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 2008  aprile 30 Mercoledì calendario

Come si compra la Casa Bianca. Panorama, mercoledì 30 aprile 2008 «Sono Barack Obama. Non accetto finanziamenti dalle compagnie petrolifere o dai lobbisti e non permetterò loro di fermare il cambiamento» dice in uno degli ultimi spot della sua campagna presidenziale il senatore nero americano, che per l’occasione si è fatto filmare davanti a una stazione di benzina

Come si compra la Casa Bianca. Panorama, mercoledì 30 aprile 2008 «Sono Barack Obama. Non accetto finanziamenti dalle compagnie petrolifere o dai lobbisti e non permetterò loro di fermare il cambiamento» dice in uno degli ultimi spot della sua campagna presidenziale il senatore nero americano, che per l’occasione si è fatto filmare davanti a una stazione di benzina. Peccato che due fra i suoi maggiori finanziatori dirigano aziende petrolifere, da cui vengono anche donazioni per oltre 200 mila dollari. Mentre 38 degli avvocati che lo finanziano sono anche lobbisti, che per fare pressioni su senatori e deputati del Congresso hanno guadagnato 138 milioni solo nel 2007. Cambiare forse si può, ma non su questo dettaglio cruciale: la Casa Bianca resta «in vendita», l’unica vera novità di queste presidenziali è il cartellino del costo, in costante aumento. Con oltre mezzo miliardo di dollari già raccolti solo dai tre candidati rimasti in corsa, quella del 2008 passerà alla storia non solo come la più costosa campagna elettorale americana, ma anche come il festival degli interessi particolari. Da quando ha ufficialmente conquistato la nomination repubblicana, persino John McCain, il più «povero» del gruppo, ha cominciato a calamitare l’attenzione di lobby che finora avevano dirottato i loro soldi sui democratici, convinte di una loro vittoria. A puntare su McCain è soprattutto l’industria delle telecomunicazioni, che può contare su referenti come Tom Loeffler, coordinatore della raccolta di fondi per il senatore dell’Arizona, un lobbista che tra l’altro ha lavorato per l’At&t. « necessaria una riforma etica» tuona ogni tanto Rick Davis, che dirige la campagna di McCain. Omette di dire che anche lui è un ex lobbista, ha rappresentato il gigante della telefonia Verizon. Ha ammesso invece di avere chiamato i suoi clienti anche dallo Straight talk express, celebre autobus della campagna di McCain, il consigliere Charlie Black, che tra i suoi clienti passati annovera Lockheed Martin e Us Airways. Hillary Clinton ha messo da parte per conflitto di interessi lo stratega Mark Penn, che mentre dirigeva la sua campagna non aveva mai abbandonato il colosso della comunicazione Burson Marsteller, di cui è amministratore delegato. Però, se veramente volesse fare pulizia tra le sue file, la senatrice democratica dovrebbe mettere alla porta buona parte del suo staff. Lobbisti sono anche Maggie Williams, attuale direttore della campagna, e il direttore della comunicazione Howard Wolfson. E mentre Hillary rifiuta soldi dalla Wal-Mart, criticata per la durezza nei rapporti coi dipendenti, a lavorare per lei in Pennsylvania c’è il più importante lobbista al servizio del colosso dei supermercati. Il suo nome è Tony Podesta. Fratello dell’ex capo di staff della Casa Bianca di Bill Clinton, Podesta l’anno passato ha incassato 12 milioni da clienti come la Cigna, una delle compagnie di assicurazioni che guardano preoccupate alla riforma sanitaria invocata dalla candidata democratica. Hillary chiama i suoi grandi donatori «Hillraisers», dell’elenco fanno parte molti tra i milionari che diedero soldi a suo marito e sanno di poter contare sulla riconoscenza della futura presidente. Dopotutto, ai tempi dei Clinton la Casa Bianca era diventata una sorta di hotel esclusivo riservato ai finanziatori democratici: 831 passarono almeno una notte premio nella storica camera da letto una volta occupata dal presidente Abraham Lincoln. Anche tra i repubblicani, peraltro, puntare soldi sui candidati presidenziali conviene: almeno 100 grandi finanziatori di George W. Bush nel 2000 e nel 2004 hanno occupato un posto nelle sue due amministrazioni. E 23 tra loro sono diventati ambasciatori nelle sedi diplomatiche più ambite, da Roma a Londra, a Parigi e Vienna. Più difficile è stabilire un rapporto diretto tra finanziamenti e favori politici di rilievo maggiore delle semplici nomine. «L’intreccio dei rapporti di potere è ormai talmente aggrovigliato, e bipartisan, da impedire di tracciare una chiara linea di collegamento tra finanziamenti e leggi favorevoli a un certo gruppo di pressione» dice Josh Israel, autore del rapporto La vendita del presidente per il Center for public integrity di Washington. Il centro ora sta indagando sulle ragioni che hanno indotto John McCain, il candidato che prende di più dai petrolieri, a chiedere una moratoria estiva per la tassa federale sulla benzina. Spiega Israel: «Certo è che tutte le leggi sul finanziamento finora approvate non hanno impedito a chi vuole influenzare la Casa Bianca di provarci». Secondo Barack Obama, che si avvia a frantumare il record di 274 milioni raccolti da Bush nel 2004, a cambiare le cose potrebbe essere internet. « come un finanziamento pubblico parallelo» ama dire il candidato. La verità è che solo metà dei 235 milioni da lui finora dichiarati viene dalle piccole donazioni di quanti si collegano al web. Il resto proviene da 79 «bundler», ovvero grandi aggregatori di donazioni, tra cui cinque miliardari, ognuno dei quali ha raccolto almeno 200 mila dollari. Dell’elenco fanno parte 18 tra i maggiori studi legali e 21 grandi manager di Wall Street: a coordinare la raccolta è Penny Pritzker, ereditiera della dinastia proprietaria degli hotel Hyatt. Il meccanismo è lo stesso collaudato con successo proprio da Bush, che a chi raccoglieva di più regalava una fibbia per la cintura con la scritta «pioniere» o «ranger». Ogni settimana i grandi donatori di Obama possono partecipare a riunioni con i dirigenti della campagna. Ogni due mesi discutono direttamente col candidato della sua strategia per arrivare alla Casa Bianca. Tra i miliardari in preda a obamamania c’è Kenneth Griffin, manager dell’hedge fund Citadel, che in passato aveva donato la maggior parte dei suoi finanziamenti ai repubblicani. Stavolta il giovane paperone di Chicago, che solo nel 2007 si è portato a casa 1,5 miliardi di dollari di stipendio, punta con decisione sul senatore nero, a cui ha cominciato a donar soldi mentre ingaggiava un gruppo di lobbisti incaricato di difendere un beneficio fiscale fondamentale per gli hedge fund. Per ora Obama s’è pubblicamente opposto alla proposta, ma Griffin non dispera. Dopotutto, del gruppo dei grandi finanziatori fa parte James Crown, direttore della General Dynamics, una delle maggiori aziende fornitrici del Pentagono, che ha beneficiato almeno una volta per una delle sue commesse delle attenzioni del senatore nero in Senato. Obama ha già dovuto difendersi in passato da accuse di conflitto di interessi ben più pesanti, come nel caso dei finanziamenti che gli sono arrivati dal costruttore Tony Rezko, ora sotto processo per corruzione. Ma nonostante questo il senatore dell’Illinois sembra deciso a rompere la promessa fatta mesi fa, quella di rinunciare ai soldi dei privati dopo la nomination, e di usare solo gli 84 milioni del finanziamento pubblico, se altrettanto avesse fatto il candidato repubblicano. Mentre John McCain pare intenzionato ad accettare l’offerta, Obama ora critica il finanziamento pubblico affermando che si tratta di un sistema pieno di difetti. «La realtà è che Obama sa di potere raccogliere molti più soldi fra i privati» puntualizza Israel, facendo anche notare che dai tempi del Watergate tutti i candidati alla presidenza hanno accettato il finanziamento: nel 2000 e nel 2004 pure Bush. Sarebbe ironico che a fare tornare l’America al passato fosse proprio Obama, il candidato del cambiamento. Marco De Martino