il leader del partito bavarese era Franz Josef Strauss, personaggio sanguigno, intemperante, controverso e tuttavia ciecamente amato dai suoi elettori. Complessivamente però la collaborazione ha funzionato e ha regalato al Paese, insieme ad altri fattori, governi lunghi e stabili. Perché non dovrebbe accadere anche in Italia? Prima di rispondere alla domanda, tuttavia, occorre ricordare le ragioni per cui i bavaresi hanno la loro Dc, diversa da quella del resto del Paese. La Baviera fu per molto tempo, dopo la Prussia, il più importante regno germanico e conservò alcune caratteristiche della sovranità (il re, la presenza di un corpo diplomatico straniero nella sua capitale) sino al 1918. Si potrebbe sostenere quindi che l’esistenza di due partiti democristiani in Germania rifletta le particolari circostanze dell’unificazione tedesca. Mentre il Piemonte sconfisse gli Stati preunitari e li cancellò dalla carta geografica, Bismarck persuase i sovrani tedeschi a unirsi sotto il primato della Prussia in una sorta di confederazione. Una situazione simile avrebbe potuto verificarsi anche da noi se il re di Napoli o il Granduca di Toscana avessero accettato il primato dei Savoia, ma conservato contemporaneamente un ruolo, sia pure minore, nell’ambito del nuovo Stato italiano. Avremmo avuto alla Camera dei deputati, probabilmente, una corrente dei liberali napoletani o toscani, uniti da un patto di collaborazione con i rappresentanti liberali del resto della penisola. Non li abbiamo avuti perché il Risorgimento rinunciò alla prospettiva confederale e imboccò risolutamente la strada francese dell’Italia «una e indivisibile». Non basta. Il partito del Nord, se esistesse, rappresenterebbe una regione – la Padania – che non ha mai avuto, se non per brevissimi periodi, una configurazione statale. Il Pd del Nord appare quindi, a prima vista, ingiustificato e privo di qualsiasi legittimità storica. Eppure, il fatto che a qualcuno sia passato per la mente di avanzare una tale proposta è indice delle condizioni in cui è oggi lo Stato italiano. Alcuni esponenti del Pd hanno capito che la Lega non è facilmente classificabile con le solite categorie tradizionali (destra e sinistra) della politica nazionale. Vuole rappresentare gli interessi del Nord e riesce ad attrarre voti provenienti da ceti sociali diversi.D ue sindaci di sinistra – Sergio Cofferati e Massimo Cacciari – propongono la nascita di un Partito democratico del Nord. Walter Veltroni sostiene invece che il partito debba continuare ad avere carattere nazionale. Altri osservano che esistono in Italia, come in diverse nazioni europee, partiti regionali (la Lega, l’Svp della provincia di Bolzano e l’Union Valdôtaine) che mandano i loro rappresentanti al Parlamento nazionale. Ma non esistono e non dovrebbero esistere partiti nazionali che si spogliano delle loro funzioni in una parte del Paese per lasciarle a un partito fratello. Non è esatto. Come viene ricordato in occasione di ogni elezione tedesca vi sono nella Repubblica Federale di Germania due Democrazie cristiane: la Cdu nazionale di Angela Merkel e la Csu bavarese. Nei 59 anni passati dalla costituzione dello Stato tedesco le due Dc si sono spesso punzecchiate, soprattutto quando il leader del partito bavarese era Franz Josef Strauss, personaggio sanguigno, intemperante, controverso e tuttavia ciecamente amato dai suoi elettori. Complessivamente però la collaborazione ha funzionato e ha regalato al Paese, insieme ad altri fattori, governi lunghi e stabili. Perché non dovrebbe accadere anche in Italia? Prima di rispondere alla domanda, tuttavia, occorre ricordare le ragioni per cui i bavaresi hanno la loro Dc, diversa da quella del resto del Paese. La Baviera fu per molto tempo, dopo la Prussia, il più importante regno germanico e conservò alcune caratteristiche della sovranità (il re, la presenza di un corpo diplomatico straniero nella sua capitale) sino al 1918. Si potrebbe sostenere quindi che l’esistenza di due partiti democristiani in Germania rifletta le particolari circostanze dell’unificazione tedesca. Mentre il Piemonte sconfisse gli Stati preunitari e li cancellò dalla carta geografica, Bismarck persuase i sovrani tedeschi a unirsi sotto il primato della Prussia in una sorta di confederazione. Una situazione simile avrebbe potuto verificarsi anche da noi se il re di Napoli o il Granduca di Toscana avessero accettato il primato dei Savoia, ma conservato contemporaneamente un ruolo, sia pure minore, nell’ambito del nuovo Stato italiano. Avremmo avuto alla Camera dei deputati, probabilmente, una corrente dei liberali napoletani o toscani, uniti da un patto di collaborazione con i rappresentanti liberali del resto della penisola. Non li abbiamo avuti perché il Risorgimento rinunciò alla prospettiva confederale e imboccò risolutamente la strada francese dell’Italia «una e indivisibile». Non basta. Il partito del Nord, se esistesse, rappresenterebbe una regione – la Padania – che non ha mai avuto, se non per brevissimi periodi, una configurazione statale. Il Pd del Nord appare quindi, a prima vista, ingiustificato e privo di qualsiasi legittimità storica. Eppure, il fatto che a qualcuno sia passato per la mente di avanzare una tale proposta è indice delle condizioni in cui è oggi lo Stato italiano. Alcuni esponenti del Pd hanno capito che la Lega non è facilmente classificabile con le solite categorie tradizionali (destra e sinistra) della politica nazionale. Vuole rappresentare gli interessi del Nord e riesce ad attrarre voti provenienti da ceti sociali diversi. Per battere la Lega occorre accettare il confronto sul suo terreno, ascoltare le lagnanze che hanno conferito popolarità alla sua linea politica e dare risposte diverse ma egualmente convincenti. Chi propone la creazione del Pd del Nord teme che il Partito democratico sia inevitabilmente costretto a pensare in termini nazionali e non riesca quindi a scalzare la Lega dalle posizioni che ha progressivamente conquistato in questi anni. Ma non sarebbe giunto a queste conclusioni se non avesse compreso che è inutile continuare a proclamare l’indivisibilità di un Paese in cui esistono livelli di vita, mentalità sociali e culture politiche così profondamente diverse. Abbiamo istituzioni nazionali, leggi nazionali, statistiche nazionali e partiti nazionali. Ma tutti sanno, anche se preferiscono dirlo sottovoce, che le leggi buone per il Nord non sono buone per il Sud e viceversa. Suppongo che lo sappia anche Walter Veltroni. Ma il leader del Partito democratico sa anche che il Pd del Nord, se esistesse e facesse coscienziosamente il suo mestiere, dovrebbe «pensare settentrionale» e dissentire dalla casa madre ogniqualvolta questa si considerasse obbligata a tenere conto di altri interessi regionali. E Veltroni, in tal modo, perderebbe rapidamente il controllo del partito nelle regioni più prospere del Paese. Ma non ha senso continuare a parlare di federalismo italiano senza ammettere che anche i partiti politici possano essere «federali».