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 2008  aprile 20 Domenica calendario

Pd? La Lega delle regioni ex Pci. Il Sole 24 Ore 20 aprile 2008 E se il Partito democratico fosse ormai una Lega del centro-Italia? Una forza politica che continua a parlare solo a quel pezzo di Paese radicato nella tradizione ex-Pci e fermo su un modello sociale ed economico del tutto particolare

Pd? La Lega delle regioni ex Pci. Il Sole 24 Ore 20 aprile 2008 E se il Partito democratico fosse ormai una Lega del centro-Italia? Una forza politica che continua a parlare solo a quel pezzo di Paese radicato nella tradizione ex-Pci e fermo su un modello sociale ed economico del tutto particolare. Quello che Stefano Draghi, lo storico "mago rosso" dei numeri, definisce «il luogo del compromesso ragionevole tra politica e piccole e medie aziende nato proprio con la gestione rossa di quei territori». In pratica, è la tesi dello studioso milanese, «le imprese hanno riconosciuto un ruolo egemone alla politica in cambio di funzioni e servizi per lo sviluppo: al Nord tutto questo non c’è stato perchè la sinistra è rimasta ancorata a un modello economico di grandi imprese e di conflitto. Fu solo il Psi, 20 anni fa, a capire per primo che la nuova forza economica era il terziario, quello che oggi è il mondo delle piccole imprese e delle partite Iva. Mondo rispetto al quale il Pd è ancora lontano». Ma Draghi (ex Pci, Ds ora Pd) – docente di metodologia della ricerca sociologica all’Università di Milano – dissente dalla lettura di un Pd-Lega di Centro. Vede una geografia un po’ più complessa di quella frettolosamente raccontata dai numeri. Che pure hanno un senso. Effetto Veltroni nel Lazio Se si guardano con gli occhi di Nando Pagnoncelli, amministratore delegato dell’Ipsos, questa caratterizzazione "centrale" c’è: «il Pd cresce più che altrove – del 2,4% – proprio nelle regioni rosse anche se con qualche distinguo: in Emilia dello 0,9%; in Toscana del 3,6%; in Umbria del 5,2 e nelle Marche del 2,3 per cento». Pagnoncelli sottolinea «l’exploit del Lazio, dovuto all’effetto Veltroni, che fa aumentare i consensi del centro-Sud del 4,1% nonostante le perdite in Molise e Abruzzo. Nel complesso il Pd prende un 1,9% in tutta Italia, un 1,4% al Nord-Ovest; uno 0,8% nel Nord-Est e un 1,6% al Sud e Isole. Non cambia, dunque, la geografia politica, resta una territorializzazione tipica del consenso ma vanno precisate alcune specificità locali». Milano: democratici al 30% Una delle specificità è l’Emilia con quel piccolo 0,9% in più di consensi e «con l’avanzata della Lega del 3,8%», fa notare Pagnoncelli. Ed è la vicenda emiliana su cui Draghi insiste per raccontare di un Pd più sfumato territorialmente. «Non vedo molta differenza tra il 36% del Pd in Piemonte e il 45% dell’Emilia o il 39% del Lazio. Bisogna, invece, guardare all’Emilia dove il 36% è andato al centro-destra: si capisce che è finita, che non ci sono più le egemonie bulgare. Perchè se le partite Iva aumentano in Emilia, cambia anche la mappa del consenso. Diventa tutto più articolato. A Milano, per esempio, il Pd è arrivato al 30%: c’è più distanza tra Milano e Sondrio che non con Bologna». E con questi esempi si arriva a una prima conclusione: quella dei due «cleavage», come li chiama il "mago rosso". «Il primo è tra aree metropolitane e piccoli centri. Il Pd è debole in provincia perchè non ha più struttura. In quei posti chi ha una rete capillare è solo la Lega e questo spiega il suo successo. L’altro cleavage è tra lavoro dipendente e lavoro autonomo». Fallito il patto tra produttori Di nuovo le partite Iva. Di nuovo torna un Pd troppo identificato con il sindacato, con il lavoro protetto, dipendente e statale. Eppure Walter Veltroni ha tentato di connotare il Pd come il partito del lavoro e dell’impresa mettendo in campo i nomi di Massimo Calearo e Roberto Colaninno. Un’Opa sul voto moderato che non è riuscita, a giudizio di Piergiorgio Corbetta, direttore di ricerca dell’Istituto Cattaneo. «Direi che le elezioni dimostrano il fallimento di questa strategia. Il Pd è apparentemente fermo. In realtà c’è stato un movimento sommerso di voti: ne ha presi dalla sinistra e ne ha ceduti al centro. L’esatto opposto della strategia veltroniana. Tenga conto che 2 milioni 400mila sono i voti persi dalla sinistra e che il Pd ha guadagnato 100mila voti: dietro a questa finta stasi c’è stato il cedimento al centro e l’assorbimento di parte della lista Arcobaleno». Dunque, un soccorso Rosso che ha compensato la fuga del voto moderato. quello che appare anche nelle analisi di Pagnoncelli. «Il Pd ha preso solo l’81% dei voti dell’Ulivo: il resto è arrivato da da Rifondazione e dalle liste minori, solo tra il 2 e 3% da Udc e An. Una parte di quella fuga del centro è andata all’astensione, che ha sottolineato la delusione per il Governo Prodi anche se Veltroni è riuscito a limitare i danni». E se i moderati non scommettono sul Pd, questo accade al Nord come al Sud. «Gli elettori del Nord non affidano più la questione settentrionale a Berlusconi ma a Bossi: il Pdl, infatti, perde un milione di voti. il Sud che si affida a Berlusconi. Ed è il Sud – spiega Corbetta – dove ha perso il Pd, in regioni come la Calabria, la Sicilia». Le tre Italie Si arriva alla geografia politica delle tre Italie disegnata da Draghi. Quella dove, appunto, si vede un Pd-Lega del centro ex Pci. «C’è La Padania, l’Italia Rossa e il Sud. Tutte e tre hanno meccanismi di vittoria-sconfitta del tutto diversi: in meridione valgono ancora il clientelismo e il passaparola. Esistono quelli che Paolo Segatti chiama i "tour operator" del voto. Al Nord il consenso è più individualistico». Questo spiegherebbe anche la distanza tra aree metropolitane e piccoli centri: la differenza di un Pd più forte nelle città come Torino e Milano dove riesce a infiltrarsi e più debole nell’hinterland dove non ha struttura e interlocutori politici. Infine c’è l’Italia Rossa «quella dove resiste una tradizione e un modello culturale», ci spiega Stefano Draghi che anche a queste elezioni ha dimostrato di essere il mago rosso dei numeri. «Avevo capito da domenica sera che il Pd perdeva. Bastava guardare il grafico delle affluenze a livello provinciale. Si vedeva subito che l’astensione era più alta nelle province dove il centro-sinistra era più forte». la statistica che coglie i numeri. Alla politica tocca scomporli. Lina Palmerini