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 2008  aprile 21 Lunedì calendario

L’aceto ucciso dalla moda. La Stampa 21 aprile 2008 Dicono sia il mercato, la moda, il moltiplicarsi delle esigenze e dei gusti

L’aceto ucciso dalla moda. La Stampa 21 aprile 2008 Dicono sia il mercato, la moda, il moltiplicarsi delle esigenze e dei gusti. Così, nell’era del «vorrei ma non posso», nella quale si diventa star del cinema e della tv su YouTube, scrittori sui blog, modelli indossando abiti e scarpe taroccate, anche gli alimenti non si salvano. Prendiamo l’aceto. Ne esistevano di due tipi, rosso e bianco: era aceto di vino ed era buonissimo, si poteva fare in casa usando una «madre» e i resti delle bottiglie di vino buono, lasciando fare al tempo e ai batteri. Ne usciva un prodotto straordinario. Oggi è quasi estinto perché non rende abbastanza, non ha appeal. In giro si trova soprattutto aceto balsamico, e non della migliore qualità. L’aceto tradizionale (l’aggettivo fa la differenza), prodotto d’eccellenza che ha origini antiche, è ottenuto con solo mosto di vino, invecchiato almeno 12 anni in botti di legno pregiato (servono 25 anni per definirsi stravecchio e 12 per l’affinato). venduto, secondo qualità e invecchiamento, a prezzi che oscillano tra i 50 e i 150 euro per una confezione da 100 ml. Nelle bustine e nei prodotti da supermercato c’è un prodotto con bassa percentuale di mosto, contiene caramello e aceto di vino, viene stagionato assai meno. Ma costa pochi euro in confronto all’altro, che richiede pazienza e cure continue. «Da anni – spiega Alberto Fabbri, presidente di Slow Food Emilia-Romagna - una parte degli industriali che producono aceto balsamico richiede il marchio europeo Igp (Indicazione geografica protetta). Ma da molti produttori è considerato troppo indulgente, per esempio sulla provenienza delle uve. bastata la notizia della pubblicazione del disciplinare a livello europeo che la bagarre è scoppiata. Diversi produttori si sono opposti, alcuni si sono rivolti alla magistratura. Slow Food denuncia i forti limiti della denominazione Igp, che non tutela la qualità del prodotto e non è garanzia di qualità per il consumatore. Una foglia di fico utile solo alle grandi aziende». Anche Paolo Massobrio, ideatore del movimento di consumatori Papillon, punta l’indice contro l’esasperata ricerca del profitto: «L’aceto balsamico scadente, prodotto in pochi giorni, è una scemenza gastronomica. stato imposto dal martellamento pubblicitario, ha sostituito il grandioso aceto di vino. Un modo d’alimentarsi dannoso». «La moda dell’aceto balsamico - svela Cesare Mazzetti, uno dei maggiori produttori – è nata 20 anni fa quando lo chef di un ristorante delle star a Los Angeles cominciò a servire due-tre gocce di balsamico tradizionale sull’insalata, girando fra i tavoli e facendo scena, come fosse una grattatina di tartufo. Creò il mito di un prodotto prezioso, che aveva un gusto agrodolce e piaceva a tutti ma non si trovava in commercio. Quando scoprirono l’aceto balsamico di Modena, che costava meno, cominciarono a importarlo». Da prodotto d’eccellenza – se ne parla dal 1046, dal poema Vita Mathildis del monaco Donizone – si è arrivati all’attuale imbastardimento alimentare che ha estromesso l’aceto di vino, «insostituibile - dice Fabbri - per certi piatti come l’insalata di campo». Ma l’aceto di vino non solletica l’immaginario come il balsamico. il tempo del fumo, piuttosto che dell’arrosto. La denominazione «Aceto balsamico tradizionale di Modena» è riservata al prodotto ottenuto da mosti provenienti da vigneti di Lambrusco, Ancellotta, Trebbiano, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta, con 15 gradi saccarometrici. La produzione per ettaro non può superare i 160 quintali. I mosti sono sottoposti a cottura in vasi aperti per 30 minuti a temperatura di oltre 80°C. La fermentazione acetica dura 12 anni. CARLO GRANDE