La Stampa 24 aprile 2008, Luigi La Spina, 24 aprile 2008
MALATTIA DI BANDIERA
La Stampa 24 aprile 2008
A questo punto, l’unica speranza è che finisca presto anche la campagna elettorale per il sindaco di Roma e si possa, sul caso Alitalia, fare i conti con la realtà. Dopo settimane di accuse, promesse, in un cinico scarico di responsabilità tra governi, partiti, sindacati, manager, l’unica cosa chiara è stata anche la più prevedibile: ancora una volta i soldi dei contribuenti italiani sono stati usati per finanziare un’azienda decotta, serbatoio, da decenni, di clientele politiche e sindacali. Questa volta, però, si è unito un dettaglio che aggiunge al danno persino il gusto della beffa: i trecento milioni del «prestito», si fa per dire, concesso all’azienda sono stati prelevati da un fondo ministeriale che si intitola «per l’innovazione e la ricerca».
Non c’è bisogno di grande sapienza interpretativa per capire che cosa è successo. Berlusconi ha chiesto al governo uscente di raddoppiare il denaro stanziato per avere il tempo di convincere un gruppo di industriali a partecipare alla cordata patriottica per salvare Alitalia.
Veltroni e Rutelli hanno voluto evitare che si arrivasse al fallimento di un’azienda importante per l’economia della capitale, proprio quando si decide il nome del suo primo cittadino. Prodi, così, ha potuto imputare al suo successore a Palazzo Chigi la responsabilità di questo allargamento dei cordoni della borsa statale, accusandolo di aver subito tradito la promessa elettorale di «non mettere le mani nelle tasche degli italiani».
In attesa del parere europeo sull’ammissibilità di questo finanziamento all’Alitalia, gabellato, con la solita italica furberia, come necessario «per l’ordine pubblico», ieri, si è cominciata a palesare qualche disponibilità di imprenditori nostrani alla partecipazione del salvataggio. Salvatore Ligresti è sembrato il più impegnato nell’impresa, ma anche altri, da Tronchetti Provera a Polegato, hanno espresso la speranza che ci siano le condizioni per associarsi. Vedremo se, e a quali condizioni, la cordata italiana riuscirà a formarsi. Augurandoci, naturalmente, che l’eventualità si realizzi, è opportuno, però, ribadire che non basta la volontà di alcuni imprenditori di rispondere all’appello di Berlusconi e neanche che le banche siano pronte a finanziare l’operazione. L’unico requisito essenziale a qualsiasi ipotesi di intervento è quello di trovare una grande compagnia internazionale disposta a un accordo industriale con Alitalia.
Il vero problema della nostra compagnia di bandiera non è quello del pletorico e, in alcuni casi, inefficiente numero di addetti. Se fosse così, basterebbero dolorosi ma inevitabili tagli al personale per risolverlo. Neanche l’arroganza delle corporazioni sindacali che, di fatto, hanno cogestito l’azienda negli ultimi anni costituisce più un vincolo preoccupante: l’essere stati corresponsabili del fallimento ha tolto a tal punto la loro credibilità nei confronti degli stessi dipendenti Alitalia da alimentare i chiari segnali di rivolta e di delegittimazione che si sono manifestati clamorosamente in questi giorni. L’insuperabile ostacolo contro il quale si sono frantumati i volenterosi tentativi di salvataggio degli ultimi responsabili dell’azienda è rappresentato, invece, dalla condizione della flotta, assolutamente non più competitiva sul mercato.
L’obsolescenza degli aerei Alitalia, infatti, è tale da rendere il confronto dei consumi con i mezzi più moderni, in un periodo di costi del carburante drammaticamente crescenti, del tutto assurdo: si arriva, per alcune tratte, persino a dover triplicare la necessità di combustibile rispetto alla concorrenza. Le condizioni finanziarie dell’azienda non hanno consentito di programmare investimenti per l’ammodernamento della flotta e, ora, è troppo tardi per farlo. Nel mondo, esistono ormai due sole fabbriche che costruiscono aerei, la Boeing e l’Airbus. Tutte e due le società, per 6-7 anni, hanno totalmente esaurita la loro capacità produttiva per l’affollamento delle commesse ricevute. , dunque, assolutamente necessaria un’intesa con una grande compagnia internazionale che fornisca, attraverso affitto, cessione o prestito, aerei più moderni all’Alitalia.
Il superamento di questa disastrosa condizione industriale è il vincolo fondamentale se si vuole raggiungere l’obiettivo non di prolungare, a spese di tutti gli italiani, un’agonia che è già costata così tanto. Ma di permettere alla nuova Alitalia, con qualsiasi cordata, con qualsiasi finanziamento, di restare, anzi, di diventare competitiva sul mercato internazionale. Altrimenti, è inutile evocare patriottismi retorici, perché le strade resterebbero solo due: il fallimento o la riduzione, nel caso più favorevole ma anche meno probabile, della nostra compagnia di bandiera a un vettore regionale. Peraltro, con scarse prospettive di sopravvivenza per aziende del genere, in un futuro che si preannuncia, soprattutto per loro, molto difficile.
Prima o poi, quando il polverone politico-elettoral-sindacale si abbasserà, si dovranno fare i conti con il mondo reale e non con quello virtuale nel quale siamo stati immersi in queste settimane. Ecco perché una vicenda drammatica come il caso Alitalia si potrebbe anche concludere con un epilogo-farsa: ricominciando dal punto di partenza, dalla Air France.
Luigi La Spina