Il Messaggero 20 aprile 2008, FRANCESCA NUNBERG, 20 aprile 2008
Ristorante con vista oltre le sbarre. Il Messaggero 20 aprile 2008 VOLTERRA - Lo capisci dalle posate di plastica
Ristorante con vista oltre le sbarre. Il Messaggero 20 aprile 2008 VOLTERRA - Lo capisci dalle posate di plastica. Dall’eleganza un po’ arruffata dei tavoli. Dalla risata di Luigi che racconta per l’ennesima volta l’aneddoto del processo, quando gli dissero «allora lei ha commesso rapine a Frosinone, Avellino, Caserta e zone limitrofe...» e lui rispose «signor giudice no, a ”zone limitrofe” giuro che non ci sono mai stato». Se fosse una cena qualsiasi sarebbe così, prosecco e spiedino cozze e gamberi, il vociare diffuso nella cappella sconsacrata, la cortesia dei camerieri, prego si accomodi, gradisce signora?, l’attesa golosa dei piatti. Ma d’altro ci si nutre a questa tavola. E non è nemmeno tanto chiaro se sei tu che lo stai facendo per loro (sono 35 euro a coperto, il tutto va in beneficenza, si garantisce ai carcerati un rapporto col mondo esterno), o loro che lo fanno per te. Per schiodarti dalle tue certezze, dalle tue paure, per metterti davanti alla loro paradossale normalità. I detenuti della Casa di reclusione di Volterra si sono messi ai fornelli e hanno aperto il più insolito ristorante d’Italia, tra le possenti mura della fortezza medicea. «Una cena al mese per otto mesi, tra le 100 e le 120 persone a serata, un progetto che quest’anno è dedicato alle adozioni a distanza dei bambini del Sud del mondo, ma che soprattutto permette l’inserimento lavorativo dei detenuti nei ristoranti della città - racconta la direttrice, bravissima, Maria Grazia Giampiccolo - Perché le cene in prigione fanno sempre il tutto esaurito? Non nego che ci possa essere anche un aspetto voyeristico, come sono i detenuti, che fanno, il brivido del contatto, ma la verità è che chi esce da questi cancelli si porta dietro un’emozione». E la direttrice cita tutti i partner che collaborano a questo progetto del ministero della Giustizia nato da un’idea di Slow Food e arrivato al terzo anno: la Fisar, federazione sommelier che cura il servizio vini, l’Unicoop Firenze che fornisce le cibarie e i piatti ”Cene galeotte”, il Comune, la Fondazione Cassa di Risparmio. Ma tanti altri fanno sì che la prima cena del nuovo ciclo, a favore dei bambini del Burkina Faso, funzioni a puntino: l’esperto di enogastronomia Leonardo Romanelli che ha selezionato gli chef-istruttori; Marco Stabile, il cuoco del ristorante di Firenze ”Ora d’aria” (il nome è una pura coincidenza anche se -dicono- le coincidenze sono come le isole, se levi il mare sono tutte collegate) che assiste i carcerati nella preparazione del menù; l’ispettore Paolo Iantosca che fa gli onori di casa; gli agenti di polizia penitenziaria che all’una di notte sono ancora lì a garantire che la serata fili liscia. Uno di loro parla accorato a nome di tutti: «Perché poi voi uscite ma noi restiamo qui dentro e siamo pochi: solo settanta su un organico di 120, ma se questi eventi sono possibili è anche grazie al nostro sacrificio. Così come il teatro che ogni estate porta qui settecento persone. Se stiamo bene noi, stanno bene loro, altrimenti non ci vuole niente, prendi il manganello, sbarri tutto, la gente si dimentica pure che esiste il carcere». Ma è bene ricordarlo, è bene guardarli, ladri, assassini e rapinatori che tagliano la guancia di vitello per l’insalatina, rimestano la polenta, puliscono asparagi e gamberetti, fanno il pane, montano la panna, apparecchiano, servono a tavola. C’è chi disponde sui piatti da portata le coppe di pompelmo con pesce e crostacei, chi prepara la zuppa inglese con le pere. Sono una trentina quest’anno a partecipare alle ”Cene galeotte”, su 140 detenuti dei quali 20 nella sezione semiliberi e 30 in quella di alta sicurezza. «Io non sapevo preparare nemmeno il caffè - dice Massimo, 28 anni, in carcere da 9 per omicidio e altri 5 da scontare - a casa c’era la mamma. Adesso la mia specialità è la pasta al ragù. Progetti? Meglio non farne perché ogni volta mi sfuma tutto, ma vorrei aprire un ristorantino mio in Toscana, in Sicilia non ci torno è terra bruciata. La ragazza? Ce l’ho sì, mi sono rovinato...». In cucina accanto al pentolone c’è Abdul, 37 anni, da Casablanca, tatuaggio di Che Guevara sull’avambraccio, specialità cous-cous: «Una lite, quindici anni fa, c’è scappato il morto, era italiano. Mi mancano 8 anni, quando esco voglio fare l’operaio». A tagliare a fette il maialino disossato da condire con cime di rapa, aglio e purè di patate sono in due: c’è Maurizio, piemontese, dentro quasi ininterrottamente da 36 anni per rapine («Ho lavorato in tante cucine carcerarie, mi hanno dato tre attestati, quando esco mi sistemo a Volterra») e Joseph, 28 anni, filippino, arrestato per traffico di droga appena messo piede in Italia: «Quando esco faccio venire moglie e figli, voglio lavorare qui. La mia specialità sono i dolci, bignè, crostate, pasta sfoglia». Già, quando esco. La prossima cena, per le suore francescane di Sant’Elisabetta in India, sarà il 16 maggio (quelle estive si svolgono all’aperto nei giardini ai piedi del Maschio), si prenota all’Agenzia Toscana Turismo al numero di telefono 055-2342777 con almeno dieci giorni d’anticipo, serve un documento e all’arrivo bisogna depositare tutto nelle cassette all’ingresso. Il senso: cara ti porto fuori (fuori?) a cena, in un luogo d’incanto, a lume di candela, senza cellulare. FRANCESCA NUNBERG