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 2008  aprile 23 Mercoledì calendario

La cattedrale di Michelin. Avvenire, mercoledì 23 aprile Ho 81 anni, sono sposato da 56 anni e ho «ricevuto» sei figli con la missione di aiutarli a diventare ciò per cui so­no nati

La cattedrale di Michelin. Avvenire, mercoledì 23 aprile Ho 81 anni, sono sposato da 56 anni e ho «ricevuto» sei figli con la missione di aiutarli a diventare ciò per cui so­no nati. Ho lavorato in fabbrica per 50 anni e sono molto conten­to di averlo fatto, perché le diffi­coltà che tutti noi incontriamo sono il mezzo più grande che ab­biamo per essere educati. Spesso è possibile ottenere più profitto da un fallimento che da un suc­cesso, perché quando si ottengo­no dei risultati positivi si rischia di «specchiarsi» senza analizzare nulla, mentre davanti a uno scac­co siamo obbligati a essere atten­ti alla realtà e a imparare da essa. Ho perso mio padre e mia madre all’età di 10 anni e mio nonno, che mi ha preso con sé, ha asso­lutamente voluto che imparassi a lavorare usando le mani. Ho im­parato a lavorare l’acciaio, a montare pezzi difficili con la pre­cisione di un centesimo di milli­metro e non era affatto semplice. Se non avessi tenuto conto della lima o del pezzo di acciaio che dovevo lavorare, non sarei arriva­to da nessuna parte. Ho capito insomma che la materia era mol­to più forte di me. La mia espe­rienza con il legno e la latta, in­sieme alla formazione che mio nonno mi ha costretto a vivere, sono state un elemento fonda­mentale che poi ho ritrova­to nella mia realtà profes­sionale. In questa scuola, creata dalla fabbrica, era­vamo in molti ancora bambi­ni e molti gio­vani (siamo ar­rivati a circa 6.000), figli di lavoratori del­l’azienda. Il nome non aveva nessuna impor­tanza, eravamo fondamental­mente tutti uguali, con lo stesso desiderio di imparare. È stata per me un’esperienza sociale estre­mamente profonda; molti com­pagni dell’epoca sono morti, altri mi capita di incontrarli a parlare di quei tempi, sempre con molta nostalgia. Quando sono arrivato in fabbrica il mio responsabile e­ra una persona molto più anzia­na di me, un ingegnere molto qualificato, entrato in fabbrica molti anni prima come operaio, una persona che, tra l’altro, ha inventato lo pneumatico radiale. La prima cosa che mi disse fu: «Signor François, se lei non ama lo pneumatico, se ne può andare anche subito!», e aggiunse: «È perché amo lo pneumatico che sono riuscito a vincere molte dif­ficoltà ». Questo vuol dire che se uno ama e ha la passione per il lavoro che sta facendo, tutte le difficoltà avranno un senso e di­venteranno un’occasione di pro­gresso. Tutte le grandi scoperte e invenzioni nel mondo sono state generate dal fatto che c’era qual­cosa che non funzionava o che funzionava in modo insufficien­te. Forse tutti conoscono la storia dei tre tagliatori di pietra, ma va­le la pena ricordarla. Al primo viene chiesto cosa stia facendo e risponde: «Sto tagliando una pietra». La stessa domanda viene posta al secondo: «Sto creando u­na scultura». Il terzo invece e­sclama: «Sto costruendo una cat­tedrale ». Quando si lavora uno pneumatico, che è stato il mio la­voro per cinquant’anni, quando pensiamo che è un elemento im­portante di un’auto e si è attenti al cliente siamo nella posizione del terzo tagliatore, stiamo co­struendo una cattedrale. C’è un fatto unico in Italia, che venga chiamato «operaio» chi lavora. Chi è un operaio? Chi fa un’ope­ra. Un giorno sono stato invitato a discutere di come potrebbe vi­vere un’azienda in un mondo vir­tuale; ho preso allora un vocabo­lario francese e ho scoperto che la radice vir significa «forza», in­dica un potenziale. La parola vir­tuale quindi ha un senso filo­sofico estre­mamente im­portante, indi­ca cioè che sta­te diventando quello che sie­te già in profondità. Un seme è «virtua­le » di un albe­ro. Alla fine della conferen­za ho tirato fuori dalla ta­sca un seme di avocado e ho det­to: «Questo è un avocado virtua­le. Un’azienda in un mondo vir­tuale è un’azienda in un mondo di possibilità ed è proprio questo che è appassionante, perché il mondo industriale, guardandolo in modo positivo, non è già de­terminato. Ci sono sempre molte più possibilità di quante se ne immaginino in azienda stessa». Ho fatto un lavoro ripetitivo e difficile e spesso ho provato una vera gioia quando i cambiamenti della situazione mi permetteva­no di trovare qualcosa di diverso in quello che facevo. il lavoro dell’intelligenza e non è un lavo­ro ripetitivo. Questo è vero in qualsiasi lavoro. Pio XI parlava del «terribile quotidiano», il quo­tidiano nelle nostre giornate è ri­petitivo, le nostre giornate sono ripetitive, ma ogni volta diverse, esattamente come gli incidenti stradali. Ancora una volta la pos­sibilità di dare un gusto è data dal pensare al futuro proprietario della vettura. Se dimenticate la finalità di quello che state facen­do la vostra attività sarà sempre sgradevole. Mi è capitato di di­scutere con le persone che puli­scono le camere nella casa di cu­ra dove è ricoverata mia moglie.  difficile fare le pulizie per bene, in particolare in una clinica dove è importante che non ci siano polvere e microbi. un lavoro e­stremamente ripetitivo. Mi sono sorpreso a vedere l’attenzione di quelle persone verso i malati, che dava un senso impressionante al lavoro. Come insegna il tagliatore di pietre, togliendo la polvere stanno costruendo la cattedrale. François Michelin